Massimo Gaggi per il ‘’Corriere della Sera’’
Studiare nelle università degli Stati Uniti per molti ragazzi stranieri è un'esperienza costosa ma entusiasmante. Nel primo semestre del Covid-19 l'esperienza è rimasta costosa, ma è divenuta frustrante: corsi online, aule e campus chiusi, vita accademica azzerata.
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Con l'inizio del nuovo anno di studi per molti la frustrazione rischia di diventare incubo a causa delle nuove regole improvvisamente emanate dall'autorità per l'Immigrazione, che impongono agli studenti stranieri con visti di studio F-1 e M-1 di rientrare subito nei loro Paesi se le loro università hanno deciso, per il prossimo semestre (agosto-dicembre) di trasferire tutto l'insegnamento sui canali digitali come hanno già fatto circa un quarto delle accademie Usa, compresa la più celebre, Harvard. Potrà, invece, restare chi frequenta atenei nei quali si tornerà in classe o che hanno scelto la formula ibrida: metà corsi online e metà in classe.
Norme che fanno parte della scelta politica dell'amministrazione Trump di ridurre i flussi migratori verso gli Usa (sono già stati azzerati vari tipi di permessi di lavoro) utilizzando il coronavirus come giustificazione per la stretta. Sono provvedimenti destinati a creare una situazione confusa non solo per gli studenti, ma anche per gli atenei: per loro gli studenti stranieri (oltre un milione) non sono solo il 5 per cento degli iscritti. Sono anche la principale fonte di finanziamento, perché chi viene dall'estero paga per intero le astronomiche tariffe d'iscrizione (circa 70 mila dollari l'anno) e, in genere, non riceve l'assistenza finanziaria riservata a molti studenti americani: i college incassano circa 2,5 miliardi di dollari l'anno dai non residenti.
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Per i ragazzi si apre un periodo di incertezza: molte università non hanno ancora deciso come organizzare gli studi autunnali o si riservano di cambiare sistema a seconda dell'evoluzione dell'epidemia di Covid-19. Ci sono, poi, nazioni che non accettano viaggiatori provenienti dagli Stati Uniti (compresi i loro cittadini) se non per situazioni di seria emergenza e con l'obbligo di quarantena. I voli sono pochissimi e costosi. Tornare, poi, in America quando riprenderanno le lezioni, è un'altra incognita: i consolati americani funzionano a scartamento ridotto e i visti vengono emessi col contagocce.
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Le circostanze sono destinate a creare non solo un conflitto generazionale tra studenti (decisi a tornare in aula) e professori (che preferiscono l'insegnamento digitale fino a quando sarà disponibile un vaccino efficace), ma anche tra docenti e amministrazioni degli atenei. I professori più anziani dichiarano alla stampa di non voler rischiare la vita in classi piene di ragazzi, potenzialmente tutti contagiati asintomatici, che fanno festa e praticano sport con contatto fisico. In momenti come questo si scopre che quello dei docenti è un corpo notevolmente invecchiato, con molti professori che restano in cattedra oltre i 70 anni, mentre gli over 55, che nel mercato del lavoro nazionale sono il 23 per cento, nelle università sono il 37 per cento.
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