Estratto dell’articolo di Roberto Faben per “La Verità”
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Tiziana Rivale partecipò quasi malvolentieri al festival di Sanremo 1983 ma, con Sarà quel che sarà, lo vinse e la ricordiamo con camicetta bianca di chiffon e papillon nero. Appariva quasi come una scolaretta romantica, con bellissima voce melodica. Tuttavia, in lei, albergava una sorprendente indole per interpretazioni rock. Di discrezione impeccabile, autodeterminata lo era allora e continua a esserlo, dimostrandolo anche attraverso mutevoli acconciature.
Com’era da bambina?
«Ero vivace. Volevo sempre fare le cose a modo mio e già cantavo, anche a scuola, così, per conto mio e il pomeriggio, all’oratorio, c’incontravamo con i ragazzini della mia età, 10-11 anni, loro suonavano e io cantavo, già canzoni “da grande”».
Sul suo sito ufficiale si legge che iniziò a cantare a undici anni brani di Ella Fitzgerald, Frank Sinatra e Aretha Franklin, di blues e black.
«Per me era normale. Ascoltavo ciò che passava la radio e mi piacevano brani internazionali, stranieri, quelli più impegnativi e che preferisco anche oggi. Mi chiudevo in cameretta e cantavo questi pezzi che mi davano soddisfazione. Un’attrazione naturale. Ho fatto a intuito quello che volevo fare, anche se in famiglia erano piuttosto scettici».
Le stava stretta la vita in provincia?
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«Sono nata a Gaeta (Latina, ndr). A 18 anni ho chiesto il permesso di andare a raggiungere una rock band a Parma che mi aveva contattato. I miei erano restii e dissi: “O mi date il permesso oppure scappo di casa”».
E allora lo diedero.
«Eh sì. Sono sempre stata indipendente e volevo subito cercare il luogo adatto per mettere a frutto questa mia passione. A Parma cercavano una cantante che potesse fare vari generi e così mi hanno messa alla prova e sono subito entrata nei Rockollection. Ho fatto tre serate con loro, mi trovai bene, e lì ho cominciato la mia gavetta fortunata».
Pezzi ricercati, ma lei ha fatto anche molta disco music.
«Sì, io cantavo un po’ tutti i generi. In discoteca facevamo le canzoni dance e quindi ho continuato a farlo. La parentesi di Sanremo era un po’ strana per me, perché non volevo farlo».
Facendo un balzo in avanti, nel 2019 è stata scelta dal regista Dario Germani, per fare un cameo nel thriller surreale Lettera H, storia di una coppia che, a bordo di una Fiat 127, come quella in cui furono uccisi, il 14 settembre 1974, i fidanzati Pasquale Gentilcore e Stefania Pettini, che sarebbero dovuti andare in discoteca, vive un incubo che affiora dal passato. Lei si vede cantare in un dancing.
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«Mi hanno contattato perché il film è ambientato negli anni ’80 e si riferisce alla storia del mostro di Firenze, che poi si è scoperto non essere Pacciani, il quale era uno sporcaccione ma non certo il mostro. Dario Germani mi chiamò perché serviva una cantante che interpretasse sé stessa in quegli anni. Hanno cercato nel mio repertorio e volevano questa canzone, Ash, che avevo inciso qualche anno prima, ed era stata in classifica sette mesi in Finlandia. Quindi ho interpretato me stessa, con un’acconciatura molto rock».
Sempre particolari le sue acconciature. In questo momento com’è pettinata?
«Ho la coda di cavallo».
Riprendiamo il flashback. Giovanissima, fece un tour comico-musicale per tre stagioni con Gino Bramieri.
«Fummo contattati da Elio Gigante, l’impresario di Mina, oltre che di Gino Bramieri. Cercava una band che potesse fare da cornice nelle serate comiche di Gino. E quindi abbiamo fatto un provino, cantavo all’inizio e poi entrava. Per tutta la sera raccontava barzellette. Girammo l’Italia per tre estati di seguito, i casinò, Santa Margherita Ligure, le zone più “in”.
Gino era un gran signore, molto generoso. In estate, per il mio compleanno, mi faceva dei regali, era lì con la sua compagna, conservo i suoi doni come reliquie, uno scialle argentato, una collanina e due ciondoli».
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Giunse poi l’occasione di Sanremo.
«Nel 1982 incisi una canzone e la casa discografica doveva promuoverla. Poi mi chiesero “Vuoi fare Discoring o una gara a Domenica in chiamata ‘Voci per Sanremo’?”. Ero inesperta e dissi “Proviamo a fare la gara”, pensando che non l’avrei mai vinta. Ma la vinsi, guadagnandomi il posticino al festival 1983 (condotto da Andrea Giordana, ndr). Bisognava allora preparare la canzone e mi hanno proposto Sarà quel che sarà. Ma quando l’ho letta, dissi: “non la faccio”».
E pertanto che accadde?
«Il testo era molto semplice, mi piaceva cantare Aretha Franklin. Allora l’arrangiatore, Pinuccio Pirazzoli, in sala d’incisione, mi disse, con buone maniere, “tu questa canzone la devi fare per contratto”. Allora, mamma mia, mi sono messa a piangere e l’ho cantata (sorride). Mi disse “buona la prima”.
Non me lo so spiegare, forse me la volevo togliere dalle scatole. E poi pensavo: “A Sanremo mi butteranno fuori la prima serata”. Invece quell’anno ci furono giurie popolari, gruppi d’ascolto, che votavano nelle varie città e, dalla prima serata, ero la numero uno, mai avrei pensato fosse andata così».
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E, a caldo, dopo quel trionfo?
«Ho incontrato anche persone che mi hanno fatto perdere tanto tempo, perché in quei momenti si avvicinavano tutti. Buoni e cattivi. Ho sopravvalutato anche la casa discografica, che non aveva ancora stampato il disco. Il disco uscì dopo venti giorni, un mese. Poi sciolsi il contratto e continuai da sola. Non mi facevano fare le tournée.
Poi ho recuperato e continuato i concerti in giro per il mondo e non ho sciupato tutto come molti fanno, macchine, fumo, donne, no, io proprio non ho vizi, sono sempre stata equilibrata».
Poi, ritorni dalle vendite?
«Meno del previsto. Ma poi ho fatto altri dischi e le tournée sono quelle che contano di più. L’importante è riuscire a fare quello che desideri non quelle imposte, non siamo schiavi».
Quella melodia raccontava dell’eterna necessità di rinnovamento dell’amore.
«Con i miei problemi e i tuoi / Che risolveremo prima o poi / Sarà quel che sarà / Del nostro amore che sarà…».
«È un bel testo di speranza, solo che la ritenevo una favoletta utopistica. Ma ha funzionato e allora ben venga».
Le è accaduto di soffrire sentimentalmente?
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«Sì, senza scendere in particolari, le delusioni, come le hanno tutti nel mondo. Ma alla fine capisco che non vale la pena soffrire per chi non merita. Con la maturità si capisce. Mo’ sono molto selettiva…».
Single o sposata?
«Single, non ho bambini. In questo ambiente ci sono figli in giro per il mondo… No, no, ho rispetto per la vita umana, non bisogna far le cose con leggerezza».
È stata richiestissima all’estero e lo è ancora. Nel 2019, in Messico le hanno assegnato il Disco d’oro alla carriera.
«Sì, ma in Messico non mi chiedono Sarò quel che sarà, di cui non gli importa nulla. Mi hanno dato il Disco d’oro per il mio repertorio dance, dal 1983».
E negli altri Paesi gliela chiedono la canzone dell’Ariston?
«In Russia sì, ma all’estero, in generale, gradiscono il repertorio dance. In Italia, per questa di Sanremo mi chiedono spesso anche dei bis, insieme ad altri brani pop e famosi ad esempio di Anastacia, Céline Dion, Tina Turner…»
Nel 1983 partecipò al Giromike. Con lei Mike fu simpatico o antipatico?
«Mi ha sempre trattato bene. Lui andava un po’ a simpatie. E io ero precisa, puntuale. Invece altri che arrivavano in ritardo li sgridava. Non mi ha mai sgridata, meno male».
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Ha cantato per l’Orchestra filarmonica di Praga.
«Era la fine dell’83. Dovevo registrare Premiatissima, 5-6 serate. La casa discografica aveva preso appuntamento sia per Premiatissima sia per un’ospitata a Praga. Si rischiava un incidente internazionale, perché gli impegni erano lo stesso giorno. Mi hanno portato a Praga affittando un aereo privato. Ho cantato Serenade e Sarà quel che sarà con la Filarmonica di Praga, era ancora Cecoslovacchia. Lo spettacolo fu trasmesso nelle tv di tutti i Paesi dell’Est, e anche alla radio. Bella esperienza».
Dal 1998 al 1992 ha vissuto a Los Angeles, collaborando per film statunitensi.
«Erano film mai arrivati in Italia, la colonna sonora del film Wilding, che si trova anche sul mio canale YouTube, e poi un altro con Andy Garcìa, Perseguitati dalla fortuna…».
Come si trovò nella città californiana?
«Mi trovai bene, perfezionai il mio inglese americano, una delle mie lingue preferite, era prima che si rovinasse tutto con l’attentato delle Torri Gemelle».
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Indimenticabile la sua partecipazione a quei pomeriggi Rai con Paolo Limiti…
«Limiti era un gran signore, di quelli che non si trovano più perché hanno buttato lo stampo. Un grande ricercatore degli aneddoti più curiosi sugli artisti».
Un programma che faceva compagnia a mamme, studenti e anziani.
«Stavo benissimo. Mi avevano contattato da Milano e accettai subito di partecipare. Lui mi fece cantare un brano, dal vivo, in diretta, con il maestro Ettore Righello. Gli piacque e disse: “La Rivale tre volte a settimana, fissa, tutto l’anno”».
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