vittorio feltri
1 - UN BABY RAPINATORE PUÒ MORIRE COME UN ADULTO
Vittorio Feltri per “Libero quotidiano”
Giovanissimo rapinatore napoletano, Ugo Russo, 15 anni, ucciso a pistolettate da un carabiniere di 23 anni. Una storia incredibile avvenuta nel capoluogo campano, resa ancora più assurda dall' epilogo al pronto soccorso, dove il ragazzino era stato portato dopo la sparatoria che lo aveva colpito: i familiari e i parenti della vittima hanno devastato per rabbia il reparto ospedaliero, chiedendo giustizia.
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Quale giustizia? Saperlo. I fatti sono ingarbugliati. Tentiamo di fare chiarezza. Il militare dell' Arma fuori servizio è fermo in auto con la fidanzata nella zona di Santa Lucia. Si avvicina Russo con la rivoltella spianata (che poi si rivelerà un giocattolo) e intima all' uomo al volante di consegnargli il Rolex che stringe al polso. Il rapinato avverte il malavitoso: occhio che sono un carabiniere. Il giovinetto se ne infischia e insiste nella sua intimidazione, finché il servitore dello Stato, minacciato, estrae la propria arma e fa fuoco tre volte. Russo, raggiunto dai proiettili alla testa, stramazza e viene trasportato nella struttura sanitaria. Niente da fare: muore.
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A questo punto scoppia un casino infernale. I congiunti del morto, convinti sia stato commesso un sopruso, distruggono tutto ciò che possono. Una protesta violentissima. Data l' età del loro caro, sono persuasi che questi dovesse essere risparmiato dal tutore dell' ordine, il quale forse prima di premere il grilletto sarebbe stato obbligato a consultare i documenti di colui che gli voleva sottrarre l' orologio. Non hanno tenuto conto che se uno punta a rapinarti, non ti importa la sua data di nascita e reagisci con i mezzi di cui disponi.
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In altre parole, un bandito, per quanto adolescente, dovrebbe sapere che aggredire un cittadino comporta il rischio di subirne una reazione le cui conseguenze se sono tragiche, pace amen. Non possiamo rimproverare il militare dell' Arma perché non si è fatto sopraffare dal ragazzo. Chi viene aggredito ha il diritto di difendersi come può.
Le proteste dei genitori del giovanotto sono comprensibili sul piano umano, non su quello della logica. I nostri figli che prendono una brutta piega continuiamo ad amarli, ma non è lecito giustificarli se commettono un delitto grave quale una rapina e ci rimettono la vita. Chi diventa criminale sappia che tra gli incerti del mestiere c' è una pallottola in testa.
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2 - COSÌ RIVENDICANO LA GIUSTIZIA FAI DA TE
Francesco La Licata per “la Stampa”
Chi ha avuto l' onere di dover raccontare le contraddizioni e le ferite del nostro Sud, martoriato da lacrime e sangue e da una violenza spesso divenuta incontenibile e indecifrabile, più volte si è trovato a dover riferire della rabbia irrazionale che esplode davanti al corpo massacrato di uomini, donne e bambini vittime di una violenza generata da altra violenza.
VITTORIO FELTRI CON LA MAGLIETTA IN DIFESA DI MASSIMO BOSSETTI
Scorrendo le notizie provenienti dal quartiere Santa Lucia, a Napoli, abbiamo avuto la sensazione di rivedere un film già visto più volte: un ragazzo, poco più di un bambino, che arriva in ospedale ferito da due colpi di pistola e non ce la fa. Muore prima che i medici possano fare qualcosa per salvarlo. Contemporaneamente la sala del pronto soccorso si riempie di familiari, amici e vicini di casa: donne urlanti e disperate, uomini pieni di rabbia e risentimento. Tanto risentimento rivolto verso chiunque, in quel momento, viene visto come una «controparte»: i medici perché non hanno saputo salvare il ragazzo, gli infermieri e le «divise» perché considerati un impedimento fisico all' ultimo abbraccio col proprio caro.
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E' una scena che abbiamo vissuto tante volte durante il peregrinare tra le disgrazie: a Napoli come in Calabria o in Puglia, a Palermo e nella Sicilia dei mille delitti. La rabbia prevaleva sempre o per scaricare la frustrazione per il «danno» subìto o addirittura per strappare ciò che veniva considerato un diritto negato da una burocrazia in quel momento incomprensibile: non poter portare subito a casa il corpo su cui piangere. Quante sale mediche abbiamo visto devastare nel tentativo di evitare la permanenza in camera mortuaria di un parente morto. Si arrivava a dover fare intervenire in massa polizia e carabinieri.
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Eppure lì prevaleva la pietà. Qualcosa di diverso sembra essere accaduto, invece, ieri a Napoli. La devastazione del pronto soccorso dov' è morto Ugo Russo si allontana dalla collera dolorosa per imboccare la pericolosa china della quasi «rivendicazione» di un diritto alla ricerca di una giustizia fai da te. Come valutare, altrimenti, la «stesa» immediatamente messa in atto dalla malavita a Santa Lucia? I motorini che si impennano e i giovani guappi che sparano in aria passando davanti alla caserma dei carabinieri «Pastrengo» non hanno nulla a che vedere col dolore dei familiari di Ugo. Tant' è che lo stesso padre della vittima, Vincenzo, ha dovuto «chiedere scusa» per quello che è avvenuto in ospedale.
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Ma è proprio la reazione di Vincenzo Russo che presta il fianco ad una riflessione amara che deve andare oltre il dolore per la morte di un ragazzino. Mentre, infatti, la zia difende il nipote arrivando a sostenere - contro l' evidenza - che Ugo «aveva paura delle armi» e «non rubava», il padre fa un ragionamento più sottile che tende a «legittimare» l' errore del figlio come una cosa da uomini: «Io non lo so perché non ero con mio figlio, ma, ammettendo che stesse facendo una rapina, è giusto che tu, carabiniere, lo uccidi?» E, secondo il suo concetto di legalità, aggiunge: «Sparagli a una gamba o fallo scappare».
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Come se il rapinatore e il carabiniere (tra l' altro un ragazzo di 23 anni) fossero attori di una «normale lite». E, alla fine, Vincenzo Russo chiude con la consueta richiesta di giustizia, sorvolando sul fatto che la società civile ha già messo in moto l' unico sistema per cercarla, quella giustizia. Il carabiniere è stato indagato per eccesso colposo di legittima difesa e le indagini diranno se basta.
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