Ugo Magri per www.huffpost.it
GIORGIA MELONI MARIO DRAGHI BY DE MARCO
Lascia stupefatti lo stupore che ha accolto l’ovvia risposta di Draghi alla altrettanto inevitabile domanda: “Farebbe il bis?”. Certo che no, ha sorriso il premier da uomo di mondo. E su questo suo scontatissimo “no” s’è aperto sui media uno stralunato dibattito, come se il Nostro avesse potuto dire diversamente da ciò che ha detto, proponendosi fin da subito quale bi-salvatore della Patria, tra l’altro non si capisce bene da chi, perché manca una settimana al voto e, soprattutto, la certezza matematica di cosa ne verrà fuori.
comizio di giorgia meloni dopo il voto al senato su draghi 2
Sbilanciarsi pubblicamente adesso, precocemente, al buio, per l’ansia di riproporsi non sarebbe stato da lui. Difatti Draghi se n’è ben guardato; e dunque quel “no” non significa nulla, lascia intatto il mistero delle sue reali future intenzioni: se davvero rifiuterebbe Palazzo Chigi, qualora potesse tornarci (per un anno e mezzo ci si è molto divertito); e come reagirebbe nel caso gli venisse prospettato qualche nuovo prestigioso incarico. L’unica certezza è la totale incertezza al riguardo.
A Super Mario, sulla carta, nulla è precluso perché se ne va dal potere con l’alone di martire, pugnalato dai partiti nel momento più sbagliato; perché lascia dietro di sé una scia di rimpianti, sia per quello che ha fatto sia per quanto gli è stato impedito di fare.
giorgia meloni mario draghi
L’incompiuta di governo sarà la sua forza e, come capita in questi casi, anche la sua vendetta. Potrà sonnecchiare in riva al fiume, rilassarsi tranquillo nella villa di Città della Pieve come il generale de Gaulle a Colombey-les-Deux-Églises, lasciando che il suo ricordo continui a seminare il panico nei palazzi romani come un ingombrante fantasma, un inquietante termine di paragone: “Avevamo Draghi, signora mia, e adesso guardi come siamo conciati”.
giorgia meloni dopo l'incontro con draghi 1
Tra l’altro nessuno potrà accusarlo di aver giocato in proprio; a differenza di Mario Monti, il quale aveva fondato addirittura un partito personale, l’ex banchiere centrale se n’è ben guardato; anzi ha negato che la sua famosa “agenda” governativa super partes potesse diventare bandiera di parte, tantomeno della coppia Renzi-Calenda pronta ad impossessarsene per fini propri. “Not in my name”, giù le mani dal sottoscritto, ha fatto sapere Draghi. Da allora quelli non ne parlano più.
MELONI DRAGHI
Insomma: con la fine delle larghe intese l’attuale premier non sembra destinato a uscire di scena; resterà nell’immaginario collettivo come esempio di “tafazzismo” della politica che, come al solito, si libera dei migliori per tenersi i peggiori; rientrerà in modalità “réserve de la République”, cioè di estrema risorsa, di paracadute per il Paese; fuori dai confini continueranno a considerarlo garante della fiducia che ci concedono, dei miliardi che ci prestano; e in questa veste indecifrabile Draghi porrà immediatamente un problema al vincitore (o vincitrice) delle elezioni.
giorgia meloni dopo l'incontro con draghi
Mettiamoci nei panni di Giorgia. Giorni fa, insieme a un mazzo di contumelie, ha lanciato il seguente appello: “Teniamoci per mano”, se n’è uscita, quasi rendendosi conto di ciò che presto l’attende e sollecitando un aiuto, un soccorso da tutti quanti abbiano a cuore l’interesse comune, chiunque lo rappresenti, perfino lei. Ecco: se qualcuno, volendo, un aiuto potrebbe darglielo, quel qualcuno risponde certamente al nome di Draghi.
Perché tra i “consigliori” di Meloni nessuno è altrettanto in grado di interloquire con i partner della Nato, con le cancellerie europee, con i burocrati di Bruxelles, con i mercati della finanza, con i salotti bancari, con tutti quelli che generalmente vengono denominati “poteri forti”, capaci di sovvertire la volontà popolare. Rispetto a tutti questi ambienti, Draghi sarebbe uno straordinario ambasciatore, quel grande “influencer” di cui la leader di destra ha bisogno per non fare la fine del gatto sull’autostrada. Non a caso, forse, l’avrebbe voluto eleggere al Quirinale.
delegazione di fratelli d italia dopo le consultazioni con draghi 2
Ecco dunque la prima scelta strategica che attenderà Giorgia Meloni dal 26 settembre in avanti, da cui molte altre discendono a cascata: decidere cosa fare di Draghi. Dove collocarlo nei suoi piani e in quelli per l’Italia. In che modo tirarlo dalla sua parte a costo di accantonare Tremonti o, in alternativa, farne il bersaglio di una guerra totale contro l’establishment. Antagonista o alleato. Mina vagante o risorsa preziosa. Qualunque sarà la risposta, una cosa è certa: Meloni non potrà ignorarlo.