Giordano Aluffi per "Il Venerdì - La Repubblica"
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Non c'è pace per la nostra psiche: all’angoscia di fondo per il cambiamento climatico, e alla più velenosa ansia da pandemia, ormai imperante da due anni, si e aggiunta la guerra in Ucraina, con lo spettro di una terza guerra mondiale, e il pericolo di un olocausto nucleare. Nessuno e immune: «L’ansia viene scatenata dal meccanismo percettivo ed emotivo più efficiente della nostra mente, quello della paura» spiega lo psicoterapeuta Giorgio Nardone, direttore del Centro di Terapia strategica di Arezzo, «grazie al quale siamo capaci di riconoscere in pochi millesimi di secondo uno stimolo minaccioso. L’organismo subito si allarma e si attivano reazioni biochimiche, come l’aumento del battito cardiaco e dell’attività elettrica nel cervello, che ci preparano a fuggire o combattere».
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Mentre la paura e la reazione a una minaccia diretta e presente, l’ansia e l’anticipazione di una minaccia: «E fino a una certa soglia, e preziosa. E non solo per rispondere a pericoli concreti: se devo sostenere un esame, un accettabile livello d’ansia mi indurrà a studiare e a passarlo. Ma se l’ansia supera la soglia dell’efficacia, l’organismo va in tilt e non riesce più ad avere una reazione funzionale».
La nuova guerra ai confini dell’Europa, ancora più della pandemia, induce quest’ansia logorante soprattutto in coloro che rimangono ostaggi della copertura 24 ore su 24 di news drammatiche. Per questo fenomeno e stato coniato addirittura un neologismo, doomscrolling (scorrere notizie apocalittiche).
LA DIPENDENZA DAI MEDIA
Attentato di Oklahoma City
«E dal 1995, con la strage di Oklahoma City (attacco terroristico contro un edificio federale in cui morirono 168 persone), il primo caso di esposizione massiccia a riprese non filtrate di feriti e morti, che si studia l’effetto traumatico dei contenuti televisivi» spiega Moran Bodas, ricercatore in psicologia all’Università di Tel Aviv.
«Nel 2014 in Israele abbiamo esaminato ciò che e successo quando i canali tv nazionali, durante una crisi nella striscia di Gaza, si sono convertiti a una programmazione fatta quasi esclusivamente di notiziari sulle operazioni militari in corso. Un terzo delle persone dichiaro che le news inducevano un profondo disagio e pensieri angoscianti. Tra gli altri sintomi: disturbi nel sonno, ansia incontrollata, battito accelerato e iperventilazione. I più forti consumatori di news avevano un 60 per cento in più di possibilità di riportare almeno uno di questi sintomi ansiosi. In questi casi siamo ostaggi dei media: ciò che vediamo ci causa molto stress, ma non riusciamo a distogliere lo sguardo».
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Cosi si acuisce un senso di impotenza e frustrazione: «L’ansia, come tutti i disturbi fobici e ossessivi, deriva dalla sensazione di non avere più il controllo su ciò che succede» spiega Nardone. «L’eccesso di ricerca di informazioni che si scatena di fronte a eventi drammatici come guerre e pandemie e il tentativo di riprendere una qualche forma di controllo, seppure illusorio, su ciò che sta accadendo.
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Da comune cittadino italiano non ho alcuna possibilità di intervenire sulle ostilità in Ucraina, eppure seguire le analisi degli esperti e i reportage di guerra mi fa pensare di fare qualcosa di utile. Ma questa, in gergo psichiatrico, e una “tentata soluzione”, che in realtà peggiora il disagio: più mi pesa il senso di mancato controllo sulla realtà, più cerco informazioni. Ma poi vedo i tanti disastri provocati dalla guerra e divento ancora più ansioso».
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RIPRENDERE IL CONTROLLO
Ecco perché un modo per lenire l’ansia e quello di dedicarsi ad attività che danno una sensazione di controllo: «Ad esempio aiutando gli altri. Sentirsi utili al prossimo, anche per piccole cose, e un modo per sottrarsi alla vertigine da perdita di controllo sul mondo» spiega Stefan Hofmann, docente di psicologia all’Università di Boston e autore di The Anxiety Skills Workbook, manuale per affrontare l’ansia.
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«Ma e utile anche cercare di migliorare il modo in cui ci approcciamo alle notizie: se aumentiamo la capacita di anticipare correttamente gli accadimenti, avremo anche una maggiore sensazione di dominio su quel che ci circonda. Un modo per ottenerlo e abbracciare il pluralismo dell’informazione, consultando anche le fonti che disapproviamo. Nelle settimane precedenti alla crisi ucraina, ho seguito per esempio anche il canale satellitare russo RT: dalla propaganda che vedevo ho potuto, a differenza di tutti i miei conoscenti, prevedere l’invasione».
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Ancora più utile – almeno per situazioni come le tensioni internazionali, dove le nostre possibilità individuali di intervento sono pressoché nulle – e imparare a distaccarsi dalle emozioni eccessive: «La strategia più semplice e quella di canalizzare l’ansia per farla defluire: quando ci si sente particolarmente in tensione, si può scrivere tutto ciò che si prova, come in una sorta di registrazione dei propri tormenti. Studi mostrano che se lo si fa con carta e penna – e non tramite dispositivi digitali – si attivano aree del cervello che facilitano il distacco emotivo» spiega Nardone.
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E continua: «una tecnica ancora più efficace e quella della “peggiore fantasia”. Invece di cercare di usare la ragione per ridurre l’ansia, bisogna addirittura sovrastimolare i propri meccanismi di allerta, per condurli alla loro saturazione. Ad esempio posso dirmi: “Ora voglio che il battito cardiaco acceleri, voglio sentirmi più agitato: per cui chiudo gli occhi e cerco di visualizzare tutte le peggiori fantasie immaginabili rispetto all’esito degli eventi che mi preoccupano”.
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Mandando il cervello in questa direzione, paradossalmente ciò che si produce e una risposta fisiologica inibitoria. Ovvero la mente cerca di ristabilire l’equilibrio, da noi manomesso, riducendo l’ansia. Questo stratagemma terapeutico consente di liberarsi dall’ansia in poche settimane».
Concorda Hoffmann: «L’esposizione alle paure e il solo modo per sconfiggerle. Poi si possono usare approcci differenziati secondo il tipo di personalità: c’e chi tende a somatizzare l’ansia, e per queste persone sono utili tecniche di rilassamento e meditazione.
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C’e chi invece e più portato alla ruminazione di pensieri negativi, e in quel caso si può tentare un approccio cognitivo, portato a fare luce sulla effettiva ragionevolezza – o meno – delle preoccupazioni. Un terzo tipo di ansia ha una maggiore componente comportamentale: e il caso di chi si dedica al consumo incessante di no- tizie. In questo caso si può cercare di intervenire imponendosi dei vincoli temporali, come non più di un paio d’ore al giorno, per esempio, per informarsi sulla guerra. O limitare l’accesso ai social network, dove l’informazione e servita insieme a meccanismi che danno dipendenza
(come la costante connessione con gli altri)».
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L’INSEGNAMENTO DEI SUMERI
Il tutto tenendo sempre presente che l’ansia rimane, comunque, un groviglio di emozione e pensiero, e queste due componenti vanno affrontate secondo una gerarchia ben precisa: l’e-mozione viene prima. «La parte emotiva del cervello, identificata dai neuroscienziati nell’amigdala, locus coeruleus e ippocampo, può arrivare come un fiume in piena sulla corteccia, che e la parte cognitiva.
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Ma quest’ultima non e in grado, per usare una metafora, di risalire da sola queste rapide» spiega Nardone. «Quindi abbiamo bisogno di disinnescare innanzitutto il senso di allarme, per poi affrontare in seconda battuta la parte cognitiva dell’ansia, smascherando – ove possibile – la sua infondatezza logica. Lo sapevano gia i Sumeri, che quattromila anni fa scrissero su una tavoletta: la paura guarda- ta in faccia si trasforma in coraggio».