Giuseppe Sarcina per il Corriere della Sera
TRUMP
Via anche questa tradizione. Dal 1924 tutti i presidenti degli Stati Uniti avevano partecipato alla «Cena dei corrispondenti a Washington». Solo Ronald Reagan, nel 1981, saltò l' appuntamento: ma era appena scampato a sette colpi di pistola.
Donald Trump, invece, l' altra notte si trovava ad Harrisburg in Pennsylvania, dove inizia il Nord industriale del Paese e dove ha preso corpo il ribaltone dell' 8 novembre. È il comizio dei 100 giorni. Trump lo imposta con queste parole: «Proprio ora tanti attori di Hollywood e i media si consolano in un hotel di Washington. Non potrei essere più felice di essere a oltre 150 km dalla palude della capitale con persone come voi».
DI CAPRIO
L' attacco a tv e giornali non è una novità. Ma certo Trump ha voluto e studiato un' ulteriore escalation. Prima ha rifiutato l' invito della «White House Correspondents Association», poi ha costruito minuziosamente un evento pubblico alternativo, proponendo in diretta tv la contrapposizione retorica tra la «sua» folla di «cittadini normali» e la platea delle giornaliste e dei giornalisti in smoking e in abito da sera.
Un artificio paradossale, persino banale, per un presidente immerso da sempre nel lusso. E anche un comodo strumento per scaricare su altri le difficoltà di governo: giornali, «burocrazia», «le regole arcaiche» del Congresso, l' ostruzionismo del partito democratico.
TRUMP
L' assenza di Trump ha spinto la «Cena dei corrispondenti» a tornare allo spirito delle origini e a riflettere sulla crisi oggettiva dell' informazione americana: secondo i sondaggi di Gallup, l' istituto di ricerca più autorevole del Paese, solo il 32% degli americani ha fiducia nella tv e nei giornali. I corrispondenti di Washington hanno chiesto a Bob Woodward e Carl Bernstein, i reporter del «Washington Post» all' epoca del Watergate, di dire una parola. Bernstein ha difeso la categoria: «Non siamo fake news»; ha ricordato che «Nixon attaccava i giornali per nascondere i propri crimini».
KIM JONG UN DONALD TRUMP
E infine ha avvertito i colleghi: «Come i politici e i presidenti, talvolta, spesso frequentemente, facciamo errori e ci spingiamo troppo oltre. Quando accade dovremmo riconoscerlo». La voce degli anni d' oro del giornalismo americano e mondiale: nel 1976 il tasso di approvazione della carta stampata misurato da Gallup era del 72%.
Ma il conflitto, la rissa permanente con i media «disonesti» e «incompetenti» resta una necessità politica per Trump che si sforza di essere un leader difficile da marcare, imprevedibile. Come si è visto sempre ieri, quando Trump si è dedicato a Kim Jong-un, il dittatore della Corea del Nord: «Deve essere un tipo sveglio, è riuscito a conservare il potere con gente dura. Stiamo giocando una partita a scacchi: non voglio rivelare quali saranno le mie mosse».
DONALD TRUMP CON IL FUCILE