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    TRA I CARUGGI SI RESPIRA ANTI-POLITICA - “LA FINE DELL’ALTRO MONDO” È UN ROMANZO-RIGURGITO CONTRO LA GENERAZIONE DEI PADRI: “GLI ANNI ’60 SONO UNA SPECIE DI ETÀ DELL’ORO DEGENERATA NEL KITSCH DI BERLUSCONI” - LA “LISTA DI PROSCRIZIONE” DI FILIPPO D’ANGELO, GENOVESE SNOB EMIGRATO A PARIGI: MONTEZEMOLO, DI PIETRO, D’ALEMA, RUTELLI, FINI, CASINI, NANNI MORETTI, BENIGNI, PALOMBELLI, D’AGOSTINO, ANTONIO RICCI, ETC ETC”…


     
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    Sergio Carli per "blitzquotidiano.it"

    Il rifiuto di una città provinciale e ingessata, il rifiuto dei genitori come per reinterpretare la maledizione biblica, il rifiuto assoluto delle convenzioni e delle convenienze che sono parte intrinseca di te e della tua educazione sono i tre motivi che si intrecciano nel romanzo di Filippo D'Angelo "La fine dell'altro mondo", esordio letterario di un genovese emigré a Parigi.

    La fine dell altro mondo di Filippo D Angelo main image objectLa fine dell altro mondo di Filippo D Angelo main image object

    La storia ti prende e come un giallo ti spinge a vedere come finisce: finisce nell'abbandono di Genova sotto choc per il G8 e ancor più soffocata dalla sua millenaria struttura sociale, finisce nell'addio alla famiglia e si sublima nella ricerca di un nuovo inizio in terra di Francia.

    Ma non è la storia di un emigrante che cerca un futuro, è la storia di un giovane borghese che vuole rompere gli schemi soffocanti della provincia con una nuova vita e non con l'alcool. Il protagonista, gran consumatore dei film del mito cinematografico italiano, non rivela se nella sua collezione ci sia anche i Delfini, del 1960. Ma c'è la stessa atmosfera di rifiuto dell'oppressione provinciale, all'inizio del boom economico invece che all'inizio di una decennale recessione.

    La tripla trama ideologica si sviluppa su un triplice riferimento letterario.
    C'è un giallo libresco sul filone di "The rule of four", ma senza thriller e con il pretesto del finale di un esoterico libro del francese Cyrano de Bergerac al posto della Hypnoerotomachia Poliphili dell'italiano Francesco Colonna e la baronale università di Genova al posto di Princeton, Usa.

    FILIPPO D ANGELOFILIPPO D ANGELO

    C'è una certa indulgenza per l'esplicitezza sessuale al confine con l'oscenità, qui però riscattata dal costante uso del dialetto genovese che sdrammatizza (belin è musicale, non volgare). La pervasività del sesso nel racconto ha contribuito al successo, quanto meno letterario, del francese Michel Houellebecq (il cui nome entra, casualmente, in un dialogo).
    Il tutto dominato da un disgusto cosmico che ricorda La Nausea di Jean Paul Sartre ma con la variante genovese di non prendere nulla sul serio fino in fondo, nemmeno se stessi, grazie a quel dubbio esistenziale e cosmico nato nella notte dei tempi sulle banchine del porto, davanti alle imperscrutabili bizzarrie del Fato e degli Oceani.

    Caruggi DI GenovaCaruggi DI Genova

    Il giallo letterario è l'ossatura della trama. Ludovico Roncalli, il protagonista, è convinto che delle ultime pagine della "Fine dell'altro mondo" di Savinien Cyrano de Bergerac ci siano più versioni e ne cerca la prova. La scelta di Cyrano è in sé una provocazione: tutti conosciamo il nasone del personaggio creato da Edmond Rostan grazie, i più vecchi, a Gino Cervi, i più giovani a Gigi Proietti e Gerard Depardieu.

    Pochi eletti sanno che il personaggio è realmente esistito, è considerato un padre della fantascienza, ha condotto un'esistenza ribelle e maledetta, per morire, a 36 anni, non per la sifilide che lo devastava ma per la caduta da un trave. Di quei pochi eletti fa parte l'autore del libro, Filippo D'Angelo, professore di letteratura francese in varie università francesi, il quale, con genovese snobismo, dà per scontato che tutti sappiamo che Cyrano non è il nome ma il cognome del suo eroe e ancor più siamo tutti appassionati alla conclusione di un libro che non sarà certo incluso nella finale della prossima competizione letteraria di Amici.

    GENOVAGENOVA

    Per provare questa fondamentale scoperta. Roncalli-D'Angelo sfida complotti universitari e sfida anche una familiare renitenza al viaggio, spingendosi fino a Mosca, dove ha la definitiva rivelazione di quanto Genova, come paradigma della provincia italiana, sia da abbandonare. Questo avviene tra fiumi di vodka e una notte di sesso e ecstasy con due gemelle monozigote. Le gemelle lo abbandonano privo di conoscenza in una stanza dell'hotel National di Mosca, dove Lenin visse la Rivoluzione e Madonna la sua tappa russa. Lo derubano di tutto, incluso il computer e la copia del libro di Cyrano che conferma la sua teoria, da lui sottratta da una biblioteca ex sovietica.

    L'agenzia di escort che gli ha procurato le ragazze chiede ben 12 mila dollari per il riscatto, dieci volte il prezzo pagato per l'amore gemello e dieci volte la proposta di Roncalli-D'Angelo: ma il sangue genovese si ribella, lo rende sobrio e gli fa improvvisamente comprendere che perdere tempo dietro a Cyrano anche lui, non solo a noi, interessa ben poco.

    Il romanzo aiuta a definire i dogmi della generazione che oggi è attorno ai 40 anni, per la quale gli anni '60 sono una specie di età dell'oro, degenerata nel kitsch di Berlusconi e della tv.

    Luca Cordero di MontezemoloLuca Cordero di Montezemolo

    Nelle pagine in cui descrive il viaggio a Mosca, che sono in assoluto le più divertenti, c'è un quasi sublime confronto tra la mummia di Lenin, "pallidissimo" e Berlusconi, "incline all'arancione dei cachi marci", entrambi capaci di suscitare "una gradevole impressione di cera".

    Rutelli e PalombelliRutelli e Palombelli

    Ma, "contrariamente a quella del tiranno socialista, la cera del ceffo brianzolo non aveva la minima sfumatura ecclesiastica. Era una cera orgiastica: mobile e fluttuante. Berlusconi si era mummificato in vita per sfuggire a una arcaica visione della morte, si era immolato all'icona di se stesso per sancire la nascita di un mondo concepito dalla negazione del reale. Berlusconi era un cadavere vitalista, un morto aitante: il Dioniso degli abissi italiani, ucciso e smembrato dagli schermi televisivi, ricompostosi e risorto nelle lune elettorali. Berlusconi incarnava l'Assoluto di un paese situato all'avanguardia dell'Occidente, unico luogo vero in un mondo arresosi, ma non rassegnatosi, all'invasione del virtuale".

    ROBERTO DAGOSTINO ANNA FEDERICIROBERTO DAGOSTINO ANNA FEDERICI

    In questo il rifiuto di Ludovico Roncalli si spinge a non possedere nemmeno un televisore, segue il G8 e i tg attraverso il computer e internet. Oggi l'Italia fa orrore, negli anni '50 e '60, per chi non ci è vissuto, appare con un "paese nonostante tutto meraviglioso"
    La catarsi è nei giorni del G8: Roncalli vede la violenza, non capisce perché un ragazzo debba morire. La morte di Carlo Giuliani apre in Roncalli una reazione a catena, tutta in senso negativo. Comincia con la "sinistra, la cui evoluzione aveva gettato fuori di casa i suoi eredi". Poi lo assale "un odio primitivo" contro la generazione dei padri. Finché arriva a compilare una "ideale lista di proscrizione, composta da soli nominativi dei nati tra il 1945 e il 1955".

    La lista dà un idea della iconostasi della generazione che dovrebbe prendere in mano il nostro futuro e comprende Luca Di Montezemolo, Antonio Di Pietro, Mario Moretti (senza specificare se il terrorista o il ferroviere), Massimo D'Alema, Francesco Rutelli, Giuliano Ferrara, Gianfranco Fini, Pierferdinando Casini, Nanni Moretti, Roberto Benigni, Barbara Palombelli, Rosa Russo Iervolino, Vittorio Sgarbi, Walter Veltroni, Claudio Scajola, Marco Tronchetti Provera, Roberto Maroni, Piero Fassino, Paolo Crepet, Roberto D'Agostino, Antonio Ricci... Unico nato nel 1944 ma incluso nella lista: Bruno Vespa.

    ANTONIO DI PIETROANTONIO DI PIETRO

    Si ribella e si defila, ultimo atto di una ambiguità che fino ad allora ha risolto nell'alcool e che alla fine supera rompendo con Genova e trasferendosi a Parigi, grazie al lascito di una nonna tempestivamente morta in quegli stessi giorni.

    Non l'amava quella nonna, l'accusava di avergli infelicitato un pezzo d'infanzia, però non può negare che quel gesto del tutto inatteso gli ha permesso di cambiare vita.
    Il rifiuto della famiglia è una costante del rapporto fra generazioni, il rifiuto della propria città un po' meno. La fuga non è determinata dal bisogno economico, ma dal senso di soffocamento che ti danno strutture sociali intoccabili e sclerotizzate nei secoli.

    ANTONIO RICCIANTONIO RICCI

    L'amore per la città, per i suoi odori, per la sua lingua è profondo, intrinseco all'identità dell'autore e del personaggio in cui riflette idiosincrasie e odi; si può anzi dire che Genova è la sua vera madre, il suo vero amore. Si tratta di una Genova chiusa nel quadrilatero millenario dei caruggi, che esclude rigorosamente e anche snobisticamente le aree nuove del dopoguerra e le zone operaie del ponente e considera appena di sfuggita i quartieri collinari che ne hanno fatto la Superba.

    Roncalli è di sinistra, sfila anche se si defila contro il G8, ma la fede è segmentata dalla orografia che a Genova definisce le classi non solo in senso verticale ma anche orizzontale.

    PIERFERDINANDO CASINI GIANFRANCO FINIPIERFERDINANDO CASINI GIANFRANCO FINI

    Genova è una città che esclude. Si percepisce quasi a ogni pagina la frustrazione del personaggio letterario Roncalli, rampollo di una famiglia di professionisti (medici) dell'alta borghesia, a contatto con il muro infrangibile, inflessibile, invalicabile a difesa del solco che isola la nobiltà più antica, quella uscita dai libri di storia, quella, per intenderci, da cui viene anche il neo sindaco Marco Doria, il cui personaggio, non di fiction ma reale, rappresenta una forma di sintesi unica e inedita tra due classi fatte per odiarsi in eterno.

    Non è una questione solo di soldi, ma di sangue, nella città più rossa d'Italia. Genova è infatti la città che non ha voluto alla guida dei suoi industriali Vittorio Malacalza, quello che oggi è il socio forte di Pirelli: non è nato a Genova ma a Bobbio, appena oltre la displuviale. A Genova ci ha fatto solo un miliardo e mezzo di euro. Ma alle cinquanta famiglie non è bastato per definirlo imprenditore.

     

     

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