Roberto Fabbri per "il Giornale"
Una decina di anni fa, durante una sessione del tribunale penale internazionale dell' Aia, il giudice aveva dovuto redarguirlo perché si era rivolto alla delegazione delle madri di Srebrenica facendo il sinistro gesto di passarsi un dito lungo la gola.
ratko mladic
Erano passati più di quindici anni dallo spaventoso massacro di ottomila civili musulmani da lui ordinato nella cittadina bosniaca, ma l' arroganza e la crudeltà di Ratko Mladic restavano immutate. Chissà se ci sperava davvero, in uno sconto di pena: certamente aveva fatto ben poco per ottenerlo. Quell' atto di parziale clemenza, comunque, non è arrivato.
La notizia di oggi è che il generale idolo dei nazionalisti serbi più radicali, 78 anni, dovrà rimanere in cella fino all' ultimo dei suoi giorni. Come accadde al suo mandante belgradese Slobodan Milosevic, morto in cella per un infarto nel 2006, e come verosimilmente accadrà al suo leader politico serbo-bosniaco Radovan Karadzic, pure detenuto in Olanda. Per il presidente americano Joe Biden è una «sentenza storica», «la prova» che chi commette dei crimini verrà punito. Per il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, «un passo importante per la giustizia delle vittime».
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La strage di Srebrenica del 1995, resa possibile anche dal comportamento indegno della guarnigione dell' Onu che avrebbe dovuto difenderla, è l' episodio che rende Mladic tragicamente indimenticabile, ma essa tende a far passare in secondo piano il resto della sua sanguinaria carriera. Il tutto ebbe origine dallo sbriciolamento della Jugoslavia nel 1991: prima la Slovenia, poi la Croazia proclamarono la propria indipendenza da Belgrado, che tentò invano di impedirle con la forza e dovette poi accettare il dato di fatto. Ma quando nel '92 anche la Bosnia-Erzegovina fece secessione, Milosevic non sentì ragioni.
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Quella Repubblica etnicamente mista, dove specialmente nella capitale Sarajevo serbi, croati e musulmani eredi della passata dominazione ottomana convivevano in pace, divenne presto il teatro di orrori quali in Europa non si vedevano da mezzo secolo. I serbi si ritagliarono entro i suoi confini una «Republika Srpska» che in base a una fanatica visione nazionalistica doveva diventare a qualsiasi costo etnicamente omogenea. Il generale Ratko Mladic, nominato comandante delle sue milizie, le trasformò in uno spietato esercito che procedette alla «pulizia etnica»: Sarajevo fu bombardata e trasformata in un tragico tiro a segno a danno di civili, mentre le città-fortezza a maggioranza musulmana finirono sotto assedio.
ratko mladic in tribunale
Non fu solo l' opinione pubblica internazionale a rimanere sconvolta. Ana Mladic, giovane figlia del generale, non resistette allo choc: il suo suicidio a 23 anni, con la pistola preferita del genitore, fu l' unica sfida che poté opporgli, un gesto simile a quello compiuto sessant' anni prima da Nadezhda Alliluieva, moglie di Stalin. Come il dittatore sovietico negli anni Trenta, Mladic reagì incattivendosi di più e la carneficina che ordinò a Srebrenica coronò un percorso ubriacante di odio disumano.
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Il macellaio Mladic trovò comunque i suoi ammiratori. Dopo la sconfitta di Milosevic, il generale serbo-bosniaco datosi alla macchia godette all' estero della comprensione di chi lo confondeva con un difensore dell' Europa cristiana e in patria della complicità di chi non si vergognava dei suoi crimini. Quando fu catturato, nel 2011, era da anni protagonista di una latitanza tutt' altro che segreta a Belgrado e dintorni, coperto da un truce milieu ultranazionalista. Finito in cella all' Aia, dapprima fece il duro, poi cercò di ottenere sconti sottobanco. Invano, come oggi sappiamo.
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