Fabio Amendolara per ''la Verità''
L' inchiesta che partendo da Lecce picchia sul palazzo di giustizia di Trani offre ancora molte sorprese: oltre ai rapporti con il mondo renziano ci sono ricatti tra toghe, minacce anche poco velate e, a ventilatore acceso, palate di fango lanciate su diversi magistrati. O, forse, notizie di reato. Perché il protagonista delle telefonate è uno dei magistrati finiti al gabbio: Antonio Savasta, pubblico ministero a Trani e, fino al momento dell' arresto, giudice a Roma.
antonio savasta
Nell' inchiesta è accusato di aver assicurato il buon esito di alcuni procedimenti per vicende giudiziarie e tributarie degli imprenditori coinvolti, in cambio di soldi e oggetti preziosi. Il 18 novembre scorso, il giudice è a colloquio con Flavio D' Introno, indagato anche lui per aver goduto dei favori della toga. Savasta, emerge dall' inchiesta, cerca di comprare il silenzio di D' Introno (che registra l' incontro) offrendogli soldi per consentirgli di organizzare una latitanza all' estero prima che vada in esecuzione una sentenza di condanna.
Nella telefonata lo richiama al rispetto del «patto d' onore» in precedenza stipulato. Savasta gli rinfaccia di essere stato troppo leggero con un certo Tarantini. E, a muso duro, gli dice: «Alla fine tu hai utilizzato quella persona, che è una terza persona che sa i fatti nostri». E anche se D' Introno gli fa presente che «quello non parla», Savasta usa quella vicenda per ricordare all' amico che «anche per evitare altre conseguenze... in ogni caso io sto sempre dalla tua parte e rispondo pure io personalmente».
michele nardi
A sentire D' Introno, Michele Nardi, l' altro magistrato finito nei guai, si era fatto offrire diversi viaggi da Tarantini che, quindi, «aveva capito la sua capacità economica». E, a quel punto, «ebbe un prestito da 90.000 euro», dice D' Introno, «che non ha mai restituito e si è fatto i viaggi, gli ha fregato i soldi e ha fatto la causa del lavoro... Nardi a me mi teneva sotto, io che devo fare?». Savasta lo sgrida: «Però tu tutto questo me lo dovevi dire in tempi precedenti». Un modo per correre ai ripari c' era. Alla tranese. Ossia, come era usanza fare in quegli ambienti malati del palazzo di giustizia. E, infatti, Savasta spiega: «Prima della sentenza della Cassazione dovevamo organizzare... io avendo più tempo avrei avuto la possibilità di mettere a lui nella gogna».
E insieme a lui nella gogna ci è finita anche un' altra toga.
Nei documenti il nome è coperto da un omissis perché, forse, gli investigatori hanno voluto tutelarlo. Oppure perché ci sono degli aspetti investigativi ancora da approfondire. Savasta e D' Introno parlano di un altro magistrato, ex dell' antimafia in Puglia (e da allora sotto scorta), che dopo un passaggio in un altro Tribunale è finito in Cassazione.
antonio savasta
E lì D' Introno era certo che gli sarebbe arrivata una mano.
«Io gli ho dato 100.000 euro», dice D' Introno. E aggiunge: «Quello mi ha estorto soldi lui e (omissis), da paura! Da paura! Fino al 2016, tramite la sorella che poi è morta con il tumore... là il cognato... Ruggiero... Dove deve scappare?
Io ho dato 100.000 euro [...
] no, io ti faccio condannare...
così, colà... quello ha estorto soldi che voi non avete idea».
Savasta chiosa: «Quello veramente è un pazzo delinquente criminale». D' Introno vorrebbe recuperare parte di quei soldi, ma Savasta lo blocca: «Il bastardo sicuramente il 90 per cento se li sarà fottuti tra puttane». Il discorso continua e a finire nel calderone è un altro giudice che ha il fratello che fa il consulente della Procura di Trani. «Sai quanti incarichi e stra incarichi ha avuto», dice D' Introno. Anche questo nome è omissato. Ad aprire il discorso è proprio l' imprenditore: «Come per esempio (omissis) è un altro animale...». E Savasta aggiunge: «Sono tutti il peggio del peggio, perché è tutta una squadra, dove in realtà l' elemento di punta è (omissis) perché Nardi e (omissis) sono due persone che si odiano a morte».
D' Introno, però, precisa: «Sì, ma quelli quando ci sono i soldi mangiano e bevono insieme». E sono anche intoccabili. Uno dei due avrebbe detto a Savasta: «Questo (omissis) qua se ne viene... ti mando la mafia garganica...
PROCURA DI TRANI
ma che pezzo di...». A dire dei due, quei colleghi si sentono onnipotenti. Savasta, invece, era in disgrazia e ha dovuto tribolare per riuscire a trovarsi a cena con Giovanni Legnini. Dopo l' incontro con l' ex ministro dello Sport Luca Lotti, la cena con Legnini è considerata dagli investigatori una delle utilità di cui si è avvantaggiato Savasta.
Luigi Dagostino, ex socio di babbo Tiziano Renzi finito anche lui in questa inchiesta, annota sulla sua agenda del 2016: «Cena casa Luciano». E, dopo la data, il 6 dicembre 2016, in una parentesi elenca tre cognomi: «Legnini, Biscu, Sava». Il terzo è il nome abbreviato del giudice nei guai. Il secondo è Pietro Biscu, manager romano della Ads, azienda spot del Rottamatore Matteo Renzi, che in soli due anni è passata dalla propagandata espansione grazie al job act al fallimento.
PROCURA DI TRANI
E il primo è Giovanni Legnini, «inconsapevole», annotano gli investigatori, «della presenza del magistrato pugliese indagato». All' epoca Legnini era vicepresidente del Csm e presidente della commissione disciplinare che doveva pronunciarsi sul trasferimento d' ufficio di Savasta, incolpato davanti all' organo di autogoverno della magistratura per aver attestato il falso nell' atto di compravendita di un fabbricato.
Qualche giorno dopo Dagostino è a telefono con Biscu e gli chiede della cena: «Hai avuto riscontri della serata?».
La risposta è : «Positivo [...] sì sì... ci sono grandi aspettative». Ma la storia si è conclusa con l' arresto di Savasta.
luigi dagostino