Manuela Gatti per “il Giornale”
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A fine maggio, nel pieno delle manifestazioni di piazza americane per l'uccisione di George Floyd, un suprematista bianco sollecitava su Telegram i seguaci del suo canale a sparare sulla folla.
Nulla di sorprendente: secondo il Site Intelligence Group, organizzazione statunitense che monitora le attività on line di terroristi ed estremisti, dall'attentato alla moschea di Christchurch in Nuova Zelanda del marzo 2019 i canali Telegram di suprematisti di destra e i relativi iscritti si sono moltiplicati.
Una ricerca pubblicata l'anno scorso dalla George Washington university concludeva invece che sempre Telegram è lo strumento più usato dall'Isis per propaganda e reclutamento dei cosiddetti lupi solitari. In Italia l'app creata nel 2013 dal (...) (...) russo Pavel Durov ha una reputazione non così cruenta ma certo non cristallina.
giornali gratis su telegram
Meno usata di Whatsapp (nove milioni di utenti nella Penisola contro 32), è recentemente finita sui giornali per alcune vicende controverse: ancora nelle settimane di lockdown, è stata usata per organizzare manifestazioni contro governo e misure anti virus (i canali si chiamavano «Marcia su Roma»), mentre negli stessi giorni la procura di Bari ordinava il sequestro di alcuni canali su cui circolavano copie piratate di quotidiani e riviste.
Poco tempo prima un'altra indagine aveva fatto luce su una serie di canali dedicati al revenge porn, foto e video pornografici usati per vendetta. Dal canto suo Telegram è sempre stato restio ad acconsentire alle richieste di rimozione dei contenuti pubblicati dagli utenti, soprattutto sui canali privati.
E questo si spiega con le sue origini: la piattaforma nasce proprio come luogo in cui comunicare in sicurezza, che tu sia un dissidente politico o solo un nerd. Massima libertà di parola, dunque, e rispetto dell'inviolabilità delle chat private, anche a costo di consentire la circolazione di materiale discutibile.
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Dietro la sua nascita, d'altronde, c'è il tentativo di sfuggire a un potere autoritario: quello del governo russo, già riuscito a mettere le mani su VKontakte, il social network fondato in precedenza da Durov e poi finito sotto il controllo del Cremlino.
STUDENTE IN ITALIA
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Pavel Durov, 35 anni, ha vissuto la sua infanzia a Torino. Suo padre era un latinista e, quando Pavel aveva quattro anni, trasferì la famiglia da San Pietroburgo, allora Leningrado, per venire a lavorare in Italia. Nel capoluogo piemontese il futuro imprenditore ha frequentato le scuole elementari e medie, alla Falletti di Barolo, come riporta ancora il suo profilo Facebook.
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Rientrato in Russia - che nel frattempo non era più Urss - ha seguito inizialmente la strada del padre studiando linguistica all'università statale di San Pietroburgo. Mentre era ancora studente, nel 2006, ha lanciato VKontakte: l'ispirazione evidente era quella di Facebook, nato due anni prima ma a quel tempo ancora limitato a chi aveva un indirizzo mail di un ateneo statunitense.
Come poi con Telegram, anche per VKontakte la parte di programmazione del software è stata affidata a Nikolai Durov, fratello maggiore di Pavel e geniale matematico. In meno di un anno Vk era già il social network più usato della Russia e il suo inventore, all'epoca 22enne, era diventato milionario.
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In quegli anni la regolamentazione del web era ancora agli albori, in Russia e non solo, e Vladimir Putin era lontano dall'interessarsi al ruolo politico della Rete. Poi però la situazione è cambiata: su VKontakte s’è fatta più forte la pressione del governo di Mosca, soprattutto dopo che Durov si è rifiutato di bloccare le pagine gestite da Alexei Navalny, dissidente e avversario di Putin che proprio in quel periodo iniziava a organizzare una serie di manifestazioni antigovernative.
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Durov ha detto di averlo fatto solo per motivi di business, e ha sempre rifiutato qualunque interpretazione politica. Poco dopo il fatto, però, si è ritrovato una squadra di agenti armati del Fsb, i servizi segreti succeduti al Kgb, fuori dalla porta del suo appartamento a San Pietroburgo: pura intimidazione, dato che se ne sono andati dopo un'ora senza conseguenze ulteriori, ma Durov si è detto poi «molto spaventato» dall'episodio.
Da quel momento il fondatore di Vk inizia a perdere il controllo della sua creatura: due degli investitori originari vendono il 48% della società allo United Capital Partners, fondo di investimenti privato moscovita con forti legami con il Cremlino, finché lo stesso Durov non decide di vendere il suo rimanente 12% a un'azienda parte di una holding di proprietà di Alisher Usmanov, miliardario della cerchia di Putin.
LA SVOLTA
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Nell'aprile 2014 VKontakte annuncia il suo licenziamento: «Era ora di andarmene, a quel punto non avevo più alcun potere nella società», avrebbe detto lui tempo dopo in una rara intervista. La sua nuova avventura di Durov nasce ben lontana dalla Russia.
Sempre con il supporto tecnico del fratello Nikolai, a metà 2013 lancia Telegram, con un codice aperto che da un lato consente agli esperti di sicurezza di contribuire al miglioramento del sistema e dall'altro tranquillizza chi tiene alla privacy. Il team di sviluppatori dell'app, in gran parte provenienti da San Pietroburgo, è nomade e in pochi anni ha già cambiato diverse sedi: prima Berlino, poi Londra, Singapore e oggi Dubai.
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Domani, chissà: «Siamo pronti a spostarci di nuovo nel caso in cui le normative dovessero cambiare», si legge sul blog ufficiale della società. Per Durov, Telegram non è semplicemente un'azienda ma un progetto di più ampio respiro, quasi una missione: quella di fornire un mezzo di comunicazione sicuro e funzionante in tutto il mondo. L'app non ha un modello di business né ospita pubblicità: «Fare profitti - prosegue la presentazione ufficiale - non sarà mai uno degli obiettivi di Telegram».
Che Durov nutrisse poco interesse per il denaro lo si era capito già da un episodio ormai celebre del 2013: quando era ancora a capo di Vk si era messo a lanciare aeroplanini fatti di banconote da 5mila rubli ciascuna (circa cento euro) dalla finestra della sede della società, nel centro di San Pietroburgo.
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Motivo? Dimostrare ch né a lui né ai suoi manager - ai quali aveva appena offerto un bonus - interessavano i soldi. È, questo, uno degli aspetti che compongono il suo ritratto, in larga parte ancora misterioso. Lui stesso si è descritto come un libertario (ma mai come un anarchico, una delle accuse usate contro di lui dai media di Stato russi per screditarlo), è vegetariano, sobrio, filosofico e veste quasi sempre di nero come Neo, il protagonista di Matrix, di cui è grande fan. Abbandonata la Russia, si è comprato il passaporto di Saint Kitts e Nevis, nelle Antille, e attualmente vive in autoesilio dalla sua terra natale cambiando spesso città.
NO AI TERRORISTI
Oggi Telegram ha superato i 400 milioni di utenti mensili nel mondo, secondo i dati ufficiali comunicati a fine aprile (Whatsapp, per fare un confronto, ne ha due miliardi). Un anno fa erano 300 milioni. Uno tra gli utenti, è particolarmente ingombrante: lo Stato islamico. Il già citato rapporto della George Washington university descriveva l'app come ancora «vitale nell'ecosistema comunicativo» dell'Isis.
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Nel novembre 2019 un'operazione condotta dall'Europol, con la chiusura di alcune migliaia dei canali usati dai terroristi, ha avviato un nuovo corso: terrorismo e pedopornografia sono due delle rare circostanze nelle quali la piattaforma si dichiara sempre pronta a sostenere le autorità di polizia. Per il resto, rimane in vigore il principio della massima libertà: «Non bloccheremo nessuno che esprima pacificamente le proprie opinioni», spiega Telegram. Qualunque esse siano. Manuela Gatti.
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