1 - DAGONOTA
DONALD TRUMP
Trump sì o Trump no? I democratici americani, se il tycoon fosse il candidato repubblicano per il 2024, stapperebbero la bottiglia buona di champagne: per loro, come già visto nelle midterm, dove in candidati trumpiani sono stati spazzati via, sarebbe facile fare una campagna tutta basata all'attacco contro il nemico pubblico numero uno della democrazia americana, isolato e spernacchiato da tutti.
E i repubblicani che dicono? Trump ha bruciato tutti sul tempo, ma si attende che gli altri candidati alle primarie escano allo scoperto. “The Donald” è stato abbandonato dall’establishment repubblicano, ma non ancora, o meglio, non del tutto, dal suo elettorato.
trump biden
È vero che il 60-65% dei repubblicani non lo vuole come candidato presidente, fomentato anche dall’establishment conservatore (due esempi su tutti, Rupert Murdoch e Stephen Schwarzman, fondatore del fondo Blackstone).
Ma è anche vero che Trumpone ha una sua “fanbase” molto nutrita e molto fedele, e che la narrazione dell’underdog (cit. Meloni) solo contro tutti ha già funzionato nel 2016.
La differenza principale rispetto a quella campagna vittoriosa, però, è che questa volta McDonald potrebbe trovarsi di fronte uno sfidante davvero competitivo: il governatore della Florida Ron DeSantis, volto nuovo (e buono?) del trumpismo.
donald trump con casey e ron desantis
Perché se c’è una cosa certa, come scrive Mattia Ferraresi su “Domani”, è che la fine di Trump “non coincide con la fine del trumpismo. L’ex presidente ha cambiato il codice genetico del partito e il frontman che verrà darà un nuovo volto ai repubblicani ma suonerà sullo stesso spartito politico.
DeSantis, Mike Pompeo e Glenn Youngkin, per citare tre fra i più accreditati per ottenere la candidatura, sanno che Trump può essere battuto soltanto con le armi del trumpismo.
jack smith 6
Si tratterà giusto di sostituire la delirante irrazionalità narcisistica ed eversiva della sua personalità, che è venuta a noia anche agli elettori più convinti, con una proposta politica vagamente intelligibile”.
L’ostacolo più pericoloso per Trump però non è Ron DeSantis, né Biden, ma Jack Smith, il super procuratore incaricato dall’Attorney General, Merrick Garland, di indagare sui documenti trafugati da “The Donald” alla Casa Bianca, e anche sul suo presunto coinvolgimento nell’assalto a Capitol Hill, del 6 gennaio 2021.
elenco dei documenti ritrovati a mar a lago
L’annuncio dell’incarico, arrivato pochi giorni dopo quello della ricandidatura di Trump, ha fatto infuriare l‘ex inquilino della Casa Bianca, che ha tuonato: “Un tremendo e orrendo abuso di potere, l'ultimo di un lungo esempio di caccie alle streghe che è cominciata molto tempo fa”. Una reazione così infuocata può voler dire una cosa sola: “The Donald” ha paura, e fa bene.
2 - A CONTI FATTI, LO SCONFITTO TRUMP HA VINTO
Mattia Ferraresi per “Domani”
DONALD E MELANIA TRUMP
La storia di Donald Trump ci ha insegnato che predire la sua fine è un esercizio imprudente.
L’ex presidente ha resisto a due impeachment, si è scrollato di dosso una moltitudine di scandali incrociati e ha sbaragliato avversari che sembravano attrezzati per disarcionarlo. Soprattutto, è sempre riuscito a sopravvivere al suo nemico peggiore, sé stesso.
La differenza, questa volta, è nel deserto che si è creato intorno a lui. Le elezioni di midterm – deludenti per i repubblicani, devastanti per i candidati trumpiani e i negazionisti dei risultati elettorali – ha trasformato l’annuncio del suo rilancio per le presidenziali del 2024 in una cerimonia funebre.
trump murdoch
Fox News, fedelissima nel trasmettere integralmente tutte le liturgie del trumpismo, ha tagliato il suo annuncio a Mar-a-Lago e anche gli altri megafoni dell’impero di Murdoch si sono rivolti altrove.
Per il Wall Street Journal è ora che Trump ceda il passo a candidati più giovani, il New York Post sfotte il «pensionato golfista» che ha annunciato la sua candidatura e fa il tifo per il governatore della Florida, Ron DeSantis, che tra i conservatori è il vero vincitore di questa tornata.
IL MEME DI ELON MUSK DOPO LA RIAMMISSIONE SU TWITTER DI DONALD TRUMP
Gli irriducibili lealisti sono scomparsi o in severo imbarazzo. Sean Hannity, l’ultimo dei suoi pretoriani televisivi, accoglie con un benvenuto a mezza voce la sua nuova corsa, Ivanka e Jared Kushner si sfilano da ogni possibile futuro in politica, diversi invitati nella tenuta trumpiana hanno perfino tentato di lasciare la sala prima della fine del discorso, come fanno certi tifosi quando la partita è chiaramente persa, ma sono stati trattenuti con garbata fermezza dagli uomini della sicurezza.
La scena di una fine che questa volta appare inevitabile non coincide però con la fine del trumpismo. Tutto sommato, Trump ha compiuto con successo la sua missione storica: ha rottamato il vecchio partito liberista e internazionalista di Reagan e Bush, rimpiazzandolo con confuse forme di brutale nazionalismo protezionista e isolazionista in sintonia con il risentimento dell’“uomo dimenticato” che domina questi tempi.
DONALD TRUMP CHIEDE ALL FBI DI RESTITUIRGLI I DOCUMENTI SEQUESTRATI A MAR-A-LAGO
Joe Biden ha detto che il mandato di Trump è stato «un’aberrazione», ma la definizione non tiene conto del fatto che l’ex presidente ha cambiato il codice genetico del partito e il frontman che verrà darà un nuovo volto ai repubblicani ma suonerà sullo stesso spartito politico.
In questo senso, la presidenza di Trump è stata un evento trasformativo, non un interregno. DeSantis, Mike Pompeo e Glenn Youngkin, per citare tre fra i più accreditati per ottenere la candidatura, sanno che Trump può essere battuto soltanto con le armi del trumpismo.
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Si tratterà giusto di sostituire la delirante irrazionalità narcisistica ed eversiva della sua personalità, che è venuta a noia anche agli elettori più convinti, con una proposta politica vagamente intelligibile. A conti fatti, Trump ha vinto.
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