Gianluca Marziani per Dagospia
demetrio stratos 3
Che strana vita quella del Palazzo delle Esposizioni. Di fatto rimane l’unico plausibile beaubourg capitolino, un hub culturale con caratteri unici nel suo genere: facciata a palindromo, posizione strategica, entrata con scalone monumentale, accessi laterali su quattro lati (cosa rara per un museo nel cuore di una metropoli), ristorante di alto tenore con location e luce naturale ineguagliabili (Antonello Colonna ha dato al buffet diurno il tenore di una colazione eccellente), architettura del bookshop da far invidia a musei più famosi, sale multimediali per offrire luoghi consoni a proiezioni e performance, spazi enormi per una modulazione infinita dei progetti espositivi…
un DNA così dovrebbe eccitare gli sponsor più ambiziosi, anche perché è l’unico spazio romano che unisce centralità urbana, tenore istituzionale, flessibilità interna, lusso logistico e raziocinio spaziale; in realtà sembra il luogo del continuo rimosso, oggetto di infiniti cambi strategici, una patata bollente che si barcamena tra le difficoltà economiche del presente, un’identità giuridica da Azienda Speciale e un passato di glorie altalenanti, talvolta indimenticabili (in particolare gli anni con Renato Nicolini Presidente ed Emanuele Bevilacqua Direttore, quando si stava trasformando in una magnifica macchina museale).
eugenio carmi
Ad oggi si notano gli sforzi di Luca Bergamo per ridare una qualche identità al luogo, cosa difficilissima se non si ragiona in forma molto ambiziosa, strategica sul lungo raggio, coraggiosa per necessità vitale, altamente manageriale per necessità contabile. Si dovrebbe seguire, radicalmente, un modello integrativo tra pubblico e privato, simile alla nuova Triennale sotto la presidenza di Stefano Boeri: nel caso di Roma, ovvio, con l’arte visiva e non il design al centro del progetto, con le altre arti (design compreso) in sintonia armonica, con programmi eterogenei, slancio mondano, personalità forte e una maggiore aderenza al potenziale turistico di Roma.
demetrio stratos 1
A proposito di mostre in corso, nulla da eccepire sulla qualità di MANIFESTO firmato Julian Rosefeldt, un progetto di tredici film su altrettanti schermi, un omaggio ai manifesti d’avanguardia con Cate Blanchett protagonista camaleontica. Se fossi il direttore artistico del Palazzo, lo metterei in calendario, ovvio, ma non gli darei così tanta centralità scenica. Penserei subito che il luogo deve portare migliaia di spettatori al giorno, cosa abbastanza difficile se non hai la calamita espositiva che attiri il grande pubblico, se non bilanci il break even delle economie interne con la modulazione della proposta più “furba”.
demetrio stratos 2
Roma si trova oggi in un guado politico che necessita di cure specialistiche, un passaggio storico che vede i musei al centro di nuove riflessioni e strategie, talvolta ben avviate ma altre molto confuse e poco veggenti. Roma deve ridefinire la sua identità contemporanea, così come il Palazzo delle Esposizioni deve ritrovare una sua biologia funzionale, un circuito di economia culturale che possa proporre le sperimentazioni video al fianco di vere mostre tematiche su movimenti, tendenze, storie illustri, temi scientifici. E’ così tanta la roba che si potrebbe fare in un museo del genere, così aperte le possibilità di attirare folle senza investire capitali spropositati… e daje, direbbe qualcuno a Roma.
il corpo della voce
IL CORPO DELLA VOCE (a cura di Anna Cestelli Guidi e Francesca Rachele Oppedisano) avrebbe, in teoria, lo stesso gap di “Manifesto”, ovvero, una mostra di alto profilo intellettuale, un corpus teorico per spettatori esperti o molto pazienti, simile a certi film da Quinzaine a Cannes, capolavori estremi che amiamo in pochi (e che vedono in pochissimi) ma che sono la vera linfa con cui si evolve il linguaggio. “Il corpo della voce” è una mostra originale, di ottima fattura teorica, una di quelle cose che mancavano nel nostro panorama, forse una delle migliori idee che si sono formalizzate negli ultimi anni al Palaexpò.
cramps records 11
E’ una mostra talmente “diversa” che si giustifica un certo masochismo commerciale, viene quasi voglia di supportarne la comunicazione con messaggi invitanti per il pubblico inesperto. Un consiglio piccolo piccolo vorrei darlo: se magari la evidenziaste meglio con i billboard sulla facciata, se trovaste una maniera grafica di calamitare gli sguardi del pubblico potenziale, forse cambierebbe l’approccio dei passanti e i paganti salirebbero di numero. O forse fa parte di una strategia anche questo, magari è proprio la difficoltà di percezione il vero plus per mostre di alta qualità curatoriale. Chissà…
cathy berberian
Tornando nel vivo vocale, la mostra si divide in quattro parti: la prima, dedicata ai presupposti anatomici, spiega in maniera chiara come si definisce la voce, perché si crea un timbro unico, quali sono gli elementi idraulici e meccanici che producono suoni. Le altre tre parti ci portano nel cuore dei protagonisti: Demetrio Stratos, Cathy Berberian, Carmelo Bene. Tre giganti per raccontarci cosa fa la voce se si cambia il punto di vista, se si reinventano i codici, se si sperimenta l’estensione concettuale del suono umano. Lasciatevi trasportare dalle fotografie, dai reperti cartacei, dai pezzi sonori in cuffia, da alcuni video d’epoca, dalle opere su carta e da una documentazione inconsueta, strabiliante, piena di idee non allineate. E’ una mostra sensoriale che non privilegia la vista ma una sorta di “udito visivo”, una formula circolare che puoi guardare da ogni angolazione, che ti invita a sederti e fermarti, che evita la linearità a favore del movimento fluido, quasi che lo spettatore facesse parte del flusso sonoro ad alta intensità verbale. Capisci come la voce sia uno strumento complesso dal potenziale elevato, un oggetto politico e militante, un motore emotivo ma anche un’arma violenta, una poesia adesso e un proiettile domani, una membrana viva sempre e comunque. Dopo questa mostra, fidatevi, penserete alla vostra voce in maniera diversa. E magari capirete che le corde vocali, oltre ad essere un fatto anatomico, sono anche un corpo sociale. Buon ascolto visivo.
cathy berberian luciano berio carmelo bene
CARMELO BENE carmelo bene solitudine in achille
carmelo bene, hommelette for hamlet, 1988 carmelo bene carmelo bene 9 demetrio stratos esegue i mesostics di john cage allo spazio fiorucci di milano, 1977 CARMELO BENE il corpo della voce carmelo bene, cathy berberian, demetrio stratos palazzo delle esposizioni di roma cathy berberian posa con il vestito di scena di stripsody, 1966