Giovanni Audiffredi per "DLui - la Repubblica"
oliviero toscani
«Non tagliate la carta, che detesto gli sprechi. Poi mi basta una luce sola. Così proviamo che l’ombra sia bella incisa». Oliviero Toscani, il 28 febbraio compirà 80 anni, è seduto su una vecchia poltrona da ufficio con le rotelle e spicca ordini perentori.
Sta allestendo il set del prossimo servizio fotografico. Due assistenti eseguono freneticamente. Provano a dire qualcosa, ma lui li sovrasta.
Srotolano un rullo di carta bianca appeso al soffitto per fare il fondo: «Prendete due pali e schiacciatelo bene alla parete. Ho detto bene. Ora delle lastre di plexiglass per fare il pavimento. Spingetele di più: devono essere a filo. Ecco, ci siamo, è pronto. Non serve tanta roba. Possiamo andare a mangiare». Indossa il cappello da Indiana Jones bordato di piume, il cappotto di casentino arancione fluo e sentenzia: «Attraversiamo la strada, qui davanti, ai Binari, si mangia l’ossobuco».
muhammad ali fotografato da oliviero toscani
Usciamo dal portone di Via Tortona, 16, un indirizzo emblematico per la fotografia di moda a Milano. Tutti quelli del mestiere sanno che corrispondeva allo studio di Giovanni Gastel, morto il 13 marzo 2021. Fino alla stessa data di quest’anno, la mostra People I Like, alla Triennale, ne ricorda il lavoro di ritrattista.
Toscani, perché ha scelto di venire a lavorare proprio qui?
«Giovanni… che tipo che era. Mi manca. Nel 1982 nella redazione di Donna, stavo litigando con il mio amico art director Flavio Lucchini che voleva farmi fare un servizio: The Great Gatsby. Una cazzata pazzesca.
Con tutto quello che accadeva nel mondo, noi a fare quella roba lì. Io gli dico: “Fatti il tuo giornaletto, me ne vado”. E lui mi risponde: “Bene, non sentirò la tua mancanza, il primo cretino che si presenta qui farà quello che fai tu”. Apro la porta e mi si para davanti Giovanni Gastel, con il book in mano. Intendiamoci, non era affatto cretino, gli ho detto: “Ciao, tocca a te”. E la mia segretaria, Carla Ghiglieri, diventò la sua agente. Giovanni era un lord lombardo».
fellini foto di toscani
Lei invece, milanese dell’Isola, nato sotto i bombardamenti degli inglesi.
«Mia mamma andò in tram a partorirmi alla Mangiagalli. Poi siamo stati sfollati in campagna, a Clusone, in casa di contadini. Sono tornato a Milano a tre anni, ma ero infelice, deperivo senza giocare con cavalli, oche e vacche. Allora mi riportarono lì e vivevo a piedi nudi».
È vero che suo padre fotografò Benito Mussolini impiccato in Piazzale Loreto?
«Certo. Era un dissidente tollerato dal regime perché faceva il reporter per il Corriere della Sera e filmava per l’Istituto Luce. Conosceva bene Mussolini. Aveva capito il carattere tragicomico del regime. Scattava e poi le foto venivano divise: quelle passate al vaglio della censura del Minculpop, andavano alla propaganda interna; mentre quelle scartate le vendeva a un’agenzia di Londra. Il regime faceva finta di non sapere».
cover elle francia foto di toscani
Cosa ha imparato da lui?
«Ho il suo modo di affrontare le cose, con una macchina in mano. È un attrezzo che serve a porsi delle domande. Mai lavorato insieme. Sì, andavo nel suo studio, avevo l’occasione di frequentare dei luoghi: a Monza per la Formula 1, alle partite dell’Inter. A mio padre andava bene che facessi quel lavoro, però non da autodidatta. Dovevo studiare».
Così la spedì a Zurigo alla scuola di Arti e Mestieri?
«Quello è tutto merito di mia sorella Marirosa e di suo marito Aldo Ballo, grandi fotografi che volevano che mi educassi. Lì si respirava il clima della Bauhaus».
Sì, ma lei parlava tedesco?
«No. Ma, io sono così. La mia fortuna è che se c’è un problema, reagisco con slancio. Non sono timido davanti al rischio. Adesso parlo tedesco».
Tornò pieno di tecnica?
liliana mancini sopravvissuta a sant anna di stazzema foto di toscani
«Non sto qui a fare il modesto: ho una preparazione che non ha nessuno. Io non ci devo pensare alla tecnica. Quando siamo passati dalla pellicola al digitale per me è stato naturale. Le regole non esistono. Il talento è un concetto astratto, va esercitato e gestito. La macchina fotografica è solo un mezzo, non il fine».
È vero che lei scattava anche quattro lavori al giorno?
«Ci si esprime con il lavoro, non con le vacanze. Per me la vacanza significa vacuum: vuoto».
Descriva una foto alla Oliviero Toscani.
«Diana Vreeland, storica firma di Harper’s Bazaar e Vogue America, mi disse: “Le tue immagini brillano, hanno il sole dentro”».
beth ditto foto di toscani
A proposito di Vogue, è vero che ha litigato con Anna Wintour?
«Litigato… Sono andato via e l’ho lasciata lì. All’inizio era divertente, ma più è entrata nella linea del potere, più si è incupita. Le ho detto che non mi piaceva lavorare con lei e con il suo metodo di controllo a ogni scatto».
Franca Sozzani, storica direttrice di Vogue Italia, ha scritto: «Oliviero mi chiamava puntaspilli deficiente».
«Un giorno arriva su un set come assistente di Gisella Borioli. Franca era fasciata di Yves Saint Laurent. La guardo e le dico: “Ma dove credi di stare? Oh, ma guarda che tu sei venuta a puntare gli spilli, deficiente”. Lei era divertente e caustica insieme. Si è messa a ridere. E quella parola se l’è tenuta cara».
Come ha iniziato a fare foto di moda?
peter seller foto di toscani
«Negli anni Sessanta ero un reporter, figlio di reporter, che scattava per l’Europeo. Ma mi ero reso conto che quel mondo si stava esaurendo. Alla Rizzoli mi chiesero di fotografare degli impermeabili da donna e capii che ci poteva essere una nuova dimensione della fotografia, interpretata con codici diversi, con creatività personale. Il vero reportage era la moda. Mica la Settimana Santa in Sicilia di Ferdinando Scianna».
Forse una cosa non escludeva l’altra?
«No. Perché l’evoluzione della fotografia era stare dove la vita prendeva nuove forme: a Londra a immortalare le minigonne, che hanno rivoluzionato il mondo. Altro che preghiere».
Già, lei e la religione…
«Vengo da una famiglia laica: una religione seria».
toscani bambino con alberto ascari
Insomma, la moda l’aveva affascinata?
«Mettere insieme dei vestiti è documentazione commerciale. La moda è quello che accade nella cultura di un tempo, è un atteggiamento socio-politico. E in quegli anni aveva una funzione eversiva. Mi interessava. Poi è piombata nel conformismo estetico».
Per questo si è messo davanti allo studio di Andy Warhol a fotografare quelli che suonavano al campanello?
«Certo, perché così rivelavi la moda. Quelle persone erano interpreti di un racconto. Poi la moda è diventata un burqa per colpa dei brand. Se non possiedi una certa cosa di una certa firma sei escluso, altro che incluso. Una forma sottile di costrizione sociale».
oliviero toscani pannella
Tra tanti uomini, il suo preferito?
«Muhammad Alì. Incredibile, lui era completo: bello, carismatico e rivoluzionario, con un impegno sociale che ha trasformato uno sportivo in un leader mondiale. Pensate al baccano che ha fatto Cristiano Ronaldo quando ha detto che non beve Coca-Cola. Ecco, se si occupasse seriamente anche d’altro, che impatto potrebbe avere».
oliviero toscani. campagna pubblcitaria 5
È vero che il suo lavoro ha influenzato la carriera di Giorgio Armani?
«All’inizio conoscevo sua sorella Rosanna che faceva la modella per un giornale che si chiamava Arianna. Era intelligentissima. Poi Giorgio, che era stato promosso in Rinascente all’ufficio acquisti, mi fece fotografare delle orribili tazze messicane che aveva comprato. Di ritorno da un reportage nella base dei marines di Quantico, in redazione a L’Uomo Vogue, incontro Armani che parlava con Lucchini di lanciare la sua casa di moda.
oliviero toscani
Se ci fate caso, il logo Giorgio Armani è nello stesso carattere Bodoni che usavamo al giornale. Giorgio guarda le diapositive e ne porta via alcune. La sua prima collezione, fatalità, è tutta d’ispirazione militare».
Uomini a cui ha detto: sì?
«Quasi sempre a Luciano Benetton. Altro pianeta maschile. Lo correggo solo quando dice: “Questa è una foto alla Benetton”. No, una foto alla Toscani».
Uomini a cui ha detto: no?
«Il mio grande amico Elio Fiorucci, genio assoluto, filosofo della moda, insiste per presentarmi Silvio Berlusconi. Fine anni Settanta, eravamo in una casa della Milano bene in Via Bigli. Berlusconi chiede a me e a Umberto Eco di lavorare per lui. Gli rispondiamo entrambi di no. Questione d’istinto per la libertà».
oliviero toscani warhol
È vero che con il suo amico fotografo David Bailey facevate a gara per sedurre modelle?
«Mettevamo le crocette sulle loro foto appese. A volte anche sulle stesse. Ma, non sono mai stato un arrapato. Quando ho conosciuto mia moglie Kirsti sono tornato al mio imprinting di rigore famigliare».
Ha sei figli: che padre è stato?
«Ho cercato di essere un padre onesto. Meglio un ladro onesto, che ammette la colpa, che un banchiere ladro. I miei figli a volte mi hanno criticato, ma ora vado d’accordo con tutti, mi portano i nipoti e ne sono felice».
Sa che mettere insieme delle sue foto d’archivio è un’impresa? Perché non ha tenuto traccia di tutto il suo immenso lavoro?
«Per me l’archivio significa guardare indietro con rabbia del passato. Non mi interessa».
oliviero toscani e la mamma
Però alle foto che ha fatto ai sopravvissuti all’eccidio di Sant’Anna di Stazzema ci tiene.
«Quelle sono un documento storico. Ho dimostrato che fotografare è un insieme di professionalità. Sei autore, sceneggiatore, direttore delle luci che illumina gli occhi e poi fai il regista: raccontami la storia. Intanto, guardi e scatti. Ecco, cos’è il vero fotografo. Altrimenti è solo un operatore alla macchina».
Instagram lo usa?
«L’ho studiato, l’ho capito, posso dire che non mi interessa. Io sono il mio pubblico, non voglio accontentare nessuno. Io sono il cliente più difficile. Non sono alla ricerca del consenso dei followers».
Toscani, ha 80 anni.
«Non avrei mai immaginato di arrivarci così lucido. Beh, mi sembra di aver vissuto».
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