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1. QUEI GIORNI DA BEATLES «COME IN UN REALITY»
Mattia Marzi per “il Messaggero”
I Beatles rinchiusi in uno studio con telecamere e microfoni ovunque, come in un reality, ripresi da mattina a sera per ventidue giorni mentre lavorano alle canzoni per un nuovo album Get Back, che poi sarebbe diventato Let It Be e preparano un film che racconti le stesse sessions, culminate con il leggendario concerto sul tetto della loro casa discografica, la Apple Records.
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Il 25, 26 e 27 novembre arriva in streaming su Disney+ The Beatles: Get Back, la monumentale docu-serie di 8 ore divisa in tre parti, firmata da Peter Jackson.
IL RITRATTO
Qualcosa delle oltre 200 ore di girato e registrazioni audio delle giornate che John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr passarono in studio, nel gennaio del 1969, si era già visto e sentito negli anni, tra documentari e dischi. Ma la maggior parte del materiale è rimasta chiusa in un caveau per oltre mezzo secolo.
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Fino a quando nel 2017 la Apple Corps, che gestisce gli interessi legati ai Beatles, non ha pensato di affidare al premio Oscar neozelandese già regista della saga de Il signore degli anelli il compito di accedere al tesoro e riportarlo alla luce: «Michael Lindsay-Hogg, il regista scelto dai Beatles all'epoca per realizzare il film Let It Be, aveva messo microfoni ovunque.
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Ogni tanto, per riprenderli nella loro spontaneità, fingeva di spegnere la telecamera oppure lasciava accesi i microfoni registrandone le chiacchiere a loro insaputa», racconta Peter Jackson, collegato in videochiamata dall'altra parte del mondo. Il regista ha dedicato al colossale progetto gli ultimi quattro anni della sua vita. I filmati del '69 sono stati restaurati: «Ho dovuto tagliare molte cose, ma non ho lasciato fuori niente di quello che serviva a raggiungere l'obiettivo che ci eravamo dati: fare un ritratto accurato di com' erano i Beatles in quei giorni», spiega Jackson.
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Nel gennaio del 1969 la carriera del quartetto di Liverpool era già al capolinea, dopo dieci anni di convivenza artistica e di successo planetario. Durante le sessions di Let It Be, che sarebbe stato pubblicato solo nel maggio del 1970, nacquero sia brani di Abbey Road registrato cronologicamente dopo, ma spedito nei negozi prima, nel settembre del '69 che canzoni dei futuri dischi solisti dei quattro, da Jealous Guy di Lennon a Another Day di McCartney: «Mi sono sentito come una mosca sul muro. È stato come se li spiassi, mi sembrava a volte di ascoltare delle intercettazioni alla maniera dei servizi segreti confessa il regista il presupposto fondamentale era essere fan: in una mole così enorme di materiale serviva qualcuno che capisse i tanti riferimenti».
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LE PAROLACCE E IL RITIRO
Paul e Ringo, gli unici due membri dei Beatles ancora in vita (la storia della band continua a perdere pezzi: il 10 novembre è morto l'illustratore Bob Gill, che lavorò per la loro Apple), hanno approvato il risultato finale: «Non una critica, ma mi hanno detto che vedere la docu-serie è stata una delle esperienze più stressanti della loro vita. D'altronde qui si rivela ciò che è realmente accaduto».
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Curiosità: la Disney voleva che venissero rimosse le parolacce. «Ma Ringo, Paul, Olivia Harrison (vedova di George, ndr) e Yoko Ono gli hanno chiesto di non farlo, perché contribuiscono a mostrarli nel modo più veritiero possibile», rivela Jackson. Che reality sarebbe stato, altrimenti? A proposito, c'è pure un ritiro: quello di George Harrison, che niente di inedito, è storia, raccontata anche nel libro tratto dal lavoro di Jackson durante le sessions sbottò nei confronti dei compagni e uscì dalla casa (pardon, dallo studio). Cambierà idea, permettendo i Beatles di portare a termine il disco più difficile della loro carriera.
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2. CIAK, SI SUONA
Gianmaria Tammaro per “La Stampa”
Peter Jackson è un perfezionista. In tutti i film che ha diretto e prodotto ci sono la sua incredibile attenzione per i dettagli e la sua straordinaria conoscenza dei mezzi e della tecnologia. È un innovatore; per certi versi, addirittura un pioniere. The Beatles: Get Back in qualche modo rappresenta la sintesi tra la sua capacità di modellare la materia cinematografica e la sua visione di regista.
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Il materiale di partenza non è nuovo: sono decine e decine di ore di girato e di audio, rimaneggiate, modificate, ripulite e restaurate. Siamo alla fine degli anni '60, e non c'è una sola storia: ce ne sono tante. I Beatles, qui, non sono solamente i Beatles. «Pensiamo di conoscerli - dice Jackson - e pensiamo di sapere tutto. Perché li abbiamo visti e ascoltati in ogni momento e in ogni occasione».
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E invece con Get Back impariamo a conoscere questi musicisti per quello che sono: ragazzi. «Ragazzi perbene», precisa Jackson. Ma con i loro caratteri e i loro problemi, con le loro divergenze e le loro personalità. «C'è un po' di disorganizzazione, e si vede; questa è la mia unica critica». Seduti in un angolo a provare, a ripetere e a impegnarsi. L'ultimo giorno come il primo: stessa tenacia, stesso ritmo; stessa alchimia. Non sono solo i Beatles, davvero; e non sono solo i Beatles prima della fine e del grande addio. Sono individui.
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E si muovono e parlano in un certo modo. «Sono sempre stato un loro grande fan», ammette Jackson. Per lui, poter sviluppare questa docu-serie, su Disney+ il 25, il 26 e il 27 novembre, è stata una grande occasione. Una fortuna, anzi. Ha immediatamente accettato. E per mesi ha lavorato al montaggio.
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«Il mio obiettivo è sempre stato quello di creare qualcosa di bello, qualcosa di genuino. E non solo per gli appassionati: ma per tutti». Jackson è stato la prima persona, in 50 anni, ad avere accesso a questi video e a questo materiale. E il merito, sottolinea, è di Michael Lindsay-Hogg, regista di Let It Be, che nel 1969 ha seguito i Beatles durante la scrittura e la registrazione delle loro nuove canzoni.
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«È stato bravo - spiega Jackson - perché è riuscito a riprendere ogni istante, e a catturare la verità di questo gruppo». I Beatles hanno sempre avuto un rapporto particolare con la loro immagine. Con Get Back di Peter Jackson è stata percorsa un'altra strada. «Questa è storia. Una cosa di tutti. Non ho mai ricevuto note o richieste durante il lavoro; sono stato libero e indipendente». Una delle cose più interessanti di Get Back, riprende Jackson, è la prospettiva unica, quasi inedita, sul processo creativo dei Beatles. «Li vediamo mentre scrivono e compongono, mentre provano».
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Insomma, mentre sono nel loro elemento. «Le registrazioni audio non si sono mai fermate; e così abbiamo tantissime ore di discussioni, di chiacchiere e di confronti. Ho provato a utilizzare tutte le cose più belle e importanti». Quello che viene raccontato è un momento particolare per i Beatles. Sono stanchi, stremati, e sono schiacciati dal peso del lavoro e delle aspettative. Sono pronti a ritirarsi e a separarsi. Prima, però, devono finire quello che hanno cominciato.
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«Quando non sanno di essere ripresi sono estremamente veri e diretti. E questo mi ha stupito molto. Ognuno di loro ha la sua idea e il suo approccio, la sua reazione e la sua soluzione: ed è veramente intrigante». Peter Jackson ha provato a costruire un percorso alternativo, sfruttando immagini, frame e tracce audio. E per questo motivo Get Back è anche una testimonianza della sua passione e delle sua abilità. È stato, confessa, un lavoro lungo e difficile. Ma, alla fine, soddisfacente.
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Questa docu-serie è l'ennesimo tassello di un altro fenomeno, decisamente più ampio: il crescente interesse delle piattaforme per un determinato tipo di racconti. Nell'era dello streaming i documentari stanno attraversando una nuova fase. Ed è evidente. Ma poi ci sono anche storie come questa dei Beatles e di altri grandi artisti che possono finalmente avere lo spazio e l'attenzione che meritano.
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