Gian Maria De Francesco per “il Giornale”
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L'uso del termine «ricatto» come evocativo dell' attitudine tedesca nei confronti dei Paesi Ue recalcitranti ad accettarne i diktat è stato parzialmente ritrattato dal ministro dell' Economia, Giovanni Tria. Il titolare del Tesoro ha irritato la Germania parlando di come il suo predecessore Saccomanni fu costretto a «ingoiare» il bail in, però non è andato lontano dalla verità.
I precedenti sono numerosi e, d' altronde, lo stesso bail in altro non è che una delle tante cambiali pagate dall' Eurozona alla Germania per il solo fatto che abbia accettato la costituzione del Fondo salva-Stati. Basta tornare indietro al 2011 per trovare un precedente nel tormentato vertice di Cannes del 3 e 4 novembre. Il premier greco Giorgos Papandreou aveva annunciato in quei giorni un referendum sul nuovo piano di aiuti che l' Ue aveva programmato per la crisi ellenica.
Merkel Schaeuble
La Bundeskanzlerin Angela Merkel e il presidente Nicolas Sarkozy intimarono: «L' euro andrà avanti con la Grecia o senza la Grecia». Di fatto una minaccia. Papandreou si dimise, il referendum fu annullato e si costituì un esecutivo guidato dal «tecnico» Papademos. Ricorda qualcosa? La stessa soluzione «politica» fu adottata quell' anno nei confronti dell' Italia dove il governo Berlusconi, regolarmente eletto, fu scalzato tramite spread.
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Il ministro dell' Economia di quell' esecutivo, Giulio Tremonti, imputò successivamente tale avvicendamento al rifiuto italiano a utilizzare il Fondo salva-Stati per le crisi bancarie o quanto meno a determinarne la partecipazione di ciascun Paese in base al rischio degli istituti che per l' Italia a quel tempo era basso. Il risultato? A fine 2014 l' esposizione delle banche francesi e tedesche sulla Grecia si era ridotta dai circa 125 miliardi del 2009 a soli 15 miliardi anche grazie al «contributo» di 40 miliardi dell'Italia tutti computati a deficit e poi a debito.
YANIS VAROUFAKIS
Si arriva così al famigerato 2013 quando Saccomanni fu costretto a cedere sul bail in nonostante la contrarietà di Bankitalia. Come spiegato dall' ex ministro in commissione banche a fine 2017 «c' era il rischio che si riattivasse il circolo vizioso fra rischi bancari e rischi sovrani» e l' Italia, sorvegliata speciale, non poteva opporsi né, tanto meno, aveva alleati tra i Paesi del Sud tutti sotto Troika.
Non era un ricatto ma gli assomigliava molto. Nel 2015 la Grecia, guidata oggi come allora da Alexis Tsipras, provò a rimettere in discussione gli aiuti dell' Ue con un referendum. Il ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, racconta l' ex ministro Yanis Varoufakis, spiegò al suo omologo ellenico: «Yanis, tu devi capire che nessun paese è sovrano oggi. Specialmente uno piccolo e in bancarotta come il tuo». Sottolineò poi che «le elezioni non possono cambiare un programma economico di uno Stato membro!».
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In quello stesso anno, secondo quanto Varoufakis narra nel suo libro Adulti nella stanza, anche l'Italia fece nuovamente le spese dell' egemonia tedesca. «Pier Carlo (il ministro Padoan; ndr) mi disse che aveva chiesto a Schäuble cosa potesse fare per ottenere la sua fiducia e questa risultò essere la riforma del mercato del lavoro».
In buona sostanza, secondo questa fonte interessata (Varoufakis è leader della nuova sinistra europea), il Jobs Act e l'abolizione dell'articolo 18 sarebbero frutto di un «accordo» per compiacere la Germania e ottenere il suo sì al maggior deficit italiano. Va detto che le riforme strutturali del mercato del lavoro facevano parte del menu del governo Monti, ma furono disattese causa pressing del Quirinale. Il dubbio persisterà. Il controllo tedesco su tutti i gangli vitali dell' Ue pure.