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    UN MARZIANI A ROMA - VALDES E PIETROSANTI: QUANDO LA MEMORIA DIVENTA MATERIA – A PALAZZO CIPOLLA LA PRIMA GRANDE MOSTRA ROMANA DELL’ARTISTA SPAGNOLO DAI MODI ELEGANTI E DALLA CARRIERA SEGNATA DA CRUCIALI ANTOLOGICHE AL GUGGENHEIM DI BILBAO E AL MUSEO REINA SOFIA DI MADRID. ALLA GALLERIA DE CRESCENZO & VIESTI LE ELEGANTI TESSITURE SU TAVOLA DI ROBERTO PIETROSANTI. ARTISTI DISTANTI MA IDEALMENTE UNITI DA UNA ROMA CHE SUBLIMA IL PASSATO…


     
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    Gianluca Marziani per Dagospia

     

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    Il vostro alieno de Roma peregrina tra luoghi espositivi in epoca pandemica, apprezzando i rigidi regolamenti d’ingresso che offrono visite in massima discrezione e minima (direi inesistente) confusione. Ammetto che la riduzione drastica dei vernissage (oggi sostituiti da defatiganti aperture a prenotazione) arieggia il calendario locale prima del comune soggiornare, favorendo mostre di pregio, autori di sostanza e visuali senza flûte in mano.

     

    Merita elogi apolitici un settore che, a dispetto del periodo drammatico, propone diversi eventi tra musei, fondazioni e spazi privati. Il risultato di cotanto sforzo (ed è una fatica titanica viste le drastiche riduzioni di pubblico pagante) dona luci diffuse alle città oggi sospese, sostituendo le manchevolezze del tempo libero (no concerti, no cinema, no teatri, no stadio, no cene) con le morbidezze del tempo liberato, quel tempo “extra” che solo le arti visive svincolano dal rumore urbano, dal frastuono motorizzato, dai molteplici smog sociali.   

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    Camminando in una Roma allentata ben oltre la sua canonica flemma, mi hanno colpito due artisti con occhio destro in avanti (futuro e veggenza) e occhio sinistro all’indietro (passato e memoria). Ora le pitture di Manolo Valdés al Museo di Palazzo Cipolla (Fondazione Terzo Pilastro - Internazionale) con la mostra “Le forme del tempo” (a cura di Gabriele Simongini, catalogo Manfredi Edizioni); ora le tessiture su tavola di Roberto Pietrosanti alla galleria De Crescenzo & Viesti con una piccola ma stupefacente mostra - “Codici” - da fuoriclasse silenzioso.

    roberto pietrosanti roberto pietrosanti

     

    Il loro occhio all’indietro usa la memoria come archetipo collettivo e patrimonio dinamico. Un’attitudine “lenta” che crea legami dissolubili ma linfatici con le radici da cui ogni figurazione parte. Ed è un legame in cui gli artisti tornano a quelle radici con nuove vesti, nuovi vocaboli, nuove espressioni.

     

    Lo spagnolo e l’italiano si rifanno alle tracce semantiche di alcune opere seminali, agli archetipi pittorici che hanno segnato il ciclo storico con la detonazione del lampo battesimale. La Storia insegna e l’Arte impara, questo sembra il loro mantra d’avvio; l’arte indica e l’opera metabolizza, questo sembra il loro scatto estetico per ragionare sul nostro tempo con gli strumenti (tecnici e concettuali) del presente e lo spessore della memoria condivisa.  

     

    Artisti distanti ma idealmente uniti da una Roma che sublima il passato nel suo incedere (a)temporale, avvolti da una città archeologica che instilla trame iniziatiche dentro le forme odierne, dentro le nature flessibili della memoria. I due sono partiti dalla storia plurisecolare delle arti visive, dai maestri che hanno tracciato le fondamenta della figurazione.

     

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    Valdés ha studiato Velàzquez e Matisse, Ribera e Zurbaràn, Picasso e Goya ma anche de Kooning e Warhol, Dine e Burri, immaginando un legame di gravità terrena con l’informale, il chiaroscuro seicentesco, con una drammaturgia violenta che dichiara la natura precaria del quadro, la sua imperfezione ricucita e sfibrata.

     

    Pietrosanti viene da percorsi che non prevedevano figurazioni e generi tematici: ha attraversato le vibrazioni geometriche, l’essenza del minimo pulsante, il silenzio plastico, finché ha incontrato le opere miliari, le sue nuove pietre d’ingaggio che lo hanno condotto a questi recenti “codici”. Valdés e Pietrosanti connettono la storia della pittura alla corrente invisibile di Roma, al suo humus di fibre creative, ispirazioni proteiche, lampi vitaminici.

     

    La loro Capitale si conferma un sistema immunitario della memoria condivisa, città interiore che avvicina al domani con la protezione di una memoria a corazza flessibile, tanto elastica per accogliere la téchne quanto resistente per non lasciarsi soggiogare dal nuovo senz’anima.

     

    VALDÉS A PALAZZO CIPOLLA

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    E’ la prima grande mostra romana di questo signore dai modi eleganti e dalla carriera olimpica, segnata da cruciali antologiche al Guggenheim di Bilbao e al Museo Reina Sofia di Madrid. Merito al mecenate Emmanuele F.M. Emanuele, Presidente della Fondazione Terzo Pilastro, se Palazzo Cipolla amplia la proposta romana con mostre di spessore internazionale, esponendo artisti che ancora mancavano dal palcoscenico capitolino.

     

    Mi ha colpito il modo titanico con cui Manolo Valdés (Valencia, 1942) affronta la pittura secolare, captando i movimenti epici delle scene sacre, l’erotismo universale del volto femminile, la metafisica degli oggetti quotidiani. Il suo pathos informale mastica le astrazioni di Tàpies e Burri per ricreare un campo figurativo ingrandito, sorta di traccia arcaica che rinasce da cuciture, tagli, sovrapposizioni, sporcature, grumi, spatolate.

     

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    Dal caos materico emergono crocifissioni e deposizioni, danze matissiane e volti in primo piano, orologi e coni gelato… tutti archetipi che sfidano il tempo e lo spazio, diventando moloch crudi nel loro caos febbrile, universali nel modo di ridurre la materia al suo scheletro senziente.

     

    Il quadro di Valdés ricuce le necessarie ferite delle avanguardie, suturando le tracce del dramma, ridefinendo una forma attraverso i sedimenti della Storia, offrendo una nuova chance al vitalismo rigenerante del corpo umano.

     

    PIETROSANTI DA DE CRESCENZO & VIESTI

    Dopo il museo entro in galleria e un orizzonte continuo investe la mia presenza ottica. Lungo una traiettoria ideale si alternano, con ritmo regolare tra pieni e vuoti, le piccole tavole formato 24x18. Piccoli mattoni in tessitura, arazzi minimali che variano gamme e sequenze dentro l’unità di misura del filamento colorato, dentro la linea aurea che equilibra le compressioni di queste rigorose strisce orizzontali.

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    Sono opere in fili di cotone, editate da Roberto Pietrosanti (L’Aquila, 1967) con pazienza orientale, linea dopo linea secondo un preciso modello dialettico: riformulare con la geometria alcune opere esistenti, sintetizzandole per toni cromatici su scale orizzontali.

     

    Ogni tavola si basa sui colori naturali dei rocchetti, così affini alla tavolozza dei paesaggi italiani, dei cicli rinascimentali, dei tessuti che hanno creato la grande moda italiana. La scansione per linee vibra con sottile pulsazione elettrica, come se quella traduzione a barre tornasse verso la sua origine, guidando la retina verso l’opera a cui ogni piccola tavola si riferisce. Piero della Francesca e Antonello da Messina, Giacomo Balla e Giulio Turcato, Velàzquez e Bacon… loro e molti altri in questo gioco di duetti impossibili eppure plausibili, tracce risonanti tra quel codice a strisce e la sua origine iconografica.

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    Esco dalla galleria con il piacere filamentoso di queste eleganti tessiture che mi connettono al cielo limpido delle 16:30… seguo il ricordo pacificante e ritrovo le visuali aeree di Perugino e Piero della Francesca, le scale auree di Raffaello, le soffici morbidezze del Pontormo, la carezza ancestrale di Guido Reni… mentre cammino scendo sotto il cielo e la pietra del Tridente mi riporta alla juta di Valdés, ai suoi marroni bruciati, ai timbri sabbiosi, al buio del chiaroscuro seicentesco… nel contrasto risolto tra cielo e terra rinasce l’armonia eterna di Roma, il suo sincretismo, la sua capacità di amalgamare opere e artisti solo in apparenza distanti.

     

     

    Gianluca Marziani Gianluca Marziani Gianluca Marziani Gianluca Marziani

     

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