VIDEO - IL PAZZO CHE SI LANCIA DI NASCOSTO NELLE PISCINE REGISTRANDO TUTTO
Giuliano Aluffi per La Repubblica
IL SELFIE DELLA GIOCONDA
Sono già 73, quest’anno, gli incidenti fatali provocati dai selfie: cadute da palazzi e tralicci, arrotamenti sui binari ferroviari, annegamenti, aggressioni di animali e scosse elettriche. In tutto il 2015 se ne sono contati 39, mentre nel 2014 soltanto 14: il “killfie”, così si indica nel gergo millennial il selfie con esito tragico, è un fenomeno in crescita.
Ecco perché, per prevenire queste morti del tutto evitabili, un gruppo di studenti di origine indiana ha messo in campo la tecnologia digitale più sofisticata. Si tratta di allievi della Carnegie Mellon University e del “Precog Lab” (nome che ricorda Minority Report) dell’Indraprastha Institute di Delhi.
«Non sarebbe bello avere un sistema automatico, incapsulato in un’app, dissuada dal selfie ad alto rischio? Così è partito il nostro progetto » spiega a Repubblica l’informatica Megha Arora, coautrice dello studio ”Me, myself and my Killfie: preventing selfie deaths” appena pubblicato su arXiv. «Innanzitutto abbiamo definito la “morte da selfie” come “morte evitabile se la vittima non fosse stata impegnata a scattare il selfie”.
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Poi abbiamo cercato le notizie che corrispondono a questa descrizione — sono 127 dal 2014 ad oggi — e abbiamo classificato gli incidenti per luogo geografico e causa della morte». Chi ha notato il diluvio di condivisioni e retweet che premiano le foto di pazzi spericolati in bilico su passerelle, cornicioni, torri e orli di burroni e scogliere, non sarà sorpreso dai dati raccolti: l’incidente più frequente è la caduta da grandi altezze. Segue, per numero di fatalità, il selfie preso in prossimità di corsi d’acqua.
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Poi il selfie sui binari, micidiale soprattutto in India (dove avviene oltre la metà degli scatti mortali). Se fatto in compagnia, è ritenuto prova di un’amicizia che durerà per tutta la vita: previsione tragicamente più vera quando, proprio a causa del selfie, la vita si accorcia.
L’ultima tipologia di scatti dove nel “click” la mano del fotografo si accompagna a quella del tristo mietitore è il selfie con armi da fuoco: fatale soprattutto negli Stati Uniti e in Russia. «Con questi dati abbiamo allenato un algoritmo, tramite apprendimento automatico, a identificare le foto più a rischio» spiega Megha Arora.
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«Non soltanto rilevando ciò che si vede nell’inquadratura — come un’arma da fuoco, o un corso d’acqua — ma anche usando dati geografici. Il sistema geolocalizza via Gps lo smartphone, e calcola — usando servizi come Google Maps Elevation — la differenza tra il punto più alto e il punto più basso nei dintorni: ossia l’altezza massima da cui si rischia di precipitare. Sempre via Gps il sistema rileva se si è troppo vicini a un bacino d’acqua o alla ferrovia».
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L’algoritmo salva- scavezzacolli così ottenuto è stato sperimentato su 3.000 selfie pubblicati su Twitter: «Il risultato è incoraggiante: il 73% delle fotografie oggettivamente rischiose è stato riconosciuto dall’algoritmo» spiega Arora. Per ora il software non è ancora stato incorporato in un’app, che quando sarà pronta potrà giovare soprattutto a un preciso gruppo anagrafico: «I ragazzi tra 20 e 24 anni, che sono la maggioranza delle vittime dal 2014 ad oggi, e soprattutto i maschi: coinvolti nel 75% degli infortuni» sottolinea Arora. «Ma il nostro progetto non si ferma ai “selfie”.
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L’obiettivo è salvaguardare l’utente disattivando, per chi si trova in una zona a rischio, non solo la fotocamera, ma anche applicazioni di realtà aumentata come PokemonGo. E la mappa usata dall’algoritmo si arricchirà di “zone no selfie” anche grazie a segnalazioni in crowdsourcing da tutto il mondo». Basterà per fermare chi scatta foto spericolate essendo conscio del pericolo? «Oltre ai temerari veri e propri, chi rimane vittima di un “killfie” è spesso chi tenta d’impulso una foto rischiosa solo per avere più “like” » commenta Arora. «Non tutti riflettono sul rischio: la nostra app li aiuterà».