Francesca Paci per “la Stampa”
thomas cook
Correva l' anno 1869 quando, a coronamento dell' inaugurazione del canale di Suez, il kedivè Ismail Pascià chiedeva a Thomas Cook di organizzare per gli ospiti internazionali una traversata del Nilo alla scoperta dell' Alto Egitto. Fino a quel momento i naviganti si erano sempre avventurati sul grande fiume a bordo di barchine in legno dette dahabeya: l' intraprendente britannico, incitato a fare veloce ma sprovvisto di navi, prese a prestito quelle massicciamente ferrose delle Poste e cambiò per sempre la storia delle crociere e quella del giallo.
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E adesso che succede, dopo che la bancarotta del 22 settembre ha disseminato, ovunque, il si salvi chi può? «Il fallimento di Thomas Cook colpirà inevitabilmente il turismo egiziano» ammette al quotidiano "al Monitor" l' ex numero due del ministero Magdi Selim. E sebbene si dica convinto che sarà di un danno «temporaneo», i bollettini registrano già 25 mila prenotazioni cancellate per il 2020.
FALLIMENTO DELLA THOMAS COOK
In realtà, una rete di agenzie egiziane che fa capo al tour operator Tui ha già iniziato le trattative per rilevare gli affari del brand britannico che, al momento del crollo, aveva 1600 villeggianti solo a Hurghada e che, al ritmo di oltre 22 tour a settimana, ne portava in visita alle Piramidi almeno 250 mila l' anno.
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Non si tratta di briciole nel popoloso Paese nordafricano, tanto affamato quanto privo di risorse ad eccezione della sua faraonica eredità culturale. L' industria turistica, da cui dipende il 15% del Pil egiziano, ha pagato un prezzo molto alto alla rivoluzione del 2011 e, pur ridotta all' ombra di quanto fosse all' epoca di Mubarak, è tuttora l' asse strategico su cui far perno non solo per rilanciare l' economia ma anche per contenere la rabbia popolare contro un regime che aveva promesso lo sviluppo in cambio del sacrificio della libertà ma che a bocce ferme non ha soddisfatto alcuna aspettativa.
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«Stiamo recuperando il terreno perduto» racconta il decano delle guide Francis Amin Mohareb al telefono da una Luxor, dove per lo spettacolo dell' Aida non si trova una sola stanza libera, costi quel che costi. Il 2018 si è chiuso a quota 9,8 milioni, ben lontano dai 15 del 2010 ma assai meglio del 5 del 2015. Bisogna reinventarsi di continuo, prosegue Francis, e il tramonto dell' era Cook imporrà urgenti nuovi cambi di passo: «La novità sono i charter culturali. Finora a Karnak e Luxor venivano i villeggianti da Hurghada, una giornata e via.
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Adesso ci sono voli economici diretti dalla Germania, dalla Spagna, dal Regno Unito, aspettiamo che si muova l' Italia. Anche le navi da crociera avevano riacceso i motori, ma a sponsorizzarne con forza il ritorno in acqua era proprio la Thomas Cook». La flotta da crociera egiziana vanta 320 imbarcazioni, un vero e proprio esercito che fino a due anni fa stazionava senza vita nei porti d' imbarco.
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Qualcosa, per l' appunto, cominciava a muoversi in questi mesi, con ben 90 navi tornate a solcare le acque del Nilo dove fino a quel momento, tra la paura del terrorismo e l' instabilità politica, se ne contavano appena una decina. «Dobbiamo raccogliere l' eredità della Thomas Cook al più presto, prima che ci pensino gli stranieri» confida Mansour, animatore di un villaggio turistico sul Mar Rosso, uno dei tanti di proprietà del tour operator britannico che oltre alla fetta più sostanziosa dei pacchetti turistici aveva in Egitto la proprietà di navi, attracchi, grandi alberghi, resort. Rilevare Cook per mantenerlo egiziano. Sì, perché al netto delle origini anglosassoni, Thomas Cook è considerato uno del luogo.
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«Dobbiamo a lui l' ospedale di Lukor, la chiesa francescana, le strade, imbarchi e banchine, l' idea stessa di Turismo» chiosa Francis. È scritto.
In un famoso romanzo dei primi del Novecento, «La mort de Philae», lo scrittore-viaggiatore Pierre Loti inveisce contro i turisti già a suo dire di massa che rovinano l' Egitto: li chiama i «cook» e le «cookette».
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