Gianluca Marziani per Dagospia
opere di luigi valadier
C’è una cosa che mi colpisce sempre sul Pianeta Terra: mi riferisco al vostro tramandare i temi narranti delle arti, al ciclo di eterno ritorno dei canoni estetici, una staffetta del patrimonio umano in cui si insinuano avanguardie e rivoluzioni culturali, ribaltando senza però distruggere l’eredità collettiva, a conferma di un profondo senso delle radici ma anche di un sentore da segugi dell’innovazione.
Dall’antica Grecia a oggi esiste un filo rosso che fa dialogare bronzi, marmi, gessi, porcellane e metalli preziosi di epoche diverse; una grande orchestra delle forme in cui archetipi e miti, fiabe e leggende, metamorfosi e citazioni diventano linfa del gusto, emozione sensoriale, anelito del pensiero. Il vostro Marziani ha scelto Roma anche per questo essere laboratorio del dialogo culturale, un patrimonio intensivo con cui tracciare incontri a distanza, abbracci elettivi, détournement surreali.
opere di luigi valadier
L’eterno ritorno delle antiche culture è il vero imprinting terrestre, sorta di radice amazzonica che riemerge per cicli storici, plasmando un tempo relativo sulla base di un tempo assoluto, come sottolineato da alcune mostre recenti. Penso al Museo Nazionale Romano con “Il Classico si fa Pop”: sguardo sulla Roma del Settecento tramite la manifattura di Giovanni Volpato, imprenditore veneto che creò un culto per le copie seriali in porcellana o biscuit, tra eleganti dessert, stoviglie, statuaria e ornamenti per ogni tasca.
Penso a Fornasetti presso Palazzo Altemps, esempio virtuoso d’integrazione naturale tra amene antichità e calembour onirici. Penso a Villa Medici con “Un’antichità moderna”, gioco di copie seriali tra calchi e ritorni, in sintonia filologica con la mostra “Serial/Portale Classic” presso Fondazione Prada.
E penso, soprattutto, alla Galleria Borghese, dove LUIGI VALADIER avvolge il pubblico col suo stilosissimo timbro di tracciabile modernità. Un plauso alla direttrice Anna Coliva che riesce, ogni volta, a integrare la mostra temporanea nel più finito dei volumi museali, dentro una possente e filologica collezione privata, nel cuore della più omogenea raccolta esistente di scultura classica.
opere di luigi valadier
Un piccolo miracolo di allestimento e mimesi, come se le tracce del temporaneo varcassero soglie metafisiche, mostrando l’età nascosta degli oggetti, la loro giovinezza astronomica, sorta di adolescenza perenne che carezza la pelle luminosa dei materiali, delle lavorazioni certosine, del rito perfezionista come sistema tolemaico del fare.
Luigi Valadier (1726-1785) fu pura luce nel suo arco creativo, un artigiano oltre l’artigianato, uno scultore oltre la pura scultura, un designer prima del design, un orafo ben oltre la tecnica. Per esporre i suoi oggetti non esisteva luogo migliore della Galleria Borghese: qui dove ogni soffitto, parete e pavimento sembra il trattato reale del massimalismo decorativo; qui dove respiri la completezza olistica delle arti; qui dove interni e opere si fondono senza attriti, rendendo il tutto un corpo michelangiolesco con il cervello luminoso alla Rousseau, il sentimento epico alla Tolstoj e l’agonismo futurista alla D’Annunzio.
opere di luigi valadier
Il messaggio è chiaro fin dal porticato, dove ti accolgono due lampadari giganti simili a piovre bizantine, sorta di astronavi alla “Guerre Stellari” che richiamano immagini di “Arca Russa” e Peter Greenaway. Poi entri nel grande salone e l’oro aleggiante inebria gli stessi led, tra gialli che sono storia di pontificati e aristocrazie capitoline, di sontuose dimore e oggetti sacri, di piaceri dell’occhio, esibizione mondana e lusso del buon vivere.
Siamo nel Settecento di Antonio Canova, Giovanni Battista Piranesi e Anton Raphael Mengs, epoca di Grand Tour e gadget protopop, di tanti inglesi che svernavano a Piazza di Spagna, epoca di rilancio del mito ellenistico e del marmo statuario. La storia di Luigi Valadier s’intreccia con gli esiti maniacali della Galleria Borghese, culminata nella committenza per uno sterminato servizio da tavola in argento e bagno d’oro, decorato con festone in foglie d’alloro e teste di Medusa (per le sole posate).
opere di luigi valadier
Sono anni di committenze del papato e delle famiglie in voga, anni in cui le aristocrazie blasonate trasformavano gli interni dei loro palazzi, anni in cui, ispirandosi alle parole di Winckelmann, il classico diventava moderno. Se da una parte si sentiva l’eco del Barocco romano, del Manierismo fiorentino e del Rococò francese, dall’altra c’era un Valadier che mescolava stili e stilemi, incurante del vincolo iconografico, modernissimo nel reinventarsi i piani della nuova classicità. Valadier fondeva assieme le mitologie con il barocco, i simboli esoterici con quelli classici, i culti religiosi con i temi laici, un misto di sacro e profano che diventava oggetto del desiderio, status prima di qualsiasi marchio registrato, culto domestico per acquirenti danarosi e socialmente dinamici.
opere di luigi valadier
Per merito di un Piranesi che stava plasmando il nuovo occhio urbano, Valadier trovò una spalla teorica che lo spinse a ibridare forme, ripensare geometrie, alterare i canoni in voga, inventare la sua personale idea di neoclassico. Luigi Valadier fu maestro di estremo rigore dentro lavorazioni massimaliste, un equilibrista della molteplicità, un orafo feticista che si esaltava nel centimetro narrante, nel microcosmo, nel dettaglio entropico.
Spaziava senza confini tra grandi fusioni e cantinette, servizi liturgici e bronzetti, lampadari e dessert, vasi e vassoi, terrine e candelabri, orologi da tavolo e complementi d’arredo… ma la vera sorpresa sono i disegni progettuali che il maestro realizzava, una collezione che tuttora si intreccia con le vedute veggenti di Piranesi, diventando il close-up grafico su quella Roma in bianconero: un occhio che entrava idealmente dentro le dimore, isolando gli oggetti su fondali lattiginosi, disegnando una metafisica del feticcio, ovvero, la prima natura morta moderna. Sono fogli sublimi, aerei nel modo di alleggerire i metalli, rigorosi nella loro essenza cromatica. In questi giorni che esaltano il pensiero debole e il caos poco sublime, l’arte di Valadier ricalibra i muscoli degli oggetti ambiziosi e duraturi, figli di un Dio maggiore ma padroni del tempo assoluto.