Barbara Visentin per www.corriere.it
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Non c’erano molti dubbi su chi fosse la grande rivelazione musicale degli ultimi 12 mesi, nuova beniamina della Generazione Z, 8 miliardi di stream all’attivo, dischi d’oro e di platino che ne hanno fatto una regina delle classifiche. Ma i 64esimi Grammy Awards hanno consacrato Olivia Rodrigo mettendole tra le mani anche tre grammofoni d’oro: la cantautrice 19enne americana, pur non vincendo alcuni dei premi principali per cui era candidata, è stata incoronata Miglior nuova artista, ha vinto per il Miglior album pop con il suo disco di debutto «Sour» e si è aggiudicata anche la Miglior performance pop solista con «Drivers license», hit dei record che l’ha lanciata.
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Sul palco della MGM Gran Garden Arena di Las Vegas, dove domenica notte si è tenuta la cerimonia, il pensiero della ex stellina Disney (ha debuttato nella serie tv «Bizaardvark» e poi in «High School Musical») è andato ai suoi genitori che l’hanno sempre incoraggiata, sia che si trattasse della musica sia di diventare una ginnasta olimpica, percorso che aveva intrapreso prima di virare verso le canzoni: «Questo è il mio più grande sogno che si avvera — ha detto nel ricevere i premi, lunghi capelli scuri e sorriso raggiante —. Voglio ringraziare mia mamma per aver sostenuto così tanto i miei sogni, non importa quanto fossero assurdi. Voglio ringraziare mia mamma e mio papà per essere fieri di me allo stesso modo sia per aver vinto un Grammy sia per quando ho imparato a fare la rovesciata all’indietro».
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Classe 2003, brani con cui piangere per le prime delusioni d’amore («Ho 18 anni, di cosa dovrei scrivere, della compilazione delle tasse?», aveva replicato a chi la trovava monotematica e troppo adolescenziale), Rodrigo è nata e cresciuta in California, ma viene da una famiglia in parte filippina, in parte irlandese-tedesca. Figlia degli anni Zero e dell’America multietnica, erede ideale delle sue muse ispiratrici Lorde e Taylor Swift, artisticamente è «figlia» della pandemia che non le ha ancora dato la possibilità di far sentire dal vivo i brani di «Sour».
Per compensare alla mancanza di concerti, ha realizzato un documentario che racconta il dietro le quinte del disco, «Driving Home 2 U (A Sour Film)», uscito a fine marzo su Disney+. È già stata ospite della Casa Bianca ed è stata testimonial di alcuni video per invitare i giovanissimi a vaccinarsi contro il Covid-19.
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Ma dopo un anno a seminare, ora è giunto il momento di raccogliere gli applausi perduti, con un fitto tour in partenza in questi giorni dagli States, sempre sold out, che fa tappa (esauritissima) anche a Milano il 16 giugno: Rodrigo ha messo insieme una band tutta al femminile che dal vivo ha un piglio più rock rispetto al pop del disco. Ne va fiera e reclama la necessità di vedere più donne nel rock: «Non ne ho viste abbastanza da piccola», ha dichiarato.
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Proprio lei è stata anche la protagonista di uno dei momenti più virali dei Grammy, beccata dalle telecamere a «flirtare» con V (pseudonimo di Kim Taehyung), uno dei sette componenti dei BTS: i due si parlavano all’orecchio e anche se non c’è modo di sapere cosa si siano detti, sono bastati gli sguardi e le espressioni a far impazzire l’armata di fan del gruppo coreano, che ha reso il video uno dei momenti più condivisi sui social della serata.
Serata che, d’altro canto, ha incoronato anche un re, ovvero l’eclettico jazzista Jon Batiste: candidato a 11 premi, ne ha vinti ben cinque, incluso l’album dell’anno, «We Are», ispirato al movimento Black Lives Matter, a conferma di un talento già certificato dagli Oscar che in Italia ancora pochi conoscono. Trentacinque anni, attivista oltre che musicista, Batiste guida la lista dei più premiati davanti a un’altra coppia eccellente, quella dei Silk Sonic ovvero Bruno Mars e Anderson .Paak, quattro vittorie su quattro nomination con il loro «Leave the door open» incluse Registrazione dell’anno e Canzone dell’anno.
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A mani vuote Billie Eilish che però è stata protagonista sul palco, dove ha cantato «Happier than ever», indossando una t-shirt nera con l’immagine di Taylor Hawkins, batterista dei Foo Fighters appena scomparso. A lui è stato tributato un sentito ricordo, mentre la rock band, comprensibilmente assente, si è aggiudicata tre Grammy. Altro tributo commovente, in una notte senza colpi di scena che ha bilanciato i clamori per lo «slapgate» degli Oscar, quello di Lady Gaga a Tony Bennett, ormai lontano dai riflettori a causa dell’Alzheimer. I due hanno vinto il Grammy per il Miglior album vocale pop tradizionale con «Love for sale» e Gaga ha cantato anche per il 95enne crooner, rimasto a casa.
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Non poteva mancare, infine, un pensiero all’Ucraina: il presidente Volodymyr Zelensky è intervenuto con un video registrato (la stessa cosa era stata ipotizzata per gli Oscar, ma non si era infine concretizzata), prima che salisse sul palco John Legend insieme a due artiste e a una poetessa ucraine. «I nostri musicisti mettono il giubbotto antiproiettile invece dello smoking. Cantano per i feriti. Negli ospedali. Anche per quelli che non li possono sentire. Ma la musica riesce a sfondare comunque - ha detto Zelensky -. Riempite il silenzio con la vostra musica. Aiutateci in ogni modo, in ogni modo ma non con il silenzio. E verrà la pace»
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