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Un diamante è per sempre, ma ancora più eterno e desiderabile se la sua origine non è macchiata di sangue. Tiffany & Co. ha lanciato un nuovo programma per promuoverne tracciabilità e trasparenza: a partire da oggi i clienti della leggendaria gioielleria, la cui sede sulla Quinta Strada ha fatto da sfondo a 'Colazione da Tiffany', potranno conoscere il Paese o la regione di origine delle pietre recentemente estratte oltre 18 carati che stanno acquistando.
«È un argomento sempre più rilevante per le nuove generazioni ed è nostro dovere, come leader del settore dei diamanti, dare ai nostri clienti questa informazione», ha detto alla Bloomberg Tv il Ceo Alessandro Bogliolo, confermando l'interesse del brand a conquistare i fidanzati del futuro.
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Tiffany, fondata nel 1937, negli ultimi tempi ha fatto fatica a conquistare la generazione dei Millennials. Vendite deludenti avevano portato nel 2017 alle dimissioni improvvise dell'amministratore delegato e all'arrivo, 15 mesi fa, di Bogliolo.
Erano seguite iniziative per ringiovanire il brand: dal nuovo ristorante-caffè ideale per essere postato su Instagram, alla compagna pubblicitaria con Zoe Kravitz, un'attrice considerata un'icona della moda Millennial, e al remix di 'Moon River', la canzone del 1961 di 'Colazione da Tiffany', con il rapper A$AP Ferg e l'attrice Elle Fanning.
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Domenica ai Golden Globes Lady Gaga aveva addosso una collana con oltre 300 diamanti di Tiffany quando ha ricevuto il premio per la migliore canzone originale di 'È Nata Una Stellà. Dalla miniera al negozio, un diamante cambia di mano molte volte e la tracciabilità è cruciale per chi vuole acquistare una pietra 'pulità.
Molti compratori vogliono oggi la certezza che la pietra non sia stata prodotta sfruttando lavoro minorile o per finanziare guerre e terrorismo: i cosiddetti 'diamanti insanguinatì del thriller del 2006 con Leonardo Di Caprio ambientato in Sierra Leone, o le 'pietruzzè che il dittatore liberiano Charles Taylor regalò alla top model Naomi Campbell e per cui lei otto anni fa fu chiamata a deporre davanti alla Corte dell'Aja nel processo contro Taylor per crimini di guerra e contro l'umanità. Human Rights Watch ha applaudito all'iniziativa.
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«È un nuovo livello di trasparenza nel settore del gioiello e il primo passo per migliorare i diritti umani nel mondo. Quando andiamo al supermercato sappiamo che le banane vengono dalla Colombia, i pomodori dal Messico, il salmone dalla Norvegia. Ma in gioielleria fino ad oggi nessuno sapeva dirci la provenienza di un diamante».
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D'ora in poi su ogni diamante venduto da Tiffany verrà inciso un numero di serie e ad ogni acquisto i clienti riceveranno un certificato sull'origine delle pietre. Per il colosso newyorkese, che nel 2017 ha venduto anelli di fidanzamento per oltre 500 milioni di dollari, la certificazione della provenienza non è l'unico obiettivo: entro il 2020 verranno condivise informazioni anche sulle fasi intermedie, inclusi i luoghi dove i diamanti vengono tagliati e puliti.
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