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    A ROMA, TRA DESTRA E SINISTRA, VINCE IL CENTROTAVOLA! DALLA PRINCIPESSONA IRA FÜRSTENBERG AL “CABLE” DEL RE DI DANIMARCA CHE RINGRAZIA “PER LO SPLENDIDO PRESCIUTTO”, DA AGNELLI CHE MANGIAVA SOLO INSALATA AD ARBASINO INSIEME A UN AMICO IN TUTA DA MECCANICO, 60 ANNI DI ATTOVAGLIAMENTI AL BOLOGNESE, IL RISTORANTE (CHE NON CHIUDE) DELLA ROMA GODONA – GHEDDAFI CON ASSAGGIATORE, CLAUDIA SCHIFFER CHE TIRA IL SECCHIELLO DEL GHIACCIO A BARILLARI, IL CONTO DA 7MILA EURO A ABRAMOVICH - COME DAGO DIXIT, IL BOLOGNESE E' STATO RILEVATO DA MARTINO BENVENUTI (CATTLEYA EVENTS) E DALLA FAMIGLIA CHIRICHIGNO...


     
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    Michele Masneri per “il Foglio” - Estratti

     

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    Ma tornando a noi, il Bolognese chiude davvero?

     

    gheddafi bolognese gheddafi bolognese

    Il Bolognese è da sempre a Roma ilristorante, non della borghesia che a Roma non esiste, semmai di un generone-chic, con inserti alto-turistici. Avvocatoni e palazzinari, Christian De Sica e il ministro Severino, Cecchi Gori e Marisela Federici. Mastella e Lele Mora. Rania di Giordania. Angela Merkel. Principi, con regno o senza, o del foro; eccellenze, dottori (nel senso di dottò e nel senso di medici, magari del Gemelli). Ritorni, partenze, divorzi. Anche funerali, per dopo-cerimonie nella chiesa degli Artisti (che non si capisce mai qual è, delle tre sulla piazza).

     

    Fino a qualche anno fa si poteva richiedere pure la tariffa giornalisti (a Roma c’è una tariffa giornalisti per tutto, anche per i parrucchieri, generalmente noi goffi del nord lo scopriamo solo in tarda età): insomma una specie di mondo Freccia Alata, immutabile. Può questo mondo finire? Non può.

     

    elton john al bolognese elton john al bolognese

    L’allarme l’ha dato un grand’attovagliatore, Guido Barendson, sui social, poi rimbalzato su Dago e quindi si va, embedded e attovagliati (ma solo per un caffè). Il terrore è che il Bolognese diventi il regno di sferizzazioni e spume, di quei piatti magari di roccia o basalto (che ci si chiede sempre come li laveranno, andranno in lavastoviglie?) o all’opposto una mangiatoia influenceristica di quelle con le focacce o i panini con mollica o senza, e coi loro derivati, e la coda.

     

    Insomma una delle due facce della Roma – ma dell’Italia e forse del mondo – ormai pluristellata o trapizzinizzata, da una parte hotel di lusso sibaritico tutti uguali, con prezzi triplicati, frequentati solo da cinesi e texani, fin quando qualcuno si accorgerà che ci sono solo influencer texani e andrà altrove, come è già successo a Positano. Dall’altra, l’esploratore ciabattone dell’overtourism che arriva sul suo nuovo mezzo di trasporto preferito, la golf car lunga lunga, tipo Brucaliffo, e si mette in fila grattandosi il fantasmino in attesa di fotografarsi a fauci spalancate.

     

    springsteen dal bolognese springsteen dal bolognese

    No, niente di tutto questo. “Sferizzazioni? Che fa, provoca?” dice al Foglio il direttore storico Claudio Antonelli, “Mai. Tutto resterà com’è. Qui siamo e qui rimaniamo”, perché è vero che c’è un nuovo acquirente ma nulla cambierà. “E non chiuderemo neanche un giorno, come non abbiamo mai chiuso in 60 anni”. Ah, ecco, dunque tutto rimane uguale, “i piatti bianchi e tondi personalizzati, gli 80 coperti dentro e 85 fuori, sotto gli ombrelloni bianchi, 37 dipendenti”, come una media impresa. Stessi chef. “Ma noi li chiamiamo cuochi”. A comprare non cinesi o arabi ma addirittura un rampollo della commedia all’italiana, Martino Benvenuti, nipote di quel Leo fondamentale che scrisse “Fantozzi”, “Amici miei” e i film di Verdone.

     

    Cosa spinge un trentenne “der cinema” già in forze alla società di produzione Cattleya a buttarsi sui ristoranti, come insegna Boris (l’unica cosa seria in Italia è la ristorazione)? “Non cambia nulla”, dice solo al telefono, non cambierà neanche l’arredo, conferma il direttore seduti a uno dei tavoli più ambiti, quello tondo “dell’orologio”, sotto appunto un orologione di bronzo, tavolo da 4, di fronte all’altro ambitissimo, quello invece sempre tondo “da sei ma che può arrivare a otto”, e dà sulla vetrata, racconta Tomaselli. Lì andava sempre la compianta principessona Ira Fürstenberg insieme alla gagliarda duchessa Marilù Gaetani d’Aragona. E’ il tavolo “del telegramma”, dal “cable” incorniciato al muro del re di Danimarca Federico II che ringrazia “per lo splendido presciutto”, in romanesco nel testo.

    dal bolognese dal bolognese

     

    Il Bolognese vuol essere “come la sala da pranzo di una casa privata”, dice il direttore Antonelli, e meglio ancora sembra la sala da pranzo di un circolo, ma non c’è il circolo e il Tevere è lontano. E del resto il Tomaselli père per un po’ gestì il ristorante del Circolo del tennis di Casablanca, dunque tutto torna. E non è forse Roma l’unica città mediorientale senza un quartiere europeo? (frase abusata e attribuita a un presidente del Consiglio, Francesco Saverio Nitti). Ma come una casa o una villa il Bolognese è stato comprato “a cancelli chiusi” come passava di mano la villa di “Speriamo che sia femmina”, altro filmone scritto da Benvenuti. Col personale dentro.

     

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    Il Bolognese, diciamolo, è la nostra Côte Basque (cioè il ristorantone dove si svolge parte di “Preghiere esaudite”, il romanzo di Truman Capote, che si vede anche nel “Feud” derivato in onda su Disney+). Capote era frequentatore nei suoi mesi romani, racconta al telefono l’ormai ex proprietario, Alfredo Tomaselli, che rimane in forza al “Bolognese” di Milano, succursale nella città più roboante e ricca e meno ciabattara. Al Bolognese ci si andava e ci si va non tanto per provare un’esperienza culinaria bensì per vedere ed essere visti, dentro o fuori o anche nella saletta riservata dietro il banco dei prosciutti e il minuscolo guardaroba dell’ingresso. Si veniva e si viene anche per confermare d’essere in vita, quindi dopo rovesci finanziari, medici, amorosi, giudiziari. Se stai al Bolognese vuol dire che sei vivo e sei ancora qualcuno.

     

    Magari seduto sotto gli “Alianti” di Franco Angeli o i ritratti molto pop di Enzo Ferrari, o dell’Avvocato Agnelli (“che mangiava solo insalata” dice Tomaselli. “I due quadri sono di un mio vecchio amico, Marcello Reboani”). Il Bolognese nacque che si chiamava già così: “Mio padre era un operaio della Ducati, erano emigrati in Marocco e poi tornati in Italia, a Roma. Piazza del Popolo fu un azzardo perché fino agli anni Sessanta qui ci stavano i ciabattini. Comprarono un ristorante che già esisteva e già si chiamava il Bolognese, e così non dovettero neanche cambiare né insegna né piatti, per risparmiare”.

     

    dal bolognese santanche dal bolognese santanche

    Poi scuola di piazza del popolo, Schifano e le sue principesse scapestrate, Franco Angeli appunto, e gli aperitivisti del confinante bar Rosati (che ancora resistono, come Luigi Ontani che ogni giorno ancor oggi prende due tavoli, per non esser disturbato, insieme alla contessa proprietaria dello stabile di piazza del Popolo 1, che ne prende due pure lei per lo stesso motivo). “Il successo arrivò con un’intervista che Piero Vigorelli fece sulla Rai tv, registrata all’interno del ristorante; all’epoca andare in tv era una cosa eccezionale”, dice Tomaselli.

     

    martino benvenuti martino benvenuti

    E da lì il successo non è mai finito. Il Bolognese col suo menu immutabile (roast beef e puré, carrello dei bolliti, tagliatelle appunto alla Bolognese, mozzarella di bufala, tagliata di carciofi) è un posto dove si va per salutare, più che per mangiare, o meglio, gli stranieri mangiano, i romani salutano, tra doppiopetti locali e americani, facce romane indistinguibili da hidalgos ispanici o ecuadoregni (magari ambasciatori, con macchine targate Corpo Diplomatico parcheggiate fuori tra i motorini e gli stornellatori). E anche oggi, la questuante appoggiata a un suv luccicante, “ingegnè che me lo dai un euro? Nooo? Allora vattelapijaaa”. Insomma, Roma.

     

     

     

    Roma anche letteraria, e Hollywood sul Tevere. E del resto Truman Capote per un periodo appunto abitava appunto qui dietro, a via Margutta, colazione non da Tiffany ma magari da Bulgari; scrivendo pezzetti mondani per Vogue, “e veniva come quell’altro grande americano, Gore Vidal”, i due omologhi e un po’ rivali del nostro Alberto Arbasino, che qui invece pranzava spesso e volentieri anche per la vicinanza con l’abitazione di via Gianturco.

     

    il bolognese il bolognese

    A colazione col fratello Mario industriale farmaceutico, o col compagno Stefano. Il sublime ambasciatore Maurizio Serra, unico immortale italiano tra i membri dell’Académie Francaise, ricordò di un “lunch” all’una a cui Alberto si presentò esattamente un’ora dopo, e nessuno ovviamente accennò a quella bizzarria, sarà stato il cambio d’ora legale. Più bizzarro quando Walter Siti scrisse – mi pare in “Troppi Paradisi”, dunque fiction – di Arbasino lì con un amico in tuta da meccanico, forse vero meccanico, ma tutto può essere.

     

    Altri scrittori: Bassani “che era amico di mio padre”, dice Tomaselli; Ungaretti (che ha lasciato una poesia scritta in inchiostro verde nel libro degli ospiti), la coppia litigiosa Moravia-Morante, che usava il Bolognese come stato cuscinetto e terapia di coppia delle loro risse quotidiane.

     

    al bano romina power 77 al bano romina power 77

    Litigi “sul posto” con Elsa che sbraitava con poeti questuanti che le mandavano i loro versi (e Moravia che la pregava di star zitta); seduti, come racconta Sandra Petrignani nel suo bel libro “Addio a Roma” (Neri Pozza); o da asporto, con la stessa Morante che dopo liti furibonde col marito per placarsi e recuperare energie ordinava “il delivery” allo stesso Bolognese. E poi Pasolini, Bertolucci (padre e figlio…).

     

    Il Bolognese era nato come quelle trattorie artistiche e letterarie (Otello, la Campana, ecc.) ma poi aveva fatto un upgrade diventando quel tipo di ristorantone che si trova solo nelle capitali e ammette turisti solo d’un certo tipo, prezzi e selezione, dunque non la trattoriola tipica né l’anonimo stellato. Insomma industriali di passaggio, attori, nobili locali.

     

    Non finto come i vari Alfredo, senza le foto delle star (che pure ci sono eccome, ancora si ricorda Kim Kardashian; e pare che Andy Garcia e George Clooney decisero di fare il sequel di “Ocean’s Eleven” per tornare a mangiare le mozzarelle di questo desco). Né trattoria degli amici radical chic come Rocco, dove vanno oggi gli young cinematografari, ha attraversato le epoche. Tutti, da Gheddafi – con assaggiatore – a Sarkozy – con Carlà – Claudia Schiffer che tira il secchiello del ghiaccio al paparazzo Barillari; e poi re, regine, dice Tomaselli.

     

    RISTORANTE DAL BOLOGNESE PIAZZA DEL POPOLO RISTORANTE DAL BOLOGNESE PIAZZA DEL POPOLO

     Epoche dei russi non ancora sanzionati, con Roman Abramovich e un conto da 7.000 euro, senza guardare a destra o sinistra, anche se a un certo punto il ristorante venne a torto considerato un avamposto del nuovo potere berlusconiano, come raccontò Antonello Piroso.

     

    Nel 2013 Massimo Gramellini scrisse del caso Sircana (per i più piccini: il portavoce del presidente del Consiglio Prodi, Silvio Sircana, s’era fermato a chiedere l’ora a quella che oggi chiameremmo una sex worker trans), scoppiò la polemica, e Gramellini scrisse appunto che il fatto grave non era che il portavoce avesse conversato con la trans, bensì che la sera prima era stato a mangiare in un ristorantaccio dove allignavano “le crapule romane del centrodestra”.

     

    ugo brachetti peretti e anna de pahlen dal bolognese foto diva e donna ugo brachetti peretti e anna de pahlen dal bolognese foto diva e donna

    “Dovetti andare sulla Treccani per cercare il significato di crapula”, dice Tomaselli, che ci rimase male di quell’accusa non tanto per il ristorantaccio, pare, bensì, come dice oggi, “perché qui abbiamo sempre coperto tutto l’arco costituzionale”. Seguirono mesi in cui partì sempre su Dagospia una specie di rubrica fissa, un outing su chi di sinistra si attovagliava al Bolognese, culminato in una Götterdämmerung di eurosocialismo: un giorno erano contemporaneamente in sala Romano Prodi, Gerhard Schröder, Alain Juppè e Josè Maria Aznar, Eugenio Scalfari, Piero Fassino, Fausto Bertinotti. “Armando Cossutta che mi mostrò orgoglioso la tessera n. 1 del club ‘Interisti maoisti’”.

     

    bella hadid bolognese bella hadid bolognese

    Insomma tra crapule, interisti maoisti, carrelli di bolliti, “Giorgia”, “Angela”, il Bolognese rimane immutabile, come tutto a Roma. Città ideale, come sosteneva Gore Vidal, “per vedere se la fine del mondo arriva, oppure no”. E poi se ’sta fine del mondo arriva o no è meglio aspettare davanti a un bel piatto di prosciutto, anzipresciutto.

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