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    UN NARCOS È PER SEMPRE – LA PARABOLA DI PIETRO IOIA, EX NARCOTRAFFICANTE DIVENTATO GARANTE COMUNALE DEI DETENUTI A NAPOLI, ARRESTATO PERCHÉ RIFORNIVA DI DROGA E TELEFONINI I CARCERATI. DOPO 22 ANNI SI ERA REDENTO, DIVENTANDO UN PERSONAGGIO MEDIATICO, TRA SERIE TV, LIBRI E POLITICA - MA SOTTO SOTTO, CONTINUAVA A SMERCIARE STUPEFACENTI – LE INTERCETTAZIONI: “ORA VEDO DI ENTRARE ALTRI DUE COSARIELLI LÀ DENTRO..."


     
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    1 - LA PARABOLA DEL GARANTE DEI DETENUTI DA ATTORE IN TV A SPACCIATORE IN CARCERE

    Antonio E. Piedimonte per “La Stampa”

     

    Dall'inferno al paradiso, e ritorno. Ancora un paio di giorni fa era comodamente seduto nell'aula «Giancarlo Siani» del Consiglio regionale della Campania per partecipare alla Conferenza nazionale dei garanti dei detenuti, solo 24 ore dopo Pietro Ioia si è ritrovato tra quei carcerati di cui si prendeva cura ma stavolta per restare con loro, in cella.

     

    PIETRO IOIA PIETRO IOIA

    Il 63enne è stato arrestato dai carabinieri perché - come raccontano immagini e intercettazioni - si è scoperto che oltre a garantirgli i diritti li riforniva di droga, telefonini e altro. I mercatini illegali nelle carceri non sono una novità, ma l'episodio ha fatto scalpore perché l'ex narcos nato alla Sanità e cresciuto a Forcella che dopo 22 anni di prigione si era redento, era diventato un personaggio piuttosto noto.

     

    Grazie a un libro-denuncia sul carcere di Poggiorale - nel quale svelava l'esistenza di una cella segreta usata per i regolamenti di conti durante le guerre di camorra - che provocò un'indagine della magistratura e divenne uno spettacolo teatrale. E grazie all'associazione «Ex detenuti organizzati napoletani» (Ex Don) e alle attività nel mondo dello spettacolo: location manager alla docuserie di Sky «Camorriste 2», o il ruolo recitato nel film di Claudio Giovannesi «La Paranza dei bambini» tratto dall'omonimo libro di Roberto Saviano. Insomma, un simbolo per tutti quelli che amano una certa narrazione della parte oscura della città.

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    Da lì la nomina (avversata da molti) di garante comunale, un ruolo peraltro non previsto dalla legge (c'è il garante regionale), voluta dall'allora sindaco De Magistris (ieri l'ha definita «scelta coraggiosa») e poi confermata in automatico dalla giunta attuale, anche se intanto tra i detenuti si era aggiunto un suo fratello.

     

    A leggere l'ordinanza del gip Valentina Giovanniello si scapisce che quello era l'ultimo dei problemi: «Ioia è il perno principale dell'attività illecita del sodalizio () era a piena disposizione del gruppo criminale, legato a doppio filo soprattutto dal forte movente economico, visti i lauti guadagni».

     

    Il resto lo dice lui (intercettato): «Ora vedo di entrare altri due cosarielli là dentro, sotto Natale... devo prendere pure il motorino a quello», dice Ioia prospettando l'introduzione di un paio di cellulari nel carcere per racimolare altro denaro (mediamente 850 euro a consegna) da usare per comprare lo scooter al figlio in vista delle festività natalizie.

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    O con le parole rivolte a un detenuto dopo aver saputo dove aveva nascosto il cellulare: «Bravo, metti sempre le mutande strette». E lì, in un attimo, si è chiusa la parabola: da brillante testimone di redenzione&riscatto a imbarazzante simbolo di tutto ciò che appare irredimibile.

     

    2 - L'EX NARCOTRAFFICANTE AL SOLDO DELLA CAMORRA CHE CERCAVA IL RISCATTO «IN GABBIA SONO RINATO»

    Fulvio Bufi per il “Corriere della Sera”

     

    Quando uscì dal carcere di Velletri, dopo aver scontato l'ultima condanna a sedici anni, Pietro Ioia aveva nella borsa, tra lettere, foto e ritagli di giornale, un bigliettino con un numero di telefono scritto a penna. Glielo aveva lasciato prima di andarsene un compagno di cella calabrese, uno che al suo paese era soprannominato Escobar . Gli aveva detto di chiamarlo, perché di certo avrebbero trovato qualcosa da fare insieme.

    PIETRO IOIA PIETRO IOIA

     

    Pietro quel numero non lo compose mai. Strappò il biglietto e lo buttò. E con quello pensò di aver buttato via tutta la malavita vissuta fino a quel giorno. Voleva tenersi i ricordi dell'infanzia a vico Lammatari, nel cuore del Rione Sanità, con il papà di quelle parti e la mamma di Forcella, dove lei vendeva le sigarette di contrabbando e lui giocava a fare piramidi con i pacchetti di Marlboro, finché non arrivava Salvatore, il fratello più grande - uno dei sette che aveva - e gliele buttava giù solo per fargli dispetto.

    PIETRO IOIA PIETRO IOIA

     

    Voleva tenersi l'amore di sua moglie, Pina, che chiamavano la giornalista , perché aveva l'edicola dei giornali davanti al vecchio tribunale di Castel Capuano, e dimenticarsi di Marina, la colombiana conosciuta in Spagna che gli presentò il patrigno narcotrafficante e quello fece di lui un broker della droga, uno che andava a Bogotà e faceva arrivare a Napoli chili di cocaina da distribuire alle famiglie che gestivano lo spaccio.

    pietro ioia interpreta un agente di penitenziaria pietro ioia interpreta un agente di penitenziaria

     

    Voleva cominciare a raccogliere ricordi dei suoi figli, perché su di loro da detenuto aveva messo insieme solo i racconti della moglie, e dimenticare di quando, appena diciannovenne, fu il primo a vendere il fumo a Forcella, togliendo l'esclusiva alla «sposa», la piazza di spaccio dei Quartieri spagnoli dove era un andirivieni continuo di ragazzi da tutta Napoli.

     

    Solo una cosa non voleva eliminare dai ricordi: la miseria del carcere. E la violenza nella «cella zero» di Poggioreale, quel luogo del quale la magistratura non ha mai accertato l'esistenza ma che nei racconti e nelle denunce di Ioia era un buco nero «dove le guardie ti pestavano e ti umiliavano e qualche detenuto ci ha pure lasciato la vita».

     

    Pietro voleva essere un ex narcotrafficante che mai più avrebbe venduto droga, ma anche un ex recluso che mai avrebbe cancellato dalla memoria le sofferenze della reclusione, né si sarebbe dimenticato di chi quelle sofferenze continuava a patirle. E di sicuro è stato sia una cosa che l'altra. Perché l'associazione che costituì nel 2004, Exdon (Ex detenuti organizzati napoletani), ha fatto moltissimo per aiutare chi usciva dal carcere a reinserirsi nella vita sociale e lavorativa.

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    E perché non possono essere stati tutti pazzi o ciechi o sordi quelli che hanno creduto in lui. Non Luigi de Magistris che da sindaco, nel 2019, lo nominò Garante dei detenuti del Comune di Napoli; non Ilaria Cucchi che nello stesso anno lo inserì tra i premiati della Onlus intitolata a suo fratello Stefano, riconoscendogli l'impegno in favore dei diritti umani; e nemmeno Marotta e Cafiero, la casa editrice che ha aperto una libreria a Scampia, e nel 2017 ha pubblicato il libro La cella zero, morte e rinascita di un uomo in gabbia .

     

    Alla fine l'unico che non ha creduto in Pietro Ioia è stato Pietro Ioia. Vissuto troppo a lungo nel male per credere alle favole a lieto fine, o almeno per credere che la favola a lieto fine potesse avere lui per protagonista. E forse in una intervista a Gaia Martignetti di FanPage lo aveva anche detto, a modo suo: «Se Pietro Ioia sbaglia di nuovo, allora dovete infierire su Pietro Ioia». Ecco, ha sbagliato di nuovo.

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