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    TIGELLA E IMPOSSIBILE - IL "RINASCIMENTO" DEI BUONISSIMI DISCHI DI PANE, TIPICI DELL'EMILIA ROMAGNA, MEGLIO CONOSCIUTE COME "TIGELLE". ANCHE I MODENESI SI SONO RASSEGNATI: MOLTI HANNO, INFATTI, ABBANDONATO IL TERMINE "CRESCENTINA MODENESE O CHERSCENTA", CHE SAREBBE IL NOME VERO DEL PIATTO - "TIGELLA" E' IL CONTENITORE USATO PER CUOCERE IL PRODOTTO: NON A CASO, ESISTONO MOLTE ALTRE PREPARAZIONI CON NOMI SIMILI...


     
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    Estratto dell'articolo di Gemma Gaetani per "La Veriità"

     

    Avrete notato, al supermercato, le tigelle del Mulino Bianco. Oppure, nelle città in cui esse si trovano, catene come Tigella’s. Da una parte, si tratta dell’effetto della globalizzazione interna […] Dall’altra, il libero mercato, su cui si muove più l’industria alimentare che il piccolo produttore, impone di offrire sempre qualcosa di nuovo […] A prescindere dallo «spiegone» sulle cause, l’effetto, molto positivo, è che sempre più italiani acquisiscono la consapevolezza di ricette un tempo conosciute solo a km zero. L’unità linguistica italiana è già avvenuta, quella alimentare sta avvenendo adesso.

     

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    La tigella è un disco di impasto realizzato con farina di grano tenero, acqua, strutto, lievito e sale. Il sito della Regione Emilia-Romagna, di cui la tigella è Prodotto Agroalimentare Tradizionale, spiega: «Nelle zone di montagna del modenese, le tigelle hanno rappresentato per lungo tempo una consuetudine alimentare rimasta intatta nel tempo e sviluppatasi come conseguenza della scarsità di ingredienti disponibili. I lunghi periodi di carestia succedutisi durante la storia hanno colpito con maggiore intensità le popolazioni dell’Appennino, la cui sopravvivenza è stata in buona parte merito dei castagni, dai cui frutti si ricavava una farina succedanea a quella del frumento.

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    Tradizionalmente il termine tigelle indicava stampi circolari di circa 12-15 cm di diametro e dello spessore di 1,5-2 cm, composti prevalentemente da terra di castagneto battuta. Tali stampi venivano sovrapposti, in modo da racchiudere al loro interno l’impasto a base di farina e acqua, e quindi disposti vicino alle braci in ordine sparso oppure impilati nell’apposito tigiarol, attrezzo di forma cilindrica e costruito in ferro nel quale trovavano posto l’uno sopra l’altro i detti stampi. Con il trascorrere degli anni il termine tigella è stato, e lo è tuttora, utilizzato per indicare l’impasto cotto al suo interno, originariamente chiamato crescentina».

     

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    Sebbene in italiano la chiamiamo tigella o tigella modenese, il suo nome sarebbe crescentina modenese. Va detto che molti ormai la chiamano tigèla anche a Modena, dove però i locali e i difensori del vero nome la chiamano cherscènta. […]  Il nome storico completo, poi, dà conto sia del cibo, sia dello strumento di cottura: la chersènt in t’al tigèli, sentite che bello. […]

     

    Inoltre, non è successo solo nel modenese e l’origine di questo nome è antica e non moderna.

    Contemporaneo è l’uso in tutta la nazione, ma il nome nasce quando si forma la lingua italiana. Tigella infatti deriva dal latino tegella, diminutivo di tegula che in latino volgare significava coperchio, dal verbo tegere (coprire). […]  Tigella si riferisce anche a un tegame ancora di terracotta (che col tempo diventerà di metallo), di diametro più largo, coi bordi, alti, talvolta il coperchio.

     

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    Dal nome di questo tipo di contenitore di cottura più grande della tigella modenese derivano altri nomi metonimici di molte altre preparazioni cotte in essa un po’ in tutta Italia: la tièlla in Campania e Lazio, la più famosa è la tiella di Gaeta, una torta rustica simile alla pizza ripiena che è anche Pat e De.Co., poi c’è la tièdd in Puglia, la tijella in Abruzzo. Derivazione interessante dal latino tegella è anche teglia, che ancora svolge funzione anche metonimica e si può intendere sia il contenitore, sia il contenuto (molti fuori dalla Puglia chiamano la tiedd teglia di riso patate e cozze).

     

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    […] La tigella è una specie di piccolo pane: la differenza fondamentale con panigacci, borlenghi, necci o crespelle, prodotti sempre dell’area appenninica tosco-emiliana, è innanzitutto nell’impasto che, per la tigella, è più denso, più alto e più spesso. Questi ultimi assomigliano più a piccole crespelle che a pani veri e propri, derivando da un impasto molto più liquido di quello della tigella. Poi, cambiano gli utensili per la cottura. Quello per la cottura della tigella non è concavo e ha un bassorilievo interno che imprime il fiore della vita su ogni faccia della tigella come augurio di prosperità e fecondità.

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