Massimiliano Gallo per ilnapolista.it
napoli inter
Il Napoli ha mandato la controfigura. La prima sconfitta è arrivata. Al rientro dopo il Mondiale, la grande paura si è concretizzata. Il Napoli ha perso 1-0 a Milano contro l’Inter e francamente c’è poco da dire sul risultato finale. La squadra di Spalletti non ha fatto nulla per vincere la partita. Ha scoccato un solo tiro nello specchio della porta di Onana e lo ha fatto al 90esimo con Raspadori.
E se l’atteggiamento poteva essere anche comprensibile fino al gol di Dzeko, avvenuto al 56esimo, dopo è stato evidente che eravamo di fronte a un Napoli rarefatto, copia molto stinta della squadra ammirata nella prima parte della stagione. Il che è anche comprensibile. La stagione non finisce il 4 gennaio, comincia il 4 gennaio e gli azzurri in teoria hanno davanti a sé un ipotetico cammino interessante in Champions. Non c’è nulla di cui strapparsi i capelli, anche se è strano andare a giocare un match importante senza gli occhi della tigre. Un atteggiamento nuovo per il Napoli di Spalletti. Non possiamo parlare nemmeno di paura. È stato un Napoli tra l’ornamentale e il dilatato. Il paragone che ci viene è quello con la voce ritardata di Enrico Ghezzi nelle sue comparsate notturne su Raitre.
L’Inter ha segnato nella ripresa, in maniera fin troppo facile: un solo passaggio per Dimarco, cross al centro, Rrahmani si perde Dzeko che solo soletto segna. Nel primo tempo i nerazzurri avevano sbagliato tre gol tra il facile e l’abbordabile: due con i terzini Dimarco e il terzo con Lukaku.
inter napoli
Non possiamo parlare di paura, non crediamo che il Napoli avesse paura. Molto probabilmente gli azzurri non sono ancora in condizione. Nessun calciatore era paragonabile con quanto visto per tutta la prima parte di stagione. Non ci uniamo al coro delle cassandre che sicuramente si leverà. È stata una brutta sconfitta, ammesso che ce ne siano di belle. Ma il campionato è lungo e si riparte con cinque punti di vantaggio sul Milan.
Il Napoli è parso imballato e anche meno incosciente rispetto al 2022. Ed è questo un atteggiamento comprensibile. Un po’ perché più si andrà avanti e più sarà così, perché aumenta il peso specifico delle partita.
inter napoli
Un po’ perché in città si respira un clima assurdo, da ok Corral e il Napoli si trovava nell’insolita situazione di non poter commettere passi falsi altrimenti non si sapeva come avrebbe reagito ce l’ambiente o come si sarebbero svegliati quelli che col vittimismo e col complottismo ci campano (stasera possono aggrapparsi a un mancato giallo di Skriniar su Kvaratskhelia, per il resto secondo noi Sozza ha arbitrato bene, con quella macchia). È questa ambientale una condizione unica: il problema principale non è quel che accade in campo ma tenere a bada quel che succede fuori. Da questi particolari si capisce perché vincere uno scudetto a Napoli (o anche a Roma) equivale a vincere dieci titoli vinti altrove dove viene data per assodata la possibilità di dover competere fino alla fine. Diciamo che è insolito vincere con quindici giornate di anticipo.
Detto questo, non tirare mai in porta (se non al 90esimo con Raspadori) è quasi un colmo per il Napoli che ha sommerso di gol mezza Europa calcistica.
SPALLETTI
Alla fine, anzi all’inizio, Spalletti se l’è giocata con la formazione tipo. Tutti gli allenatori hanno una formazione tipo, a prescindere dalle parole che poi se le porta via il vento. Ha mandato in campo persino Rrahmani. Inzaghi invece ha lasciato Dumfries e gli ha preferito Darmian. Skriniar, come detto, ha avuto la libertà di rifilare a Kvara un pestone d’avvertimento prima del quarto d’ora. L’Inter ha giocato come al gioco del fazzoletto. D’attesa. Non s’è mai scoperta. Non ne ha avuto bisogno. Al decimo della ripresa il Napoli le ha consegnato il gol e a quel punto è stato evidente che la squadra di Spalletti non c’era.
LUCIANO SPALLETTI