DAGONEWS
conte salvini di maio
Matteo Salvini non è più tanto sicuro di passare all’incasso. I sondaggi di Pagnoncelli che ‘provocano un’ubriacatura tra i nostri’ (copy Giorgetti) dicono che il partito del ministro dell’Interno è sì in crescita vertiginosa (36,2%), ma che allo stesso modo sono aumentati gli indecisi e gli astenuti, che pareggiano con la Lega.
Certo, il M5s perde consensi e ne perderà ancora per le deboli performance a livello locale dei suoi amministratori. Man mano che si avvicina il ritorno in Italia del ‘Che’ (de Che?) Di Battista, la carriera politica del povero Di Maio si avvia verso la fine. Dal Guatemala ha difeso l’amico Luigi e il padre col vizietto del lavoro nero (d’altronde il suo si è proclamato amante del ‘nero’ nel senso fascista del termine), ma presto avrà a disposizione un’arma subdola ma potente: Robertino Fico, che dallo scranno più alto della Camera lavora quotidianamente per indebolire il capo politico del MoVimento e mantenere viva la brace ‘de sinistra’ sotto alla coltre di cenere democristiana sparsa dell’ex bibitaro. Dopo le feste natalizie comincerà la lenta e inesorabile delegittimazione.
matteo salvini giancarlo giorgetti
Ma Salvini non guarda tanto in casa degli altri, quanto a tre grosse incertezze che lo spingono a rinviare la crisi di governo.
La prima, come accennato, è politica. Smontare l’alleanza coi grillini porterebbe a due ipotesi: un esecutivo raccogliticcio con Berlusconi e i soliti ‘responsabili’ da trovare tra i peones dei vari partiti, con Salvini che si carica addosso tutte le responsabilità sia del tradimento del ‘contratto del Cambiamento’ sia dell’ordinaria amministrazione; oppure elezioni da svolgersi prima o in contemporanea con le Europee.
Le attuali manifestazioni di consenso si tradurrebbero davvero in voti? Cosa farebbe quel 36,2% di incerti o delusi? Una pugnalata alle spalle dei soci pentastellati non porterebbe a una loro ripresa e a un calo per il Bruto milanese?
mario draghi bazooka
La seconda è economica: dopo la fine del Quantitative Easing della BCE, prevista per il 31 dicembre, c’è un grosso punto interrogativo. Nessuno sa cosa succederà quando Draghi smetterà di comprare il nostro debito. Un’anteprima non entusiasmante l’abbiamo vista con la collocazione dei Btp Italia a 4 anni. Una domanda così asfittica non si vedeva dai primi mesi del governo Monti, un tempo in cui i nostri titoli di Stato erano considerati così tossici da spaventare anche gli amanti del ‘junk’.
Poche ore fa si è chiusa l’asta dei Bot semestrali, che invece ha dato le sue soddisfazioni: tutti i 6,5 miliardi di buoni sono stati venduti, con una domanda stabile e più ampia dell’offerta. Ovviamente questi non scontano l’ipotesi di uscita dall’Euro che spaventa molti investitori quando si tratta di scadenze più lontane. È improbabile che un’ipotetica Italexit avvenga prima del 31 maggio 2019, data in cui i Bot venduti oggi porteranno i loro frutti.
salvini mattarella
Mandare il paese alle urne o imbastire un governo di centrodestra che si tiene su una manciata di voti potrebbe essere una mossa troppo azzardata. Chiusi i rubinetti di Francoforte, una scarsa domanda per le obbligazioni italiane causerebbe un’immediata crisi di liquidità per lo Stato e le banche. Ciò a sua volta farebbe scattare un commissariamento-lampo in base alle regole dell’OMT, la liquidità straordinaria che la BCE può disporre (a caro prezzo politico) per i Paesi che non riescono ad accedere ai mercati di capitali. Scenari spaventosi che nessuno sano di mente vorrebbe affrontare da unico responsabile politico.
La terza invece riguarda il Quirinale. Mattarella non ha mai nascosto la sua antipatia per Salvini. Il Presidente viene dalla sinistra DC, una corrente che non ha mai fatto pace con la destra, e che anche negli anni ’90-2000 si è trovata ad avere posizioni più radicali degli stessi ex comunisti.
salvini mattarella
La Mummia del Colle e il suo fidato braccio destro Zampetti avevano lavorato alacremente alla nascita di un governo Pd-5 Stelle, con l’appoggio di Franceschini, mentre l’alleanza pentaleghista è sempre stata l’ultima carta da giocare. Il loro canale di comunicazione privilegiato è da sempre con Di Maio, Conte e Tria, di certo non Salvini, e l’unico ministro che fu bocciato dalla famigerata lista (che conteneva nomi improbabili del Movimento), è stato Savona al Tesoro, in quota Lega.
Pur di non mandare il Truce a Palazzo Chigi – eppure all’indomani del voto era il leader del partito più votato nella coalizione di maggioranza relativa – Mattarella ha fatto orecchie da mercante davanti alle sue richieste di provare a costruire un governo Lega-Forza Italia, con i voti da trovare in Parlamento prima della fiducia.
Tre ostacoli che appaiono così insidiosi da spaventare il cosiddetto Capitano. Lui intanto continua a tenersi buono Berlusconi, per dimostrare di non avergli voltato le spalle visto che Silvio sarà vecchio e stanco, ma ha ancora il potere di abbatterlo. Prova ne sono le nomine Rai. Non solo Forza Italia ha tolto il veto su Foa (che ‘il Giornale’ di colpo non attacca più), ma ha potuto incassare nomi davvero impensabili rispetto alle promesse di sfracelli pronunciate quest’estate dai gialloverdi.
UGO ZAMPETTI
La neodirettora di Rai1 Teresa De Santis era pur sempre la vice di Fabrizio Del Noce, uno dei dirigenti più ‘berluscones’ della storia di Viale Mazzini. Per non parlare di Antonio Preziosi, al vertice di Radiorai e GR in quota Forza Italia, finito nella polvere al successivo ribaltone e oggi premiato con la comodissima poltrona di Rai Parlamento. Insomma, per la gioia di Berlusconi, a guidare il primo rivale di Mediaset sono stati scelti nomi che più ‘soft’ non si può, per mantenere lo status quo che fa comodo a Cologno Monzese.
ZAMPETTI MATTARELLA