Andrea Pasqualetto per il ''Corriere della Sera''
mario bozzoli
Un odio familiare profondo, cresciuto nel tempo ed esploso quella sera: 8 ottobre 2015, l’ultimo giorno di vita dell’imprenditore Mario Bozzoli, 50 anni, titolare di una fonderia della Val Trompia che sfornava lingotti d’ottone. Per i magistrati di Brescia l’ipotesi è quella: «Omicidio premeditato da parte dei due nipoti, Giacomo e Alex». Nessun rapimento, nessuna fuga, come si pensava in quei giorni con una certa speranza, poi svanita di fronte al silenzio.
No: Bozzoli sarebbe stato ucciso nella fabbrica di Marcheno dai rampolli di famiglia, 33 e 40 anni, figli del fratello maggiore Adelio, con i quali condivideva l’azienda fra mille litigi. Il movente? Soldi e una grande avversione personale. Ci sono di mezzo un’operazione economico-finanziaria, i progetti per il futuro prossimo, la nuova azienda creata a Bedizzole da Adelio per diversificare la produzione, le rispercussioni sulla vecchia fonderia che aveva un capitale equamente diviso fra i due fratelli. Baruffe, minacce, rancori. Di qua Adelio Giacomo e Alex; di là Mario e la sua lotta solitaria.
Ucciso, ma non gettato nel forno
l arrivo di giacomo bozzoli alla caserma dei carabinieri
La lunga e difficile indagine sul giallo di Marcheno, avocata a marzo dello scorso anno dal procuratore generale di Brescia Pier Luigi Maria Dell’Osso, è giunta dunque formalmente a conclusione. Quattro gli indagati: i due fratelli, accusati di omicidio premeditato e distruzione di cadavere, e due operai della stessa azienda, l’italiano Oscar Maggi e il senegalese Aboagye «Abu» Akwasi, ai quali l’accusa contesta il favoreggiamento personale per essere stati reticenti nei giorni immediatamente successivi al delitto.
giacomo bozzoli
Quanto alla vittima, è stata esclusa la fine più orribile: la spinta mortale nel forno dei lingotti. «Non è emersa alcuna traccia biologica fra le ceneri della fonderia e neppure negli ambienti circostanti», spiega l’investigatore, sulla base dei vari accertamenti condotti, in primis quello dell’anatomopatologa Cristina Cattaneo che ha cercato il dna di Bozzoli fra i materiali di scarto del forno.
Le paure della moglie
La ricostruzione porta a un delitto commesso all’interno della fabbrica, subito dopo la chiamata delle 19.15 di Bozzoli alla moglie Irene: «Mi cambio e arrivo». Dovevano andare a cena ma all’appuntamento Mario non arrivò mai. In quei giorni di mistero, Irene trovò il modo di raccontarlo agli inquirenti ricordando le guerre intestine fra le famiglie: «Mio marito aveva paura dei nipoti». Come si è arrivati, quindi, alle pesanti accuse?
fonderia bozzoli
Premessa doverosa, si tratta di un avviso di chiusura delle indagini, non di una richiesta di rinvio a giudizio. Ora la palla passa alla difesa, che per il momento non vuole dire nulla anche se probabilmente chiederà l’interrogatorio dei fratelli, i quali hanno sempre respinto ogni addebito: «Noi non c’entriamo con la tragedia dello zio». Solo al termine di questa fase la procura deciderà il dà farsi. Probabilmente vorrà il processo e sarà un processo difficile, per un assassinio che l’accusa ritiene premeditato dal lungo tempo ma nel quale la vittima non è mai stata trovata.
La testimone
ghirardini
In ogni caso, le iscrizioni nel registro degli indagati ci sono, accompagnate da una montagna di documenti. Dai quali emerge un procedimento sostanzialmente indiziario. Non è stata trovata la pistola fumante, non c’è un prova regina. Solo una lunga serie di indizi, messi in fila dai sostituti Silvio Bonfigli e Marco Martani, l’ex procuratore di Pordenone che risolse il giallo del duplice delitto di Teresa e Trifone.
Al di là dell’inchiesta finanziaria delle Fiamme Gialle, alcune testimonianze sono considerate importanti. Come quella dell’ex fidanzata bergamasca di Giacomo, Jessica: «Sono stata con lui fino al 2011. Mi aveva detto che i suoi rapporti con lo zio non erano buoni. Avrebbe voluto ucciderlo, ma per farlo, serviva il delitto perfetto». O come quella quasi surreale della ragazza di un amico di Giacomo che avrebbe addirittura sentito qualcuno chiedergli se e quando avrebbe ucciso lo zio. Mentre uno degli operai ha precisato che «una volta il nipote mi aveva promesso dei soldi se avessi picchiato Mario». Altro indizio: le telecamere interne dell’azienda. Sarebbero state direzionate da remoto in modo da non inquadrare alcuni ambienti. E le password per intervenire erano nella disponibilità dei solo nipoti.
L’altro mistero
alex e adelio bozzoli
Infine il giallo nel giallo, quello dell’operaio Giuseppe Ghirardini, presente in azienda il giorno del delitto, e trovato morto dieci giorni dopo fra i boschi della Valcamonica, con una fiala di cianuro in corpo. Anche questa indagine è stata avocata dalla procura generale. «Una cosa è certa — spiegano gli inquirenti — Ghirardini arrivò lassù da solo e quindi non può trattarsi di omicidio. Al limite di un’istigazione al suicidio». Ma in questo caso sembrano latitare anche gli indizi. Per la Val Trompia sono giorni agitati.
adelio bozzoli
apasqualetto@corriere.it
alla ricerca del cadavere di giuseppe ghirardini ADELIO BOZZOLI l auto ritrovata di giuseppe ghirardini alla ricerca di tracce biologiche nella fonderia bozzoli scorie dell altoforno fonderia bozzoli