Elisabetta Andreis e Gianni Santucci per il “Corriere della Sera”
vittima revenge
Pausa compiti. Nella sua cameretta una tredicenne milanese, un po' annoiata, si spoglia riprendendosi con il cellulare e manda il video al fidanzatino. «Per piacergli di più». Vanno alla stessa scuola delle medie, frequentano un oratorio dalle parti della stazione Centrale. A sua volta l' adolescente, per farsi bello con la squadra di calcio, fa circolare le immagini via WhatsApp. Nel gruppo dei loro amici cominciano a parlarne tutti ma i genitori, cercando di aiutare la figlia a superare l' episodio, lo «nascondono».
Non denunciano, si limitano a parlare alla madre e al padre del ragazzo. Con il tempo il caso si sgonfia. Gli adolescenti crescono, si sparpagliano in varie scuole superiori della città. I due fidanzatini neanche si sentono più. La vicenda pare archiviata. E invece, due settimane fa, il video che pareva dimenticato rispunta nelle chat di classe della ragazzina, che frequenta la prima in un liceo scientifico del centro di Milano.
revenge porn
Si chiama revenge porn , è la condivisione pubblica di video intimi che erano stati trasmessi per sexting. Quando si perde il controllo delle proprie immagini, ormai è troppo tardi. Risultato: la vittima è sotto choc e al suo liceo dodici studenti - tutti minorenni, 14 anni - sono stati sospesi per dieci giorni dalle lezioni, «la pena più severa che si ricordi da vent'anni a questa parte», racconta un docente lì dal 2000. «Condannati» a svolgere lavori utili alla scuola: dal primo mattino alla sera ripuliscono il cortile, le aule, la biblioteca. E il preside non si ferma all' indagine interna.
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Convince invece i genitori della ragazza a sporgere, questa volta, denuncia. Parte così un procedimento penale, attualmente in corso. «Ci capitano un paio di storie di questo tipo ogni mese, e l' indagine è particolarmente complessa perché il materiale di fronte alla legge è a tutti gli effetti pedopornografico, ma spesso il procedimento resta a carico di minori di 14 anni, dunque non imputabili - spiega Annamaria Fiorillo, pm del Tribunale per i minorenni di Milano -. La responsabilità ricade sui genitori e a livello penale il caso si chiude subito. Rimangono però gli strascichi a livello civile, chiediamo gli accertamenti ai servizi sociali».
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Il fenomeno è in netto aumento tra ragazzine dai 13 ai 15 anni anche se poche volte si arriva alla denuncia, aggiunge Luca Bernardo direttore del CoNaCy, Centro di coordinamento nazionale cyber bullismo: «A quell' età non hanno ancora rapporti fisici completi, esprimono così la loro sessualità, salvo trovarsi in situazioni più grandi di loro. E non sai mai se è finita, i video possono tornare fuori anche dopo tanto tempo». Colpisce siano ragazzini così inconsapevoli: «Piangevano, quando li ha convocati il preside, non si erano proprio resi conto che far girare quel video era, al di là delle considerazioni di etica e di opportunità, un reato».
Una recente ricerca su undicimila giovani ha mostrato che il sexting è usato abitualmente dal 6 per cento delle preadolescenti (11 e 12 anni).
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