Francesca Sforza per “la Stampa”
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Il presidente Zelensky cammina da solo, attraversando una Kiev deserta puntellata da barriere anticarro e rivolgendosi al suo popolo e al mondo sulle note di un pianoforte quasi senza accompagnamento. È lui l'immagine del 9 maggio ucraino, che risponde alla parata moscovita - la stessa da decenni - con la semplicità e la retorica del grande comunicatore.
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Niente di più vero, dunque, di quando nel video dice che «Questa è una guerra fra due visioni del mondo»: da una parte la scenografia post-sovietica, con i suoi cappotti allacciati e le bandierine sventolanti, dall'altra il mondo di Netflix, con pause, ritmi ed effetti capaci di parlare alle nuove generazioni.
Perché dall'inizio del conflitto a oggi la cosa che è davvero cambiata è il rapporto fra i due popoli: solo 75 giorni fa si consideravano fratelli, capaci magari di insultarsi, ma all'interno di una famiglia comune; dal 24 febbraio sono diventati nemici, e l'odio tra loro non è destinato a estinguersi.
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«Non c'è niente di più pericoloso di un nemico insidioso, ma non c'è niente di più velenoso di un falso amico - diceva ieri Zelensky nel suo video citando il filosofo ucraino Hryhorii Skovoroda, di cui i russi hanno bombardato la casa-museo -. Il 24 febbraio abbiamo realizzato questa verità, un falso amico ha iniziato una guerra contro di noi, credendo con i suoi missili di poter distruggere la nostra filosofia. Siamo persone libere che abbiamo davanti il nostro percorso non daremo a nessuno un solo pezzo della nostra terra».
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Zelensky ha ricordato che gli ucraini sono morti per combattere i nazisti e che nessun occupante «ha messo radici nella nostra terra». «Nonostante l'orda, nonostante il nazismo, nonostante la mescolanza del primo e del secondo, che è l'attuale nemico - ha aggiunto - vinceremo, perché questa è la nostra terra, perché se qualcuno sta combattendo per lo zar, il Führer, o un capo di partito, noi stiamo combattendo per la Patria. Non abbiamo mai combattuto contro nessuno. Combattiamo sempre per noi stessi. Per la nostra libertà».
bombardamenti a lugansk
Ieri a Kiev la paura era tanta, già dal mattino si annunciavano bombardamenti: «Preparatevi ad attacchi missilistici, andate nei rifugi», si leggeva nel canale Telegram di Vox Ukraine. Si pensava a una prova di forza proprio al termine della parata sulla Piazza Rossa. Invece, fortunatamente, gli attacchi non ci sono stati, e la capitale ha respirato. Nei prossimi giorni, tra l'altro, è atteso il ritorno dell'ambasciatore americano, mentre gli inglesi hanno riaperto la scorsa settimana.
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Questo significa che riprenderanno gli incontri ad alto livello anche con i rappresentanti del governo ucraino, e si cercherà di capire quali possono essere le strade per una soluzione. Troppo presto - spiegano fonti diplomatiche europee - per immaginare che si possa mettere nero su bianco una bozza con la designazione dei confini post-bellici. Ci sono ancora troppi scontri e di fronte a un così grande numero di morti è praticamente impossibile parlare di spartizioni territoriali.
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La linea dell'amministrazione ucraina infatti è "creativa" solo in apparenza: talvolta mette sul tavolo proposte per sondare l'umore dell'avversario, ma la linea resta piuttosto chiara. Per prima cosa si tratta di ottenere un cessate il fuoco (sarebbe già considerato un grosso risultato) e dopo un cessate il fuoco abbastanza duraturo si potrà cominciare a parlare del resto. C'è la questione dello status, della neutralità, della militarizzazione, della gestione delle due culture, delle garanzie di sicurezza.
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E solo all'ultimo, dopo che tutti questi punti saranno chiariti, sarà possibile parlare di territori. Adesso la diplomazia europea ha un compito chiave, che la vedrà in prima linea nelle prossime settimane nel confronto con gli altri rappresentanti delle istituzioni occidentali, dalla Nato agli Stati Uniti.
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La priorità - spiegano le fonti - è aiutare Kiev a ottenere il cessate il fuoco e, contestualmente, frenare il più possibile fughe in avanti sul fronte di soluzioni che risulterebbero frettolose (dunque inutili). Finché le armi non cesseranno di sparare e un barlume di normalità non si affaccerà nella prospettiva quotidiana del popolo ucraino, qualsiasi disputa sui confini - Crimea sì, Crimea no, Donbass sì, Donbass no - avrà soltanto l'effetto di ritardare una sospensione delle ostilità. Solo allora l'Ucraina potrà immaginare, come ha detto ieri Zelensky, di poter festeggiare due giornate della vittoria. «Mentre agli altri non ne resterà neanche una».
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