Gian Antonio Stella per il “Corriere della Sera”
roberto saviano
Le sirene! La signora Patrizia Santoro, «onesta cittadina che paga regolarmente le tasse e lavora otto ore al giorno», non ne poteva più già prima che cominciasse, il maxi-processo di Palermo. E scrisse una lettera al Giornale di Sicilia lagnandosi delle «continue e assordanti sirene di auto della polizia che scortano i vari giudici. Ora io domando: è mai possibile che non si possa eventualmente riposare un poco nell'intervallo del lavoro o, quantomeno, seguire un programma televisivo in pace»?
maxi il processo che ha sconfitto la mafia roberto saviano
Insomma, «perché non si costruiscono per questi "egregi signori" delle villette alla periferia della città, in modo tale che, da una parte sia tutelata la tranquillità di noi cittadini-lavoratori, dall'altra, soprattutto, l'incolumità di noi tutti che, nel caso di un attentato, siamo regolarmente coinvolti senza ragione (vedi strage Chinnici)»? Non c'era una parola di dolore per il giudice ucciso due anni prima e altri servitori della Patria ammazzati precedentemente come Pietro Scaglione e Cesare Terranova. Men che meno una di sostegno o almeno di apprensione per il destino di quanti come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino stavano sfidando ora la morte nella guerra alla mafia... Zero.
maxi processo
Solo il fastidio per le sirene o il rischio di venire coinvolta in «conseguenze facilmente evitabili» (testuale) spostando quella seccatura della guerra alle cosche un po' più in là... Curiosità e interesse Falcone, che viveva nella stessa strada della signora, ci restò malissimo. Pochi episodi come quello raccontano l'aria che tirava («La stragrande maggioranza dei palermitani assisteva con curiosità e interesse a come sarebbe finita la corrida», ricorda amaro Giuseppe Ayala) ai tempi dello storico processo al quale Roberto Saviano dedica il suo ultimo lavoro in uscita oggi.
giovanni falcone paolo borsellino
Si intitola «Maxi - Il processo che ha sconfitto la mafia», è un podcast Audible Original , è stato scritto e curato dallo scrittore con la collaborazione di Massimiliano Coccia e racconta in dieci puntate con la voce dell'autore e le registrazioni originali dei protagonisti più luminosi, elusivi o infami, la «più ostinata battaglia che lo Stato ha portato avanti per dimostrare l'esistenza di qualcosa che prima d'allora era solo allusione, accenno, pettegolezzo...»
aula bunker maxi processo cosa nostra 4
Basti ricordare l'ostilità alle prime proposte di Giuseppe Berti o Ferruccio Parri di varare una strategia contro il fenomeno mafioso, l'insofferenza nel '49 dell'allora ministro degli Interni Mario Scelba («Si parla della mafia condita in tutte le salse ma, onorevoli senatori, mi pare che si esageri») e tutti i silenzi e le ambiguità sul tema mentre «anche nei processi la grande criminalità veniva trattata come microcriminalità» col risultato che la creazione di una commissione antimafia arrivò solo nel '62. Diciassette anni dopo l'appello eversivo di Salvatore Giuliano: «Popolo! Centomila lire al mese a chi vuole arruolarsi nella mia banda, del nuovo esercito che si costituirà a solo scopo di lottare contro i nemici della libertà...»
aula bunker maxi processo cosa nostra 2
I dialoghi in ascensore E troppi anni sarebbero passati ancora prima che, ricorda Saviano, emergesse nel '79 la figura di Rocco Chinnici che ideò il pool antimafia: «Un insieme di magistrati e forze di polizia, che in regime di totale condivisione di informazioni e mezzi, sono intercambiabili e un loro eventuale omicidio non minerà più le indagini in corso. Nessun giudice, nessun poliziotto si porterà nella tomba le informazioni. Se organizzi un gruppo che studia, ricerca, indaga e capisce hai creato un solco, una traccia, un modo di operare».
aula bunker maxi processo cosa nostra 1
Un gruppo «compatto, attivo e battagliero». Mica facile, a Palermo, dove lui e il procuratore Gaetano Costa ( che sarebbe stato ucciso dalla mafia l'anno dopo) erano costretti «per evitare di essere ascoltati da spie e passacarte» a chiudersi in ascensore: «Immaginate questi due uomini salire e scendere di piano in piano senza mai mettere piede fuori per scambiarsi le informazioni più importanti, impellenti, che non potevano essere dette in auto, al bar, e nemmeno rinviate dandosi appuntamento in campagna. Ma lì in un ascensore». Sapevano cosa rischiavano. Lo ricorda Pietro Grasso che, ricevuta la proposta di fare il giudice a latere nel processo, consultò la moglie: «Già mi figuravo come sarebbe cambiata la nostra vita. Saremmo stati circondati da persone coi giubbotti antiproiettile con il mitra in mano, saremmo stati delegittimati, calunniati, oggetto di minacce e intimidazioni...».
tommaso buscetta
E sommersi dal lavoro: «Falcone apre le porte di un'altra stanza e, con l'aria di chi sta per tirare un tiro mancino, mi dice: "ecco, ti presento maxiprocesso". E vidi questa stanza con quattro pareti di scaffali che arrivavano fino al tetto dove c'erano qualcosa come 120 faldoni che contenevano quattrocentomila fogli che avrei dovuto studiare». Una fatica enorme per un compito enorme, racconta lo scrittore: allestire un processo con «475 imputati, 635 avvocati, 16 giudici, 8 giudici popolari, 349 udienze, 1314 interrogatori di boss, trafficanti e pentiti, 635 arringhe difensive» per il solo primo grado. Aperto il 10 febbraio 1986 (568 giorni dopo l'assassinio di Chinnici), chiuso il 16 dicembre 1987 e presieduto dal giudice civile Alfonso Giordano che accettò «dopo sedici rifiuti da parte dei suoi colleghi».
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E dirà: «Non sono mai stato così tranquillo e sereno come in quel periodo. Non so per quale motivo, potrei anche sospettare un intervento divino...» Rilette tre decenni dopo la sentenza in Cassazione del 30 gennaio 1992, le cronache di quel maxi processo concluso con 19 ergastoli e condanne per un totale di 2665 anni di galera ai quali Riina e altri reagirono come belve rabbiose azzannando Falcone e Borsellino e gli italiani tutti con gli attentati a Firenze, Roma e Milano, dimostrano davvero, grazie soprattutto alle registrazioni audio, quanto quello fu davvero passaggio epocale per Palermo, la Sicilia, l'Italia.
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Buscetta in aula Ed ecco nell'audiolibro la delusione indignata di un servitore dello Stato come Carlo Alberto dalla Chiesa: «Mi mandano in una realtà come Palermo con gli stessi poteri del prefetto di Forlì». La voce di Tommaso Buscetta che spiega come «il fenomeno mafioso non è comune, non è il brigatismo, non è la solita criminalità perché la solita criminalità la polizia se ne intende e la combatte bene, il fenomeno mafioso è qualcosa di più importante. È la criminalità più l'intelligenza più l'omertà». Il caos vociante nell'aula-bunker stracolma di imputati che all'arrivo inaspettato di Don Masino cessa di colpo e «se ci fosse stata una mosca la si sarebbe sentita volare».
carlo alberto dalla chiesa
L'ipocrisia fetida di Michele Greco detto «Il Papa» che, dopo avere seminato di cadaveri i dintorni di Ciaculli (per trovarli tutti «l'elicottero ci vuole, dottore», dirà a Falcone il pentito Francesco Marino Mannoia) recita in aula: «Per natura, grazie a Dio, so aspettare. Non sono come quelli che si trovano alla fermata dell'autobus e continuamente fanno così è così. Io so aspettare. E so soffrire. E sono sempre sereno, signor presidente. Sono sempre sereno perché in me c'è un dono inestimabile, un dono inestimabile che non ce lo può regalare nessuno: la pace interiore, c'è in me. La pace interiore». E Totò Riina 'u Curtu che vede infine il «socio» malese nel traffico internazionale di droga Koh Bak Kin e dice: « come nei film, tengono proprio gli occhi storti».
MICHELE GRECO
E Totuccio Contorno che parla un siciliano così stretto che devono dargli un interprete... E via via che ripercorri con «Maxi» tutta la storia, spiccano sempre più le parole di Giovanni Falcone: «La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni». E ancora oggi ti chiedi: ha dato davvero il meglio, lo Stato? Sempre?
riina con carlo alberto dalla chiesa MICHELE GRECO roberto saviano roberto saviano a sanremo 1 roberto saviano carlo alberto dalla chiesa