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    TORNA GIULIO, TUTTO E’ PERDONATO! – AVVISATE LA SINISTRA IPOCRITA CHE LA SERIE CAPOLAVORO “HOUSE OF CARDS”, CHE FUROREGGIA SUI DUE LATI DELL’ATLANTICO, E’ UN PURO DISTILLATO DI ANDREOTTISMO: IL POTERE LOGORA CHI NON CE L’HA. AMEN


     
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    Claudio Gallo per ‘La Stampa'

    HOUSE OF CARDSHOUSE OF CARDS

    Si fa presto a dire un libro, un libro oggi non è più soltanto un libro. Passando dalla parola all'immagine attraverso il toboga numerico del digitale, l'opera letteraria piomba in una specie di quarta dimensione, in cui il tempo cessa di essere irrevocabile e il futuro può cambiare il passato.

    Prendiamo il romanzo House of Cards dell'inglese Michael Dobbs, appena tradotto per Fazi (pp. 448, € 14,90) sull'onda del successo della trasposizione televisiva americana con Kevin Spacey, preceduta dalla serie britannica con Ian Richardson, targata Bbc. È la storia di un politico del dopo-Thatcher, Francis Urquhart, FU per gli amici (inutile ascondere l'assonanza con Fuck You), che nella sua ostinata ascesa alla poltrona di primo ministro perde i pochi scrupoli che aveva, giustificando con il fine qualsiasi mezzo, anche l'assassinio. Nient'altro, con qualche eccesso, di ciò che la gente pensa dei politici nonostante continui a votarli.

    Le versioni per il piccolo schermo (ma è impossibile che prima o poi non arrivi al grande) sono cresciute di una vita propria, scostandosi progressivamente dall'originale, quella americana molto più di quella britannica. Con un occhio alla verità e l'altro al marketing, Dobbs giura però che lo spirito dell'opera è rimasto intatto. Paradossalmente, si potrebbe dire che quando nel 1989 uscì la prima edizione inglese di House of Cards, il futuro premeva già per la sua gloria. Quella versione infatti era abbastanza diversa da quella che leggeranno ora i lettori di molti Paesi, Italia compresa, e che presto finirà nelle mani degli americani.

    HOUSE OF CARDSHOUSE OF CARDS

    Era infatti la versione che ancora oggi leggono gli inglesi, dove il protagonista si uccide gettandosi dalla terrazza sul tetto del Parlamento, di fronte a un indifferente Big Ben. Il romanzo si apriva con una falena che, ebbra di luce, si fionda dentro un lampione «attratta dai 10 mila watt e da un milione di anni di istinto», e alla fine c'era il rogo di un'altra farfalla che, allora si capiva, era lo stesso protagonista, per cui l'attrazione verso il potere era stata altrettanto irresistibile e fatale, quanto la luce elettrica per l'insetto.

    Effetto speciale molto convenzionale, forse un po' insistito: la povera farfalla svolazza ancora a metà libro, «il potere è una droga, come la candela per la falena», sentenzia un personaggio.

    Nella nuova versione riscritta per l'esportazione, l'autore ha cambiato diverse cose: il successo televisivo ha trasformato il libro direttamente dal futuro. Prima di tutto FU non si uccide, se no come avrebbe fatto Dodds a scrivere ancora due libri da cui sono state tratte le trilogie televisive? Per il piacere del lettore e del pubblico che continueranno a godere della sua brillante cattiveria, sopravvivrà alle sue trame criminali, non diciamo come per non guastare l'attesa del lettore, anche se i telespettatori della Bbc sanno tutto da 14 anni.

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    La falena così non chiude più il cerchio narrativo come nella versione originaria, il motto della casa diventa: il potere logora chi non ce l'ha. È esattamente il finale della prima serie della Bbc con il bravissimo attore shakespeariano Ian Richardson che dirà di essersi ispirato per la parte di Urquhart a Riccardo III.

    Il restyling del romanzo introduce anche una diversa organizzazione dei capitoli, all'inizio puramente cronologici, scanditi da date come in un diario. Adesso ogni sezione ha in testa un aforisma di Urquhart, distillati di cinismo resi famosi dalla tv, come «L'ambizione per propria natura richiede sempre delle vittime», oppure «Il cambiamento arriva quando è ormai impossibile resistere. In altre parole, se tieni un uomo per le palle e gliele tiri forte, lui immancabilmente ti seguirà». In un mondo come il nostro, dove regna la legge della giungla ma non si può dire, questo tipo di cattiveria ha un effetto catartico.

    Il motto più celebre di FU è entrato nel linguaggio politico del mondo reale: «Siete liberi di pensarlo ma io non posso fare nessun commento in merito», che in inglese suona ancora più impettito e dunque più ipocrita: «You might very well think that; but I couldn't possibly comment». Questa sublime espressione di doppiezza è adesso chiamata in politica «Urquhard Avoidance», più o meno l'elusione di Urquhart, perché afferma una cosa pretendendo formalmente di negarla.

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    Michael Dobbs ha finito la sua carriera al vertice del partito conservatore più o meno dove il suo FU la comincia. Urquhart è all'inizio Chief Whip, termine difficile da rendere, che la versione italiana, forse giustamente, non traduce, ma che si potrebbe approssimativamente rendere con Presidente del gruppo parlamentare.

    Una figura influente che ha quasi il potere di un ministro ma che soprattutto, dovendosi occupare anche di etica e disciplina, viene a sapere i segreti inconfessabili di ministri e parlamentari. Questa conoscenza del lato oscuro della politica, che il libro svela come la sua dimensione essenziale, è l'inesauribile fonte dei ricatti di Urquhart. L'universo di House of Cards è pienamente hobbesiano, il politico è un lupo tra i lupi.

    Per poter tollerare il mondo così com'è, la società lo nasconde, coprendolo di valori a cui solo gli sciocchi credono. Ma una realtà in cui tutto è male sembra soltanto il contrario di quella in cui tutto è bene, entrambe sono alla fine poco credibili. Il peso delle azioni malvagie infatti scalfisce poco l'Urquhart del romanzo e ancora meno quello della serie Bbc, nonostante la recitazione superba di Richardson. Ci si domanda infatti perché uno tifi sempre perché le trame di FU vadano a buon fine, nonostante la loro evidente malvagità.

    HOUSE OF CARDS MICHAEL DOBBS LIBRO.HOUSE OF CARDS MICHAEL DOBBS LIBRO.

    Il Michael Corleone (Al Pacino) del Padrino di Coppola ha la stessa consapevolezza di FU quando dice a un politico corrotto «Io e lei siamo parte della stessa ipocrisia». Ma Michael è trasformato e svuotato dai suoi delitti, consumato come un Dorian Gray quando alla fine torna a guardare il quadro. Urquhart invece, anche perché deve sopravvivere a tre serie, scivola sopra suoi i delitti con nera ironia. Tanto divertente quanto irreale, somiglia più a un archetipo che a una persona.

     

     

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