Simona Marchetti per gazzetta.it
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Mohamed Salah se l'è cercata e l'infortunio alla spalla è stato un castigo divino per aver infranto il digiuno del Ramadan. E a sostenerlo non è Sergio Ramos nel tentativo di chiamarsi fuori da tutto il polverone scatenato col suo fallo e che ha costretto il giocatore del Liverpool a mollare la finale di Champions League dopo appena 31 minuti (per inciso, la petizione contro di lui ha superato le 510.000 firme), bensì un imam del Kuwait. "Dio lo ha punito - ha scritto infatti su Twitter Mubarak al-Bathali - perché mangiare e bere per poter disputare una partita di calcio non è una scusa legittima per interrompere il digiuno durante il mese sacro".
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PUNIZIONE — In sostanza, visto che ai musulmani è concesso di violare il digiuno per motivi di viaggio, se Salah avesse deciso d'infrangere il Ramadan perché doveva volare da Liverpool a Kiev per giocare la finale, non avrebbe commesso peccato. Optando invece - pare su consiglio di un nutrizionista - di non attenersi all'antico precetto solo per non compromettere la gara, avrebbe sfidato le ire di Allah, che si sarebbe così vendicato facendolo infortunare e mettendo quindi a rischio la sua partecipazione al Mondiale (ma giusto ieri la federazione egiziana ha assicurato che in Russia il campione Reds ci sarà e che il problema alla spalla si risolverà in tre settimane).
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"Salah ha ricevuto un cattivo consiglio - ha continuato Al-Bathali - e sfortunatamente dovrà sopportarne il peso. La vita è nella mani di Dio, tutto accade secondo la sua volontà e forse l'infortunio è una cosa buona". Ma a conclusione del suo anatema via Twitter, il predicatore lascia al calciatore anche una speranza: "Salah è un uomo virtuoso, buono e rispettato - ha detto infatti l'imam - è un grande ambasciatore per i musulmani e ne sta migliorando l'immagine in Occidente. Non deve rattristarsi, perché la porta del pentimento è aperta".
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