Andrea Pistore per www.corriere.it
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Dal Donbass arriva notizia della morte di Edy Ongaro, 46enne di Portogruaro, che dal 2015 combatteva nella regione dell’Ucraina insieme ai separatisti filorussi: la notizia della sua morte a causa di una bomba è iniziata a circolare nella tarda serata di giovedì 31 marzo ed è stata confermata anche da amici stretti del foreign fighter. Attivisti antifascisti che lo conoscevano hanno raccontato di aver avvisato la famiglia.
Chi era Edy Ongaro
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«Verrà un tempo nel quale sapremo ascoltarci mutualmente; edificheremo una società equa e senza distinzioni; dove tutto è di tutti; basata sul lavoro e sorretta dalle mani callose dei proletari; che comparte e programma; che non lascerà nessuno per strada; che non sfrutta le masse per il profitto di qualche inutile avido egoista», scriveva così su Facebook il veneto sotto le bombe nel Donbass.
Edy Ongaro, veneziano di Portogruaro, 46 anni, nome di battaglia «Bozambo», per la giustizia italiana era un latitante. Le forze dell’ordine lo cercavano dal 2015. Motivo? Dovevano ammanettarlo per aver aggredito una barista a cui aveva tirato un calcio all’addome perché si era rifiutata di versargli ancora da bere.
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Poi, in preda ai fumi dell’alcol, se l’era presa anche con i carabinieri, picchiando anche loro. Da quel giorno Ongaro era fuggito nell’Est Europa, arruolandosi nelle milizie comuniste filorusse che strizzano l’occhio a Putin, a combattere per l’indipendenza dall’Ucraina.
«Mi sento vicino ai poveri»
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Ongaro si trovava nel territorio diventato motivo di disputa tra Russia e Ucraina, dove il presidente russo ha ordinato l’ingresso delle truppe nelle regioni separatiste. Il «foreign fighter» nel 2015 aveva rilasciato un’intervista alla tv dei combattenti, poco dopo essere diventato parte integrante della brigata Prizrak: «Vengo da Giussago- rivendicava orgoglioso- un paesino tra Venezia e la Slovenia. Il mio nome di battaglia? Quello usato da un partigiano durante la seconda guerra mondiale, suona esotico e mi piace».
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Il combattente poi raccontava: «Ho scelto questa brigata per il carattere internazionalista. Se ricevo una ricompensa? Sì, una colazione, un pranzo e una cena oltre a un kalashnikov che si chiama Anita, come la moglie di Garibaldi. Mi sento vicino ai poveri, ovunque nel mondo c’è un popolo che viene calpestato.
Questa sana ribellione ci è stata insegnata dai nostri nonni contro il fascismo razzista. Finché ci sarà aria e sangue nel mio corpo credo che resterò qui in Ucraina». Su Youtube si trovano diversi servizi sul veneziano che raccontava anche la storia della sua famiglia e le vessazioni subite sotto il fascismo, da cui ha tratto ispirazione per emigrare nella zona diventata teatro di una delle più gravi crisi internazionali dell’età moderna.
L’ultimo post e la rivendicazione dell’occupazione russa
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Il «combattente straniero», che ha vissuto anche in Spagna per tre anni in cui ha «studiato» la guerra civile iberica, è sempre stato attivo sui social network (anche se per un periodo il suo profilo è rimasto chiuso) e il 20 febbraio ha ribadito la sua posizione «elogiando» l’invasione russa: «Quel giorno verrà, ma prima dobbiamo fare tutto ciò che è nelle nostre possibilità umane per rendere questo unico pianeta a disposizione un posto più vivibile- scrive- sta a noi combattere senza tregua il mostro, stanarlo da ogni tombino.
Massacrare i civili novorussi non ha mai portato fortuna a chi arrivava da ovest, subumani bastardi nazisti strumento imperialista da sempre». Il post è stato corredato dai commenti di amici e conoscenti, molti dei quali preoccupati dal silenzio di «Bombazo» che non dava notizie da una decina di giorni.
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