Francesca Angeli per www.ilgiornale.it
ASTENSIONE
Astensionismo: era questo il grande nemico delle elezioni comunali. L'avversario che tutti i candidati sapevano di dover battere e che altrimenti destinava tutti alla sconfitta. Alla fine ha votato il 66 per cento degli elettori aventi diritto contro l'oltre 70 per cento delle comunali del 2011. Un calo generale forse meno disastroso del previsto ma che non frena l'emorragia di elettori e per il quale non basta attribuire la colpa, almeno per il meridione alla splendida giornata di sole, al lungo ponte con la Festa della Repubblica o al fatto che si votava un giorno solo.
L'elettore, gli elettori sono cambiati, decidono di volta in volta se e chi votare. La disaffezione ai partiti e la perdita del senso di appartenenza ad una comunità colpisce oramai indistintamente quel che resta di destra e sinistra svuota le cabine elettorali. L'incubo dell'astensionismo ha cominciato a materializzarsi fin dai primi dati raccolti a mezzogiorno: bassi, bassissimi: 17,99 in media, soprattutto nelle grandi città e non paragonabili in modo omogeneo a quelli delle ultime comunali, 12,93, perché allora si votò per due giorni.
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Gli oltre 13 milioni di cittadini chiamati a scegliere il sindaco, tra loro per la prima volta 18.318 diciottenni, non si sono fatti vivi neppure per il conteggio dell'affluenza alle 19. La media era ferma al 46,01 contro un 38,68 di 5 anni fa che però era sempre spalmato su due giorni. Alla fine in serata in molti sono rientrati dal ponte e gli elettori si sono ricordati del voto anche se i dati sono rimasti bassi soprattutto nelle grandi città.
A Roma ha votato il 58 per cento; a Milano il 61; a Torino il 61; Bologna 63,59. È proprio nelle grandi città che si manifesta con maggiore evidenza il disinteresse per le elezioni. In comuni più piccoli come Brescia in Lombardia si registrava il 70 per cento. Nel Lazio a Rieti il 77 per cento.
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La diserzione degli elettori alla chiamata del voto ha radici lontane. Analisti ed esperti la fanno risalire alla caduta del muro di Berlino nell'89 con il progressivo esaurimento delle ideologie. In Italia la disaffezione alle urne cresce piano fino alle soglie del 2000 per poi galoppare fino al crollo nelle politiche del 2013, giudicato da tutti i politologi come il segno della definitiva debacle dei partiti, la chiusura di un epoca per aprirne un'altra fatta di incognite.
Si va dalla partecipazione ancora alta alle politiche del 2001, 81,4, verso una progressiva discesa agli inferi del trionfo dell'anti politica: 83,6 del 2006; 80,5 del 2008; 75,18 del 2013. E nelle precedenti comunali si evidenzia come proprio nelle grandi città l'astensione salga anche per un voto considerato come più sentito dai cittadini. Certamente in questo caso quello che conta è l'appeal dei candidati.
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Nel 2013 a Roma al primo turno votò circa il 52 per cento degli elettori crollati però al 45 per cento per il ballottaggio che poi vide salire al Campidoglio Ignazio Marino del Pd. Nel 2008 al ballottaggio per scegliere tra Gianni Alemanno e Francesco Rutelli andò a votare il 63 per cento dei romani. E maggiore partecipazione ci fu a Milano per il duello tra Giuliano Pisapia e Letizia Moratti sempre nel 2011 con un 67,3 di elettori al voto per il ballottaggio.
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