Luigi Ferrarella per il "Corriere della Sera"
Claudio Granata
Il «patto della Rinascente» tra il capo del personale Eni, Claudio Granata, e l'imputato-accusatore di Eni, Vincenzo Armanna, finalizzato a «comprarne» nel 2016 la ritrattazione nel processo Eni-Nigeria con la consegna da Granata ad Armanna (fuori dalla Rinascente di piazza Fiume a Roma) dei punti da ritrattare, non ci sarebbe mai stato. Almeno non nella scena narrata da Armanna (e confermata da Piero Amara) prima in tv a Report nell' aprile 2019 e poi ai pm da luglio in poi.
E la Procura di Milano, almeno da fine 2020, l' avrebbe saputo ma non comunicato al Tribunale. Tra gli atti all' esame della Procura di Brescia, infatti, ci sono queste sopravvenute indagini con le quali il pm Paolo Storari avrebbe messo in allarme i colleghi dopo aver escluso, in ciascuno dei giorni possibili tra fine aprile e metà maggio 2016, la presenza di Granata. Escluso come?
vincenzo armanna
Incrociando modalità di entrata e uscita dalla sede Eni di San Donato, i badge, le registrazioni delle chiamate a impronta digitale dell' ascensore «presidenziale» nella sede romana (dove restava traccia delle entrate ma non necessariamente delle uscite), le agende di lavoro, le riunioni davvero svoltesi, il controllo delle videoconferenze, la misurazione dei tempi di percorrenza, i tabellini della cooperativa di taxi di Granata, telepass, tabulati telefonici.
Dunque senza l' esame di quella copia forense del cellulare di Armanna sulla cui utilizzabilità il procuratore aggiunto De Pasquale il 5 marzo 2021 (poco prima della sentenza) esprimeva forti dubbi in una nota al procuratore Greco e alla vice Pedio (non a Storari).
piero amara
È ben possibile che i capi e gli altri coltivassero un dubbio su ipotetiche finestre temporali a loro parere non del tutto sbarrate dalle verifiche di Storari: ma il punto critico resta la decisione di non offrirle alla valutazione del Tribunale, benché sul «patto della Rinascente» Armanna avesse deposto il 22 luglio 2019 in uno dei 3 giorni di esame dei pm. Il ministro della Giustizia, Marta Cartabia, ha intanto chiesto ai suoi ispettori di acquisire atti in una inchiesta amministrativa «al fine di una corretta ricostruzione dei fatti».