1 - COME SALVARE IL CINEMA ITALIANO?
Marco Giusti per Dagospia
marco giusti
Come salvare il cinema italiano? Ci risiamo. E’ da quando è nato il cinema che il cinema italiano sta in crisi. Lo sapevano bene i vecchi produttori, che risposero alle varie crisi inventandosi, con Ennio De Concini, “Le fatiche di Ercole” di Pietro Francisci e Mario Bava, un film che andò in tutto il mondo, o “Poveri ma belli” di Dino Risi, commedia prototipo a low budget che fu un successo insperato, o “Per un pugno di dollari” di Sergio Leone. Per non parlare del “Decameron” di Pier Paolo Pasolini.
paolo del brocco foto di bacco (2)
Non film singoli e celibi, esattamente il contrario, visto i generi che si trascinarono dietro con i quali il cinema italiano e i nostri produttori si arricchirono. E parecchio. Certo, non c’era la pandemia, non c’era la guerra, non c’erano le mascherine. Tutto vero. Ma questa crisi, lo sappiamo bene, nasce prima di pandemia e di guerra, che hanno soltanto accelerato i tempi di crisi e che solo i film di Checco Zalone, prodotti da Medusa, una volta ogni due anni, con incassi da 50-60 milioni, in qualche modo mitigavano.
GIAMPAOLO LETTA
Film però, che non facevano affatto “genere”, ma erano solo eventi singoli, quando il cinema ha bisogno soprattutto di serialità. Ora, Paolo Del Brocco e Giampaolo Letta, amministratori Delegati di Rai Cinema e Medusa Film, scrivono un appello a quattro mani sul “Corriere della Sera” con quattro proposte, leggo, strutturali per salvare quello che si può salvare.
E’ curioso che siano proprio la Rai e Mediaset, cioè la televisione tanto odiata dal cinema il secolo scorso, a proporre i rimedi per salvare il cinema in sala. Ma ora Rai e Mediaset, di fatto, hanno in mano da anni il 70-80% di ciò che si produce di cinema nel paese, hanno un controllo forte delle sale e dei lanci televisivi, sulle loro reti, dei film. Al punto che non esistono più, o quasi, i produttori indipendenti.
marco giusti
Anche se, con il diffondersi massiccio della visione sulle piattaforme, esplose con la pandemia, Rai e Medusa non hanno magari più il potere che avevano fino a qualche tempo fa sul prodotto e il controllo del pubblico, che ha una scelta davvero enorme a casa sul divano tra film e serie.
Ora. E’ giusto, da parte di Rai e Medusa, preoccuparsi e fare appelli di fronte a una perdita così alta di denaro, una perdita di fatturato complessivo (boxoffice+concessions), cito dalla lettera al Corriere, di 700 milioni di euro del 2021 rispetto al 2019 e un ulteriore calo del 60% di quest’anno rispetto al periodo precedente, per non parlare della perdita del 7% degli incassi, quando in Francia, Spagna, Gran Bretagna e Germania, questa stagione stia risultando per tutti largamente in positivo.
nanni moretti tre piani
Per farci capire, in Francia nel 2021 si sono venduti 96 milioni di biglietti e da noi solo 25 milioni. Ahi! Anche se non leggo nessun tipo di autocritica rispetto a qualche possibile responsabilità sulla crisi in termini di qualità di film e progetti. Cosa sarebbe capitato a un qualsiasi amministratore delegato della Disney con un disastro del genere…
Magari è colpa di pandemia e guerra, ma l’elenco dei film che non sono andati come dovevano andare è parecchio lunga, a cominciare da “Tre piani” di Moretti (2 milioni di incasso, ma quanto costa?), “Freaks Out” di Mainetti (2,6 milioni…), per non parlare di “Chi ha incastrato Babbo Natale?”, “Io sono Babbo Natale”, “Altrimenti ci arrabbiamo”, “Gli idoli delle donne”, dello stesso ultimo film di Pieraccioni, che arriverà al massimo a 2 milioni.
FREAKS OUT.
Senza contare che un successo della stagione, che per policy di Netflix non possiamo accertare, ma tutti ricordiamo le sale piene, è “E’ stata la mano di Dio” di Sorrentino, uscito in sala 15 giorni per poi passare subito sulla piattaforma, con tanto di nomination all’Oscar. E non è né un film Rai né un film Medusa. Lo sappiamo bene. E propone un diverso modo di lanciare e vedere un film. Sarà così sbagliato?
FILIPPO SCOTTI CIRO CAPANO - E' STATA LA MANO DI DIO
Tra le proposte di Del Brocco e Letta leggo che si potrebbe aprire per tutti i film prodotto per il cinema la finestra, cioè il periodo che intercorre tra l’uscita in sala e l’uscita in streaming. L’opposto esatto dell’operazione “E’ stata la mano di Dio”, insomma. Non gli interminabili 15 mesi di attesa come fanno i francesi, forse troppo protezionisti, non i 90 giorni che vuole Franceschini, che francamente mi sembrano accettabili, ma almeno 180 giorni, cioè sei mesi.
marco giusti
Oggi, se aprite Netflix, Sky, Amazon, mi sembra che ognuno fa un po’ quel che gli pare. E i film arrivano in tempi molto brevi in streaming. Un film come “Diabolik”, prodotto da Rai Cinema, esce proprio oggi su Sky dopo l’uscita natalizia, ma “The Batman”, in sala dal 3 marzo a Pasqua era già in streaming su Prime. Ma, vi domando, a che servono tutte queste restrizioni di finestra se poi il film che deve attendere la finestra di sei mesi è “Altrimenti ci arrabbiamo”, disastro in sala, e per nulla atteso in streaming, coprodotto da Lucky Red, Netflix e RTI, cioè un film già ibrido in fase produttiva?
paolo sorrentino alla notte degli oscar
Sappiamo bene che è un film che finirà molto presto nel calderone delle piattaforme, è forse l’unica chance che ha per risorgere (vabbé…). Tra le altre proposte leggo quella di aggiungere un tax credit sul lancio dei film. Lancio che, in gran parte, oggi viene fatto sui canali Rai e Mediaset sui film prodotti appunto da Rai e Mediaset. E che servono, spesso, molto poco per il successo di un film.
paolo del brocco foto di bacco
Uno. Perché non esistono più programmi sul cinema che avrebbero fatto un po’ di tendenza (sì, penso a Stracult) né programmi dove si possa parlare sul serio di cinema (Fazio è poco più dell’anticamera di Marzullo).
Due. Perché il pubblico del cinema non è più quello che vede Domenica In e va al cinema di sabato e di domenica. Il nuovo pubblico è quello più giovane che si costruisce sui social, che sa esattamente quando andare a vedere “Doctor Strange nel multiverso della follia”, diciamo, o “The Northman” o il pur angosciante “Vortex” di Gaspar Noé con Dario Argento al cinema Troisi.
BENEDICT CUMBERBATCH - doctor strange nel multiverso della follia
Un pubblico che è decisamente più informato sul cinema di tanti produttori, registi e sceneggiatori italiani. E sa, da subito, il polso di un film. Cosa vedere e cosa evitare. “Belli ciao” di Gennaro Nunziante con Pio e Amedeo è andato meglio di tante commedie analoghe che non funzionavano (perché?).
dario argento francoise lebrun vortex
Insomma. Non ci sono più soldi da buttare. Meglio una buona serie su Netflix, Prime o Sky, che ti farà passare cinque-sei serate in tranquillità, di un brutto film italiano in sala con pizza a 20-25 euro. Se non si intercetta, non si capisce quel che pensa questo pubblico e non si costruisce nulla che possa interessare a quel tipo di spettatore, ma si continua all’infinito a puntare su sequel di sequel, penso al terribile ahimé “C’era una volta il crimine”, che ha distrutto il buon ricordo del primo film della serie, a remake italiani di commedie straniere, a film costruiti su un concetto di stardom non sempre reali, penso a “Supereroi”, altro disastro al botteghino, è inutile spendere soldi sul marketing di un film che è già morto sul cartellone.
c era una volta il crimine
Ovvio che vadano prodotti dalla tv di stato film come “Leonora addio” o “Esterno notte”, anche se già sappiamo a quanto pubblico potranno interessare. Per non pensare a quanti, vedendo manifesti anche belli, ma così tragici, non se ne sentiranno attratti. Eppure, e qui andrebbe fatto un ragionamento più complesso, l’immagine del nostro cinema all’estero, grazie ai Festival, da Cannes a Venezia a Berlino, è quella dei manifesti dei film di Bellocchio, di Moretti, dello stesso, almeno più allegro, Sorrentino. O del nuovo Martone con la nostalgia di Napoli.
marco giusti foto di bacco
Film rispettabilissimi, per carità. Ma sono l’immagine di qualcosa che è ancora pesantemente ancorato al neorealismo e al melodramma senza andare fino a Nino Martoglio, Sperduti nel buio, appunto... E’ come se la modernità non ci avesse toccati. E i pochi tentativi di rinnovamento, penso ai D’Innocenzo, a Pietro Marcello, a Jonas Carpignano, vengono subito riassorbiti in quella direzione di classicità poco luminosa.
LEONORA, ADDIO
Per non parlare di tante piccole opere prime, “Piccolo corpo”, “Una femmina”, che avrebbero potuto essere lanciate in maniera più incisiva e non abbandonate a loro stesse. O del non spingere a Venezia un film come “Diabolik” dei Manetti, che avrebbe avuto bisogno di un lancio più da cinema d’essai che non da cinema popolare, che non è.
Ci sarebbe qualcosa da dire anche sul fatto che non si metta mai in discussione la produzione di Rai Cinema e Medusa, ma che venga vista con l’idea di ecco, questo è il cinema che si fa in Italia, cerchiamo di capire non come farlo meglio, ma come venderlo meglio agli spettatori e combattere l’ingerenza delle piattaforme.
fabrizio gifuni esterno notte
Ma gli spettatori sanno benissimo quel che state producendo. Magari parliamo di qualità e non quantità, come dice spesso anche Verdone. E quanto alle piattaforme sappiamo tutti che il discorso da affrontare deve partire non dalla divisione tra cinema in sala e cinema o serie sulle piattaforme, ma da qualcosa che unisca cinema, tv e piattaforme. Cosa che non si dice, ma che si pratica.
lo spietato
Ricordo che quando uscì tre giorni in sala e poi subito su Netflix un film di Renato De Maria con Riccardo Scamarcio, “Lo spietato”, lo vedemmo come un film perduto. Ma “E’ stato la mano di Dio” di Sorrentino, che ha fatto più o meno la stessa cosa qualche anno dopo, che è finito agli Oscar e che verrà sicuramente premiato domani sera ai David, non è certo un film perduto. Anzi.
dario argento gaspar noe vortex al cinema troisi
E magari mostra la strada, temo unica o quasi, che tra poco ci troveremo davanti. Perché o si costruisce davvero un grande cinema popolare, come si faceva un tempo, o ci si accontenta di muoverci tra sala e piattaforme cercando di prendere quel che offrono di buono. Cosa che, in barba a quel che si legge sulle finestre, già si fa. E che porterà, inevitabilmente, alla fine del cinema in sala.
2 - L'APPELLO DI DEL BROCCO E LETTA
Paolo Del Brocco* e Giampaolo Letta** per il “Corriere della Sera”
(*) Amministratore Delegato Rai Cinema
(**) Amministratore Delegato Medusa Film.
Dopo due anni dalla comparsa del Covid-19, risalta in modo evidente la crisi delle sale cinematografiche. I numeri sono impietosi: l'Italia è l'unico fra i grandi Paesi europei ad evidenziare un segno negativo (-7%) degli incassi 2021 rispetto al 2020 (Francia +47,5%, Gran Bretagna +75%, Germania +20%, Spagna +45%) ed il confronto del periodo di «piena apertura» (da aprile 2021) con l'analogo periodo del triennio 2017-2019 segna un calo tra il 50 e il 60%.
paolo del brocco foto di bacco
In termini assoluti, la perdita di fatturato complessivo (box office + concessions) del 2021 rispetto al 2019 è stata di circa 700 milioni di euro e per il 2022 si stima un calo vicino al 60%, corrispondente a 600 milioni di euro. In questo contesto, il cinema italiano è quello più colpito ed è fonte quindi di maggiori preoccupazioni. Sono valori che mettono in discussione la sopravvivenza dell'intero sistema. È quindi arrivato il momento di interrogarsi sui possibili scenari futuri e provare a formulare proposte indispensabili ed urgenti per l'industria cinematografica italiana.
Il governo e il ministero della Cultura sono sempre stati vicini al settore assicurando in questi due anni gli strumenti e le risorse per affrontare dapprima l'emergenza ed in seguito per supportare la ripresa. Oggi è necessario uno sforzo ulteriore. Sottolineare la «centralità della sala» non è uno slogan. Può apparire singolare che due grandi gruppi televisivi come Rai e Mediaset, cui fanno capo Rai Cinema e Medusa, si concentrino sulla crisi del mercato theatrical. Siamo convinti assertori della centralità delle sale non per una ragione «romantica» ma per solide motivazioni industriali e di sistema.
CINEMA VUOTI
In primo luogo, i ricavi generati dalla distribuzione dei film nelle sale hanno sempre fornito un importante flusso di risorse necessarie al recupero degli investimenti che, è utile ricordare, comprendono la produzione e la promozione. Il successo o meno di un film in sala, poi, ha tradizionalmente rappresentato un parametro indispensabile per la valutazione (anche economica) dell'opera e un fondamentale strumento di lavoro per gli operatori del settore (broadcasters inclusi).
È inoltre innegabile l'importanza che riveste l'uscita al cinema per la «visibilità», anche internazionale, del film e dei suoi talent (registi, interpreti, figure tecniche) ed il «posizionamento strategico» nel panorama dei prodotti audiovisivi. Non è un caso che i film siano il contenuto più fruito in assoluto e quello con il più elevato valore nel tempo. Infine, occorre ricordare che il settore offre lavoro a decine di migliaia di persone tra occupati diretti e indotto.
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Se tutti i soggetti coinvolti (produttori, distributori, esercenti ed il governo) ritengono che la «centralità della sala» sia un «valore aggiunto» per la catena del valore del prodotto audiovisivo, è necessario che i prossimi interventi siano mirati verso una salvaguardia dell'esclusività della visione al cinema e verso una premialità riservata ai prodotti pensati, realizzati e distribuiti per la sala cinematografica.
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Le nostre proposte per scongiurare una pericolosa deriva del sistema cinematografico italiano sono quattro. Si tratta di interventi strutturali per il comparto che tuttavia non richiedono tempi e risorse particolari per essere implementati:
1. Cronologia. Quanto annunciato recentemente dal ministro Franceschini, relativamente ad una finestra di 90 giorni per tutti i film, è lodevole e risponde alla necessità di una regulation dopo un periodo poco chiaro per quanto riguarda la cronologia delle uscite dei film.
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Temiamo tuttavia che non sia sufficiente per riconsegnare alla sala la centralità che le spetta: comprendiamo che i 15 mesi adottati in Francia, seppure efficaci (sono 96 milioni i biglietti venduti nel 2021 Oltralpe a fronte dei 25 milioni in Italia), siano difficili da raggiungere ma riteniamo che 180 giorni di finestra a protezione dell'uscita in sala siano ragionevoli e necessari almeno per i prossimi tre anni. In particolare, rispetto alla cronologia gli interventi da noi proposti riguardano: finestre di sfruttamento uguali per tutti i film (italiani e stranieri); finestra di 180 giorni a protezione dell'uscita in sala rispetto agli altri sfruttamenti, almeno per i prossimi tre anni (per poi tornare eventualmente ai 105 giorni ante-pandemia).
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2.Tax Credit alla distribuzione . Il tax credit alla distribuzione è un intervento a beneficio del prodotto e non del distributore; non porta il pubblico nei cinema ma permette ai film di arrivare in sala forti di una buona campagna di comunicazione, presupposto essenziale per attirare gli spettatori, limitando in periodo di crisi eventuali perdite economiche. Questa misura permette di investire maggiormente sulla campagna pubblicitaria del film, assegnando maggiore visibilità al prodotto. Crediamo quindi sia opportuno prolungare per tre anni al 60% l'aliquota di questo strumento.
3.Tax credit alla produzione . Riteniamo opportuno che una distinzione vada fatta a priori tra i film per cui è prevista un'uscita cinematografica e i film rivolti ad altre modalità di fruizione. Un film per il cinema porta con sé un potenziale economico più elevato e riconducibile al lancio e alla conseguente filiera di sfruttamento più lunga e in cui ogni elemento, incluso lo star system, viene valorizzato. Per queste ragioni gli interventi da noi proposti attraverso una rimodulazione del tax credit sono i seguenti: Tax credit alla produzione di opere con prioritario sfruttamento cinematografico al 40%; Tax credit alla produzione di opere cinematografiche finalizzate ad altre modalità di fruizione rispetto alla sala, comprese quelle che utilizzano le uscite evento, al 30%.
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4. Regolamentazione dell'utilizzo dell'uscita evento di 3 giorni e delle cosiddette «uscite tecniche». Occorre intervenire con una regolamentazione chiara nei confronti dell'utilizzo dell'evento che, pensato per ottimizzare l'uscita di prodotti audiovisivi speciali (concerti, eventi storici, culturali e artistici), è stato purtroppo usato in questi mesi come un vero e proprio escamotage per aggirare le finestre e arrivare più velocemente agli altri sfruttamenti. Non preoccuparsi delle performance di un film in sala significa sancire una disconnessione tra la produzione e il pubblico che dovrebbe fruire dei film. La filiera verrebbe danneggiata irreversibilmente e nel lungo periodo anche la produzione ne risentirebbe.
Anche per questi motivi sarebbe auspicabile nel medio periodo un'ulteriore responsabilizzazione da parte delle piattaforme, il cui ruolo è oramai indispensabile per il comparto italiano, prevedendo un maggior impegno verso l'acquisto dei film che hanno avuto un'effettiva uscita in sala, supportando così ulteriormente la produzione e valorizzando allo stesso tempo la finestra cinematografica.
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La volontà di intervenire sul tema, espressa dal ministro Franceschini, e la convergenza tra i diversi partiti politici, sia di maggioranza che di opposizione, più volte manifestata, fanno sperare che si possa arrivare in tempi brevi alla definizione di nuove misure che consentano alle imprese di pianificare le attività e gli investimenti dei prossimi mesi. Senza «punti fermi», si corre il serio rischio di non essere nelle condizioni di programmare le uscite cinematografiche delle prossime settimane e che la crisi dell'esercizio cinematografico diventi irreversibile. Speriamo di essere ancora in tempo per poter intervenire e consentire davvero alla sala di svolgere quel ruolo centrale che le spetta all'interno del comparto