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    TI SPACCIO IN DUE - FABRIZIO CORONA AGGREDITO NEL BOSCO DI ROGOREDO A MILANO, DOVE STAVA FACENDO UN SERVIZIO PER ''NON È L'ARENA'' DI GILETTI - SU INSTAGRAM UNA FOTO DALL'AMBULANZA, DICE CHE 20 SPACCIATORI LO AVREBBERO PRESO A CALCI E PUGNI. ''ERO LÌ PER RACCONTARE IL PARALLELISMO DELLA MIA TOSSICODIPENDENZA E QUELLA CHE COLPISCE L'ITALIA. ORA IN QUESTO MOMENTO RINGRAZIO…''


     
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    Stasera mi sono recato al Bosco di Rogoredo, patria nazionale dello spaccio italiano, dove anche la polizia si rifiuta di entrare. Mentre le uniche inchieste realizzate sono state fatte di giorno da giornalisti accompagnati da polizia di scorta a circondare la zona, Io mi sono recato lì solo con un operatore e un fonico per raccontare il parallelismo della mia tossicodipendenza e quella che colpisce l’Italia e la povera gente che vede uno stato inerme e una polizia disinteressata. Tutto questo solo per raccontare in maniera oggettiva, come ho sempre fatto, la realtà. Ora, in questo momento ringrazio Dio per aver protetto mio figlio Carlos Maria.

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    Veronica Cursi per www.leggo.it

     

    FABRIZIO CORONA DOPO ESSERE STATO MENATO AL BOSCO DI ROGOREDO FABRIZIO CORONA DOPO ESSERE STATO MENATO AL BOSCO DI ROGOREDO

    Fabrizio Corona aggredito nel bosco della droga di Rogoredo alla periferia di Milano dove si trovava per fare un servizio giornalistico sullo spaccio. L'ex re dei paparazzi è stato assalito da alcuni pusher che lo hanno circondato. Corona era lì con la troupe di una società che fornisce materiale per la trasmissione "Non è l'Arena" di Giletti. Secondo il suo racconto una ventina di spacciatori stranieri lo hanno circondato prendendolo a calci e pugni.  Alle 22.47 su Instagram compare una foto: Fabrizo Corona è steso su una barella dentro un'ambulanza, gli occhi chiusi e il volto sofferente.

     

     

    «Stasera mi sono recato al Bosco di Rogoredo, patria nazionale dello spaccio italiano, dove anche la polizia si rifiuta di entrare - scrive Corona -  Mentre le uniche inchieste realizzate sono state fatte di giorno da giornalisti accompagnati da polizia di scorta a circondare la zona, Io mi sono recato lì solo con un operatore e un fonico per raccontare il parallelismo della mia tossicodipendenza e quella che colpisce l’Italia e la povera gente che vede uno stato inerme e una polizia disinteressata. Tutto questo solo per raccontare in maniera oggettiva, come ho sempre fatto, la realtà. Ora, in questo momento ringrazio Dio per aver protetto mio figlio Carlos Maria».

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    Poco tempo prima lo stesso Corona aveva postato una serie di stories in cui intervistava tossicodipendenti e in cui spiegava il motivo del suo servizio: «Il vero mondo della tossicodipendenza è quello che non è mai stato raccontato dove ragazzini di 13,14 anni rovinano la propria vita. Io sto provando a non ricadere negli errori che ho fatto, è un impegno». Poi la video intervista a uno spacciatore e l'immagine di un viaggio in auto nel buio della notte. Fino all'aggressione:  «Potevano ammazzarmi», confessa Corona.

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