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    BARRA DRITTA! NEI RUOLI CHE INTERPRETO CI SONO ANCHE PERSONAGGI FEMMINILI CON TRATTI VIRILI, TRAVESTITI SFRONDATI DALLA CARICATURA. HO ISPIRATO UGO TOGNAZZI E EDUARDO DE FILIPPO MI DISSE CHE GLI SAREBBE PIACIUTO RECITARE IL MIO RUOLO DI MATRIGNA, NELLA "GATTA CENERENTOLA" - E POI PINO DANIELE, NAPOLI E IL SEGRETO PER STARE BENE CON SE STESSI: "ALLA FINE LA VITA È N' AFFACCIATA 'E FENESTA…" - VIDEO


     
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    Antonio Gnoli per Robinson – la Repubblica

    PEPPE BARRA PEPPE BARRA

     

     

    Nella vecchia Napoli, sollevata dal peso di doversi dimostrare diversa da com' è, cioè indolente, pittoresca, stralunata, vive Peppe Barra. Incontro un uomo estroverso e malinconico. Somiglia, per certi versi a quei presepi che per farti felice ti devono intristire. Indossa un' ampia mantella. È un poncho argentino, mi dice. Me lo regalarono dopo una tournée a Buenos Aires, aggiunge. Fa ancora tournée?

     

    Chiedo. «Viaggio sempre meno. Dovrei andare ad Ankara, ma non ne ho nessuna voglia. L' ultima volta fu a Macao. Una settimana delirante. No, non ho più desiderio di viaggiare. Questa casa che vede è il mio rifugio». Vedo quadri di scuola napoletana, chincaglierie e oggetti di pregio, un pianoforte sovraccarico di fotografie. Mi avvicino: c' è Barra con la Loren, con Eduardo, con la mamma, Concetta, cantante di talento.

     

    Come è stato il rapporto con sua madre?

    «Un legame indissolubile, finché è stata in vita. Ma è come se la sua presenza continuasse a mandarmi dei segnali. Il mio mestiere di attore e cantante è stato anzitutto il suo».

    PEPPE BARRA PEPPE BARRA

    Un mestiere che si è svolto nell' orizzonte napoletano.

    «In un certo senso Napoli è stata la stella polare».

     

    Dove è nato esattamente?

    «Per caso sono nato a Roma. Mia madre era in tournée, quando ebbe le doglie al Teatro Valle. Restammo per circa un anno a Roma e poi tornammo a Napoli nel 1945 dove sono sempre vissuto. Ho amato intensamente questa città e ora che ho l' impressione di averla perduta la vivo con sospetto, o meglio con dolore».

     

    Che cosa ha perso esattamente?

    «Il senso dell' onore e del rispetto. Può sembrare assurdo applicare questi sentimenti umani a un luogo. Ma è così che la vivo».

     

    Non crede di drammatizzare un po' troppo?

    « Un attore è forse per vocazione spinto ad alzare i toni, a estremizzare. Non credo però di sbagliare se penso alla Napoli del dopoguerra che fu per me la vita e la sorte, giocate in questi vicoli popolari. C' era armonia nel popolo».

     

    Miseria e nobiltà.

    «Tutto si teneva, come nella commedia di Scarpetta. Gli arricchiti giunsero dopo».

     

    Non si fa troppo mitologia del vicolo?

    « Può darsi, ma lì trascorsi la mia infanzia. Mi sentivo libero in mezzo a quelle voci, a quell' entusiasmo e percepivo l' istinto di sopravvivenza e di riscatto. C' era la dignità che oggi è sparita».

     

    Era solo un bambino, sentiva già tutto questo?

    PEPPE BARRA NELLA CANTATA DEI PASTORI PEPPE BARRA NELLA CANTATA DEI PASTORI

    « Non credo che l' oggi ingigantisca il mio ieri. Era quel faticoso uscire dalla guerra a lasciare sulla pelle la sensazione di una speranza. Non la capivo perché avevo solo un anno, ma dopo cominciai a rendermene conto. C' era stata la fame e l' angoscia, per noi come per tutti gli altri. Ne stavamo uscendo. Non era speranza? Ricordo che ci trasferimmo a Procida, l' isola non era stata toccata dai bombardamenti e lì era nata la mamma. Per la prima volta mi sentii profondamente felice in mezzo a quel vento e a quegli odori».

     

    Lo dice con una eco di rimpianto.

    «Quell' isola è un ricordo emozionale vissuto sempre con la malinconia e il desiderio di tornarvi. Così diversa da Napoli che pure ho amato. Come vede ho una visione teatrale della vita».

     

    Anche suo padre recitava?

    «Anche lui attore, ma tutti in famiglia lo erano. Le zie erano attrici e cantanti, la nonna Michela aveva una voce bellissima. Con mio padre non c' era dialogo, non riuscivo ad attrarre la sua attenzione.

    Anna Maria Ortese Anna Maria Ortese

    Sembrava così lontano dal mio mondo. Per questo, penso, che la mia infanzia e la mia adolescenza siano state segnate dai modelli femminili».

     

    Con quali effetti?

    «Una maggiore sensibilità, intuito, passione. Ma anche più esposto alla delusione. Sì, l' universo femminile mi ha come forgiato. Ricordo anche che dopo la guerra c' era penuria di classi scolastiche e alle elementari fui collocato in una classe femminile. Vi insegnava una maestra che scriveva racconti per bambini. E si occupava di teatro. Si chiamava Lea Maggiulli Bartorelli, in arte Zietta Liù. Fu una donna straordinaria».

     

    Immagino che a lei deve la sua professione.

    «La professione l' avevo nel sangue. E veniva tutta dalla mia famiglia, folle e creativa. Il teatro ce l' avevo in casa. Da bambino e di nascosto aprivo il grande baule dei costumi e li indossavo e sognavo di recitare impugnando come una spada un ventaglio sbrindellato.

    Peppe Barra Peppe Barra

    Zietta Liù ha dato una forma a questa energia. Fu lei a presentarmi Roberto De Simone, avevo diciotto anni».

     

    Che accadde?

    « Al momento niente. In quel periodo avevo cominciato a recitare al Teatro Esse, diretto da Gennaro Vitiello. Facevo testi impegnati e perfino sperimentali. Recitavamo Genet e Artaud. E con De Simone ci incrociammo nuovamente. Lui doveva curare le musiche di una Medea. Mi chiese se sapevo cantare. Risposi che molto tempo prima Zietta aveva decretato che fossi stonato. Se lei ha detto che sei stonato, allora vuol dire che canti benissimo, replicò. Feci un provino e Roberto restò meravigliato dalla potenza e versatilità della mia voce».

     

     

    In cosa pensava di usarla?

    «De Simone nel 1966 aveva creato la Nuova Compagnia di Canto Popolare. Credo fosse quello l' approdo più naturale per una figura come la mia».

     

    Come è stato il rapporto con lui?

    Peppe Barra Peppe Barra

    «Contribuì in maniera determinante alla mia evoluzione artistica. L' ho amato con tutto me stesso. La sua propensione per il passato, per quello che ancora di autentico, poteva nascondere, culminò in una giornata che definirei indimenticabile».

     

    Come la ricorda?

    « Erano i primi anni Settanta e con Roberto eravamo andati a Somma Vesuviana, pensando di fare ricerche etno- musicali. C' era anche Diego Carpitella, un personaggio straordinario in grado di passare con la stessa autorevolezza da uno studio su Bartók a una musica calabrese del Trecento. Insomma, ci avviammo per una stradina di campagna e all' improvviso sentimmo un suono, dolce e struggente. Roberto mi disse chiudi gli occhi, fermati e sentirai che siamo tornati indietro di duemila anni. A un tratto, davanti a noi scendeva un vecchio con l' asino e un bambino lo precedeva suonando il flauto».

     

    Cosa ha provato?

    «In quel momento compresi la grandezza e la forza della tradizione popolare. Qualcosa che sta scomparendo».

     

    Che cosa le provoca?

    «Una malinconia struggente, che forse non dovrei avere, ma che ho. Questo ancorarmi al passato non va letto però come rifiuto del presente. Vivo in un mondo mio».

     

    Cosa intende?

    Peppe Barra Peppe Barra

    «Un mondo che mi permette di sopravvivere in questa città, dove tutto è offeso e deturpato. È difficile per una persona come me capire cosa è accaduto davvero, cos' è questa mutazione. Vedo solo la superficie delle cose che accadono e mi fa star male».

     

    Come si riflette questo stato d' animo sul suo mestiere?

    « Non si riflette, o meglio faccio di tutto perché non mi condizioni. Ecco, so di poter vivere con la mia esperienza e memoria di settantenne ».

     

    Non ama Napoli?

    «Come si fa ad amare una città che non riconosci più? L' ho amata, come una donna votata al suicidio, all' autodistruzione.

     

    Non se ne resta travolti anche individualmente?

    « Forse è per questo che esco sempre meno e mi sono rifugiato nelle favole. Sto rileggendo quelle di Capuana, il geniale scrittore catanese».

     

    Perché le favole?

    TOGNAZZI NEI PANNI DI RAFFAELLO MASCETTI - SUPERCAZZOLA TOGNAZZI NEI PANNI DI RAFFAELLO MASCETTI - SUPERCAZZOLA

    «Perché sono il lascito della mia infanzia. Perché ancora una volta vedo mia nonna e mia madre, grandi affabulatrici, raccontarmele. Mai come in questo momento avverto il bisogno di ricorrere alla fantasia. Prima le accennavo al mio rapporto con Procida. Ebbene, ho amato intensamente L' isola di Arturo di Elsa Morante, perché forte era l' identificazione con Arturo ai cui occhi tutto assumeva la forma di favola e leggenda».

     

    Ha conosciuto Elsa Morante?

    «No, mi sarebbe piaciuto incontrarla. Ho conosciuto però Anna Maria Ortese. Ci incontrammo a una cena segnata da una certa ufficialità. Sbuffava, smaniava, con ogni evidenza si annoiava profondamente. Scoprii la donna straordinaria dal modo in cui mi parlò.

     

    Mi piacerebbe sentirla cantare. C' è sempre da imparare da una bella voce, mi disse. Le chiesi a quale voce si riferisse. A tutte le voci, anche alla mia. Che è così guidata dalla scrittura. E poi aggiunse che la sua scrittura era come un mare calmo dopo una tempesta. Scrivere, era per lei, cercare la quiete».

    elsa morante in abito di gala elsa morante in abito di gala

     

    Anche per lei la calma è la virtù della recitazione?

    «Al contrario, mi lascio frastornare dalla recitazione. Che è smarrirsi e ritrovarsi. L' importante è non scadere nel burlesco».

     

    Nei ruoli che interpreta ci sono anche personaggi femminili, diciamo dei travestitismi. Con che spirito li affronta?

    « Non c' è identificazione, che sarebbe ridicola. Per esempio nel ruolo di Matrigna, nella Gatta Cenerentola, non mi truccavo il viso e mettevo solo una parrucca e il costume. L' idea era quella di restituire un' immagine di donna forte, patriarcale, in qualche modo con dei tratti virili».

     

    Un travestito?

    « Sfrondato dalla caricatura. Ugo Tognazzi mi disse, una volta che ero andato a vedere un suo Tartufo, che il mio ruolo lo aveva ispirato proprio nel travestitismo. Tra l' altro ci tornò sopra con il film Splendori e miserie di Madame Royale ».

     

    Come guarda alla sua vita artistica?

    «Potrei dire di avere iniziato con l' ultimo Viviani per approdare a Roberto De Simone. Ma non tralascerei la grande lezione di Eduardo ».

     

    Ha conosciuto i fratelli De Filippo?

    «Peppino lo conobbi quando era già molto vecchio e malato. Lo incontrai sul set di Giallo napoletano, il film di Sergio Corbucci. Mi sembrò stanco, ma anche capace di una intimità sorprendente.

    PEPPE BARRA PEPPE BARRA

    Quanto a Eduardo venne a una rappresentazione della Gatta Cenerentola. Con mia grande sorpresa si presentò in camerino e mi disse che gli sarebbe piaciuto recitare proprio il ruolo di Matrigna».

     

    Ha mai lavorato con lui?

    « No. Mia madre ha collaborato un periodo con Eduardo. Ma in veste di amico andavo a trovarlo nella sua bella casa di Posillipo.

    Con me c' erano mia madre Concetta, De Simone e la Compagnia di Canto Popolare. Erano incontri piacevolissimi. Smentivano la fama che fosse un uomo intrattabile».

     

    Perché è finita la sua avventura con la Compagnia di Canto Popolare?

    peppe barra peppe barra

    «Perché vengono meno le energie e la spinta a fare meglio. E poi ognuno finisce col prendere la propria strada. La " Compagnia" stava andando in una direzione che non piaceva a De Simone. Ci furono dissidi e alla fine Roberto lasciò. Lo seguii, come si segue un maestro ».

     

    Però anche i vostri rapporti si sono in seguito deteriorati.

    «E questo mi provoca ancora oggi un dolore profondo. Io non riesco a cancellare tutto quello che di straordinario ho realizzato con e grazie a lui. Non mi capacito di ciò che è accaduto. Eppure, in un certo senso, siamo entrambi dei sopravvissuti. Roberto ha perso l' ironia, la leggerezza. Ma non riesco a non amarlo. Mi fa dispiacere questo distacco, questo silenzio tra noi».

     

    Pensa che nel profondo lui la ami ancora?

    « Non lo so, ma non credo. Roberto non ama l' amore. È refrattario al sentimento. Forse deve aver amato così dolorosamente da diventarne allergico».

     

    Com' è la sua vita sentimentale?

    « Non ho più una vita sentimentale. Mi ha fatto troppo soffrire. Come vede vivo solo, con la mia cagnetta Carlotta e la governante».

     

    Perché nonostante il disagio, le incomprensioni, il malumore, è restato a Napoli?

    EDUARDO E PEPPINO DE FILIPPO EDUARDO E PEPPINO DE FILIPPO

    «Si resta lì dove non si è mai partiti veramente. La chiami condanna o, anche, necessità. Una volta Pino Daniele, disgustato da questa città cui aveva dato tantissimo, mi disse ma perché non te ne vai da Napoli? Risposi che ero troppo vecchio e che non si abbandona la nave che affonda».

     

    Come giudica Pino Daniele artista?

    «Quando lo conobbi, durante il periodo della "Compagnia", non sopportavo la sua trasgressione alla napoletanità. Poi ho cominciato ad amarlo e a capire l' importanza della sua voce e della sua musica. La vita è fatta anche della possibilità di ricredersi».

     

    La sua, intendo di vita, come è stata?

    «Ho imparato che il segreto per stare bene almeno con se stessi è sapere che "'A vita è n' affacciata 'e fenesta". La devi aprire e poi la devi chiudere. Un po' come si fa a teatro. Quando capisci questo cadono tutte le ubbie».

     

    È bella questa immagine della finestra che si apre e si chiude.

    pino daniele 9 pino daniele 9

    « È un vecchio proverbio napoletano. Molti pensano che la finestra non si chiuderà mai. Si illudono. La mia si sta per chiudere. Ma non parlerei di fine, semmai di rinascita. Termina un viaggio e ne comincia un altro. So che la finestra si riaprirà. Ma non so dove».

     

    peppe barra nella vedova allegra del san carlo a napoli peppe barra nella vedova allegra del san carlo a napoli

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