Maria Giovanna Maglie per “la Verità”
Donald J. Trump ha il dono delle battute urticanti, e alla conferenza stampa che apre la convention repubblicana subito dopo quella democratica, saluta i giornalisti al seguito della Casa Bianca, e delle travagliate elezioni presidenziali del 2020, così: «Ehi ragazzi, che bello vedervi, spero che vi siate divertiti alla vostra convention».
MARIA GIOVANNA MAGLIE
Un po' perché francamente se ne infischia, un po' perché da tempo, dalla campagna del 2016, il presidente degli Stati Uniti sa che la stampa americana, e accodata quella mondiale, figuratevi i giornaloni italiani, scrive del suo lavoro, delle sue azioni, della sua famiglia, solo animata da una faziosità mai vista in precedenza e guidata dalla volontà di cancellarlo, come un brutto sogno. Ma lui è lì, nel 2016 ha vinto quel martedì, 8 novembre, in cui il New York Times, che fu un grande giornale, titolava: «Clinton 92 per cento, Trump 8 per cento».
Ha vinto, e subito gli hanno confezionato un tribunale per l'impeachment, a colpi di milioni di dollari e di agenzie di Stato corrotte, in testa l'Fbi, ma anche un bel pezzo di Dipartimento della Giustizia, che alla fine non è riuscito a incriminarlo.Ha vinto e si prepara a vincere di nuovo il 3 novembre. Segnatevi questa perciò, e poi di settimana in settimana vedremo se riesco a spiegare come e perché la campagna elettorale del candidato democratico Joe Biden viaggi a tutta velocità verso lo stesso atterraggio disastroso di quattro anni fa.
donald trump a kenosha tra le rovine delle rivolte
Chiusi nella loro gabbia, nell'antitrumpismo come scelta di vita, nella descrizione di un conservatore innamorato del capitalismo ma anche dotato della giusta dose di compassione che il fallimento della globalizzazione richiede come una bussola, quelli che dovrebbero raccontare la campagna elettorale straordinaria dell'anno del virus cinese descrivono invece l'avanzare degli stivaloni di un fascista.
Non vi ricorda la fallimentare demonizzazione di Matteo Salvini in Italia? Qualunque informazione dovrebbe partire dalla fragilità, dalla straordinaria mosceria di un candidato democratico che naturalmente è soltanto un numero due, una spalla, che alla convention non si è praticamente fatto vedere, che da allora sta perdendo terreno in tutti gli stati in bilico, i battleground, quelli grazie ai quali si vince o no .
Qualunque informazione degna di questo nome dovrebbe ricordare che la situazione economica costruita prima del virus cinese è così straordinariamente solida, ha così disintegrato la disoccupazione ed anche la precarietà che, nello zoccolo duro democratico dei neri, Donald Trump è passato dal 9 per cento del 2016 a una percentuale di gradimento che nei vari sondaggi oscilla tra il 20 e il 30%. E il numero arriva sopra il 40% tra gli ispano americani, mentre prima era sotto il 30%.
donald trump a kenosha tra le rovine delle rivolte
Quanto dovrebbe bastare per garantirgli una vittoria anche superiore a quella del primo mandato, a meno di non voler credere che la sua maggioranza silenziosa intenda abbandonarlo. Leggete il Wall Street Journal, che nel 2016 si guardò bene dal fare un endorsement ufficiale al candidato repubblicano, e ora invece si prepara a elaborarne uno senza esitazioni, quando scrive che la politica di taglio delle tasse, eliminazione drastica della burocrazia con la deregulation, spinta all'impresa che ha portato addirittura gli Stati Uniti ad essere esportatori di greggio, il piano di infrastrutture, sono dei fondamentali talmente solidi che fanno sperare in una ripresa rapida anche dopo il disastro del virus. Gli americani hanno fiducia.
donald trump
Guardate le immagini di Trump a Kenosha, nel Wisconsin ancora una volta devastato dalle incursioni dei fascisti di Antifa, ascoltate la sua voce irata mente dichiara: «Questi non sono atti di manifestazioni pacifiche ma di terrorismo interno». Parla alla maggioranza silenziosa che non ne può più della prepotenza sguinzagliata e protetta dal Partito Democratico, inquinato ormai dagli estremisti, una violenza che non si è fermata con il virus cinese e che impedisce in parte la fase di ricostruzione ora. Parla a quelli che tra la statua di Cristoforo Colombo e quella di un transessuale preferiscono la prima e odiano l'idea che possa essere abbattuta, insieme alla loro storia, alla loro tradizione, alla loro identità di americani.
joe biden a pittsburgh 1