Mario Ajello per “il Messaggero”
patuanelli conte
Ormai lo chiamano la Sesta stella dei 5 stelle. Patuanelli superstar. Quanto sale il ministro del Mise. Quanto lo vorrebbero al posto di Di Maio come capo politico («Ascolta ed è empatico»). Con lui sale Fico. E si comincia a parlare di loro come un ticket, dotato di una tripla condizione in questa fase in cui le gerarchie e i riferimenti nel mondo stellato stanno saltando: piacciono al Pd, che con Di Maio si trova molto poco (ricambiato), piacciono a Conte e piacciono a Mattarella. Non poco. Ma entrambi soffrono di un handicap: mancano di carisma (in più Fico ha le mani legate dal suo ruolo istituzionale). La quarta dotazione dei due è che piacciono (Fico da sempre) anche a Grillo.
stefano patuanelli
Quanto a Di Maio: è stato rilanciato-commissariato da Beppe e resta il leader, ma gli restano appiccicati addosso tutti i problemi che lo portano in giù invece di farlo salire alle stelle. I gruppi parlamentari gli rispondono sempre meno. Un capogruppo di sua fedeltà non sta riuscendo a farlo eleggere alla Camera.
DANILO TONINELLI
Per non dire dei problemi che ha nei territori. In un movimento da big bang, le schegge impazzite gli arrivano tutte addosso e c'è da comprendere le sue difficoltà. Se lo dicono loro stessi: «Siamo una gabbia di matti». E comunque: non è facile dover gestire una linea - la linea Grillo: avanti tutta con Zingaretti e Franceschini - senza condividerla. Per di più, il magic moment Patuanelli non lo aiuta.
fico grillo di maio
Nel borsino M5S, si può pure restare stabili. Scegliendo la fuga: come quella del Dibba in Iran (ma resta il panchinaro di lusso da rispolverare come bomber della comunicazione in caso di elezioni) o quella a metà di Casaleggio (gli affari aziendali gli vanno benissimo e non vuole guastarli facendosi esplodere nella polveriera stellata).
I MUSCOLI DI TONINELLI
Ci sono poi gli equilibristi alla Buffagni. E gli equilibrati, ma fin troppo, alla Fraccaro, rimasto fermo nella sua fedeltà a Di Maio a cui deve tutto e questa stabilità non gli sta giovando. Ma come va collocato, tra quelli up o tra quelli down, Grillo? Si dirà: sale, eccome se sale, visto che s'è ripreso il movimento. Ma in realtà, a Roma non ha voluto vedere nessuno, tranne Di Maio, del movimento: molto meglio l'ambasciatore cinese! Non solo: rilancia la leadership di Luigi deludendo quelli che vorrebbero vedere Di Maio e degradato sul campo.
TRENTA COSTA BONISOLI TONINELLI LEZZI GRILLO
Lancia la linea dell'accordo con il Pd e in Senato la fronde filo-leghista, che è ancora piccola rischia d'ingrossarsi («Grillo ha perso la bussola», così lo liquida il senatore Paragone). Per non dire delle proteste che arrivano dai territori. «Beppe vuole l'accordo con il Pd? Ma pensi ai suoi spettacoli!», è la stroncatura di mezzo M5S emiliano-romagnolo e di mezzo M5S calabrese. Mentre sale, insomma, scende Beppe, il garante, il fondatore che non è più difeso dallo scudo del timore reverenziale.
Per le sue doti di mediatore e di figura con attitudine all'ascolto e ai buoni rapporti con gli alleati, cresce Spadafora. E Bonafede? Ha avuto il fiuto di smarcarsi da Di Maio, di cui è stato un fedelissimo, e di mettersi sotto l'ala di Conte. Sale. E sale l'Appendino - mentre scende la Raggi, che Grillo finge di difendere, mentre Di Maio non finge più - perché la sindaca di Torino, al contrario di quella di Roma, dovrebbe finire nel cosiddetto Team del Futuro, una sorta di gabinetto di regia, come responsabile per le questioni dei Comuni.
APPENDINO RAGGI
Ancora donne: sprofondano (con Toninelli desaparecido: «Mi sto facendo i muscoli») la Grillo e la Lezzi (ma quest'ultima si vendica facendo danni sull'Ilva) e sale la Lombardi (a sua volta in direzione Team) la quale: «Di Maio? I partiti con un uomo solo al comando hanno fallito e lui non è Mandrake!».
Va su il senatore Perilli, unico riuscito a diventare capogruppo mentre alla Camera è lotta dei lunghi coltelli; rispunta Crimi perché adatto ai tempi di bassa marea; Morra parla tanto ma parla troppo e pochi si fidano di lui, e scende. Casalino? «Chi lo vede più?», dicono i big stellati e nessuno sembra stracciarsi le vesti. Mentre lui ormai funge da ufficiale di collegamento tra Conte e i dem.
barbara lezzi