Manuela Pivato per “La Nuova Venezia”
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Che notte, l’altra notte. Una Venezia maliosa e silente, carica di ori, marmi e affreschi, popolata di dogi dal sospetto accento romano, ma perlopiù desertificata come dopo una pestilenza; una Venezia con i masegni lucidi, Palazzo Ducale scintillante e il ponte di Rialto intonso, dove ogni cosa brillava di perfezione, come se trenta milioni di turisti all’anno non l’avessero neppure guardata; questa Venezia qui, riconoscibile - forse - solo dai netturbini del turno all’alba, martedì sera è entrata nelle case degli italiani con Alberto Angela e lo speciale dedicato alla città come non l’avete mai vista.
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La trasmissione “Stanotte a Venezia” andata in onda in prima serata su Rai1 è stata un trionfo: quasi 5 milioni di telespettatori, con uno share del 25 per cento; il che significa che uno su quattro ha preferito la storia della Serenissima alla sfida di MasterChef su Cielo. La notizia è doppiamente buona: la cultura batte chi ha il coltello più lungo e l’appeal di Venezia, negli ultimi tempi macchiato da foto e video incresciosi, è ancora forte.
Certo, Alberto Angela ci ha messo del suo. Sbarcato in laguna di giorno, ha scelto la notte per confezionare un grandioso spot, reso a tratti spettacolare grazie all’impiego di elicotteri e droni, e alla profusione di effetti visivi, elaborazioni grafiche al computer, immagini in altissima definizione.
Due ore di una Venezia notturna immaginifica, come lo fu la Venezia diurna di “The Tourist”, o di “Casinò Royale”, o quella della pubblicità di Vuitton, Gucci e di tutti i marchi che l’hanno scelta non per quello che non è più, ma per quello che ancora rappresenta.
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L’iconografia di Venezia, così sfacciata da rischiare la banalità, oggi sembra in grado di sublimarsi solo nella finzione e nell’estetica.
Se quattro milioni e 950 mila italiani saranno subito andati su internet a prenotare il loro prossimo soggiorno in laguna pregustando una visita one to one alla Pala d’oro, almeno un parte dei 50 mila veneziani è rimasta a bocca aperta per ragioni opposte.
Alberto Angela ha parlato più nella direzione dei legittimi desideri di audience che della realtà. Una laguna solcata dalle grandi navi, svuotata dei suoi abitanti e trasformata nel suk dell’orrido non fa spettacolo; la morsa dei turisti, la svendita dei suoi palazzi, il moto ondoso non sono gioielli da esibire. Ecco che per raccontare «la città più bella del pianeta», «unica al mondo come unica è la sua storia», nella quale «ogni meraviglia si trasforma in sogno», il conduttore è inciampato nella retorica e in qualche svista clamorosa che è subito stata sbertucciata sui social.
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«Non so come si possa a dire che Venezia e Torcello fossero concorrenti economiche fino alla supremazia della prima nel XV secolo o come si sia pensato di far suonare Vivaldi a Uto Ughi alla Fenice e non alla Pietà» dice lo scrittore Tiziano Scarpa, fine studioso della sua città «ma al di là degli errori grossolani e di un racconto senza capo né coda, ho avuto l’impressione che l’unica mira di Angela fosse quella di creare emozione, come se Venezia non fosse in grado di crearla da sé e come se fosse una gemma estranea ai suoi problemi».
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Il florilegio di imprecisioni - Andrea Da Ponte invece di Antonio, la Serenissima consegnata all’impero austroungarico, la forma “storta” della gondola per non far cadere il gondoliere in acqua -, ma anche passaggi eccentrici come l’intervista all’astronauta Luca Parmitano, il Casanova con le fattezze di Lino Guanciale (“Don Matteo 10”), le perle di saggezza della cortigiana Veronica Franco («le donne mentono, sono come loro i belletti, appaiono quelle che non sono») sono stati il sale sull’insofferenza tutta veneziana di appartenere a una città come non l’hanno mai vista; e come non la vedranno mai più.
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