Antonio Rapisarda per “Libero quotidiano”
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Nessuna psicosi (come è avvenuto con alcuni netturbini che si sarebbero rifiutati di prestare servizio nelle zone di Roma più frequentate dai cinesi), nessun espediente per evitare di presentarsi al posto di lavoro, ma almeno una mascherina per proteggersi concretamente sì.
La richiesta arriva dai giudici di pace, una sorta di prima linea quando si parla di immigrazione dato che toccano a loro le udienze di convalida delle espulsioni dei migranti.
«Schermarsi da eventuali contagi», per questo i giudici chiedono alle istituzioni di essere forniti del filtro: per tutelare la propria salute non solo dal temibile coronavirus giunto dall' Oriente (trasmissibile da chiunque) ma anche da altre malattie, come la tubercolosi, il colera o il vaiolo.
L' appello per «le più elementari tutele sanitarie e assistenziali», di cui i giudici si sentono sprovvisti «pur fornendo un servizio pubblico che non può essere interrotto né differito», è indirizzato al Governo e ai ministri interessati, ossia Speranza e Bonafede: a veicolarlo i due maggiori sindacati italiani della categoria, l' Associazione nazionale dei giudici di pace e l' Unione nazionale dei giudici di pace con due note accomunate dalla stessa preoccupazione.
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Le mascherine, ovviamente, sono solo una parte del problema. Come spiega l' Unione nazionale, ad esempio, nel pacchetto andrebbero comprese le «indennità di malattia e di rischio» per i giudici e pure per «i magistrati onorari che si trovano in medesime situazioni». Si tratta, come è chiaro dalle ricostruzioni, di un problema assai tangibile per chi è chiamato a dirimere casi da tutto il mondo. Le testimonianze raccolte dall' Associazione nazionale raccontano di come i giudici di pace reputano che la «pericolosità di un contagio» del nuovo virus 2019-nCoV sia «tangibile» durante le udienze per la «convalida delle espulsioni di migranti clandestini».
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Un problema che potenzialmente riguarda tutto lo Stivale, dato che le udienze del genere si celebrano non solo negli otto Centri di Permanenza e Rimpatrio, i Cpr - che si trovano tra Trapani, Roma, Bari e Torino - ma anche negli uffici dei giudici di pace, e nelle apposite sale della Questura di una qualsiasi città sprovvista di Cpr.
Proprio uno dei giudici di pace di Milano, parlando con l' Ansa, ha ricostruito la procedura: «Il provvedimento di accompagnamento alla frontiera emesso dal Questore, che segue il decreto di espulsione firmato dal prefetto, deve essere convalidato da noi». Prima, però, la prassi richiede un colloquio con lo straniero, «che dura dai 10 ai 15 minuti». Colloquio in cui ci si ritrova seduti allo stesso tavolo, «uno di fronte all' altro senza nessuna precauzione».
Davanti al bollettino medico che registra l' altissima capacità di contagio del coronavirus, si comprende bene la preoccupazione degli operatori della giustizia per la loro salute. Per questo motivo l' Unione nazionale si aspetta una risposta urgente da palazzo Chigi «essendo difficile continuare a garantire il pubblico servizio svolto a queste condizioni ormai non più procrastinabili», aggiungendo che «in caso di contagio» le responsabilità ricadrebbero inevitabilmente sul Governo.
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Buone notizie, da questo punto di vista, arrivano dai produttori ufficiali di mascherine. Nonostante l' impennata incredibile della domanda, la Copag (una delle società leader in Italia nell' ambito delle forniture sanitarie) «è riuscita a far fronte agli impegni assunti nei confronti dei clienti, senza speculazioni e rispettando tutte le richieste». La disponibilità c' è, l' esigenza pure: la parola, adesso, passa a Conte e ai suoi ministri.
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