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    E' PARTITO DAL NULLA, HA AVUTO TUTTO - L'ASCESA DI MINO RAIOLA, L'EMIGRANTE DI NOCERA INFERIORE - LE PRIME GRANDI INTUIZIONI COME NEDVED E IBRAHIMOVIC, BALOTELLI E POGBA - LA LOTTA CON JORGE MENDES E GLI SCAZZI CON GLI ALLENATORI - SIR ALEX FERGUSON DISSE: “NON MI FIDO DI LUI, È UN SACCO DI MERDA” – MAROTTA: “SI FACEVA VALERE. RAPPRESENTAVA I SUOI ASSISTITI NEL MODO MIGLIORE. CON LUI I CALCIATORI SI SENTIVANO TUTELATI MA CAMBIAVANO TANTE SQUADRE. E SE DA UN PUNTO DI VISTA ECONOMICO, SI GUADAGNAVA. DAL PUNTO DI VISTA TECNICO..."


     
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    1 - ADDIO RAIOLA, DAL NULLA DIVENNE RE DEL CALCIO

    Andrea Sorrentino per “il Messaggero”

     

    mino raiola 3 mino raiola 3

    «Mino!». Rispondeva al telefono così, né «Pronto» né «Hello», solo il suo nome, un annuncio secco più che un saluto, come a dire: io sono io, adesso fatti avanti tu, che ho da fare. Si dice sia stato il re del mercato, ma più che altro è stato l'uomo che ha cambiato il calcio moderno, non soltanto il mercato. Per questo non solo i suoi celebri assistiti, ma tutti i calciatori dovrebbero dedicargli un pensiero affettuoso, una lacrima, un monumento equestre. Gli devono moltissimo. 

     

    Se c'è stato un uomo che partendo dal nulla ha avuto la spregiudicatezza, la forza, l'intuito e il cinismo di spingere il calcio più in là, verso la centralità dei calciatori rispetto ai club in nome di guadagni sempre più elevati, anzi talmente esagerati al punto da arrivare quasi a scassare l'intero sistema, ebbene quell'uomo è stato Mino Ràiola, all'anagrafe Carmine, scomparso ieri a 54 anni all'ospedale San Raffaele di Milano, dopo una lunga battaglia contro la malattia.

     

    RAIOLA BALOTELLI RAIOLA BALOTELLI

    Nato a Nocera Inferiore nel 1967, a un anno di età emigrato con la famiglia ad Haarlem, vicino Amsterdam, infine spirato a Milano, nella sua Italia, anche se lui risiedeva a Montecarlo e le sue società a Malta e a Dublino. Controverso, simpaticissimo, inquietante, furbo come il demonio, un poliglotta da sette lingue imparate sul campo. Ineffabile, compiaciuto e panciuto, quindi per quel vecchio adagio uomo di grande sostanza; sbrigativo, sbrindellato, la camicia sempre sopra i pantaloni a troneggiare sul girovita fuori misura.

     

    LA LOTTA CON MENDES 

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    Con Mino si diventava ricchi per forza, bastava seguirlo, e anche per questo era diventato il numero uno dei manager, anche se in perenne lotta con Jorge Mendes, alleato solo nelle battaglie contro Fifa («Sembra un dittatore comunista») e Uefa, la vera controparte dei draghi del mercato.

     

    Si era fatto tutto da sé, Mino, partendo dalla pizzeria, poi ristorante, del padre ad Haarlem: nel locale passano imprenditori in affari con l'Italia, Mino ha intuito, guizzi e comunicativa. Sbarca nel calcio quasi subito, come rappresentante di giocatori olandesi all'estero, l'Italia sempre nel destino. 

     

    GIGIO DONNARUMMA E MINO RAIOLA GIGIO DONNARUMMA E MINO RAIOLA

    A 20 anni è tra i mediatori nella trattativa che porta Rijkaard dallo Sporting Lisbona al Milan. A 25 anni conduce Brian Roy al Foggia: lì conosce la sua futura moglie e diventa amico di Zeman. Altri affari di quegli anni: Bergkamp e Jonk all'Inter, Vink al Genoa. Il primo grande colpo, Nedved dallo Sparta Praga alla Lazio di Zeman.

     

    E i giocatori li sceglie lui, non il contrario: se Mino intravede del talento, si getta sul giocatore promettendogli una carriera luminosa. Accade così con Ibrahimovic: «Dammi retta e ti porto sulla vetta del mondo, ma impara a comportarti», e Zlatan gli darà retta, a quello che definisce con affetto «un meraviglioso ciccione idiota». 

     

    raiola raiola

    Intanto Mino ha affilato gli artigli. Basta essere uno e trino, giocare su tre tavoli. Basta che al giocatore inizino a venire mal di pancia e insoddisfazioni varie, per portarlo a scadenza e arrivare alla rottura col suo club; poi indirizza la cessione su un secondo club con cui Mino è già d'accordo, che a quel punto sarà grato al mediatore per il risparmio sul cartellino dell'atleta, a cui riconoscerà un ingaggio lauto, e non parliamo del premio al manager. Li ha traghettati tutti così, rendendo ricchissimi loro, e se stesso: nel 2020 la rivista Forbes lo ha accreditato di 85 milioni di commissioni. 

     

    Amava i suoi giocatori, molti di loro avevano un vissuto complesso, li paragonava ai grandi artisti: Donnarumma un Modigliani, Pogba un Basquiat, De Ligt un Rembrandt. Ha costruito il fenomeno Mario Balotelli, ha intuito che il futuro sarebbe stato Haaland, ha conquistato dopo lunga corte Verratti.

    RAIOLA POGBA RAIOLA POGBA

     

     Molti non lo amavano, ovvio: «Ci sono alcuni agenti che non mi piacciono e uno è Mino Raiola. Non mi fido di lui, è un sacco di m...», sbottò un giorno sir Alex Ferguson. Il calcio e i calciatori erano cambiati, e Mino aveva avviato il mutamento. Logico che non piacesse a parecchi. Ma i calciatori, lo venerino in eterno. Alla sua famiglia, cugino, figlio e nipote, il compito di gestire la sua eredità, immensa e piena di campioni.

     

    2 - MAROTTA: «MODI SPICCI, GRANDE ABILITÀ QUANTE LITIGATE CON LUI, MA MINO ERA IL MIGLIORE»

    A.S. per “il Messaggero”

     

    Beppe Marotta, ad dell'Inter, una lunga relazione di lavoro con Mino Raiola: da quanto lo conosceva?

    RAIOLA DONNARUMMA MEME RAIOLA DONNARUMMA MEME

    «Da almeno trent' anni. Sono dispiaciutissimo, addolorato, affranto. Mino era un amico. Quante trattative insieme, quanti anni di vita.

     

    E anche diverbi, litigate, certamente: eravamo sempre su piani diversi, io rappresentavo i club e lui i calciatori, normale ci fosse qualche frizione, ma c'era grande stima. Aveva competenza, bravura, tenacia. Si era fatto da sé.

     

    Aveva iniziato molto giovane a occuparsi di calcio e di intermediazioni. Ho avuto i primi contatti con lui quando era diventato collaboratore di Gino Pozzo all'Udinese: Mino lavorava sui giocatori olandesi, ma poi estese ben presto il suo raggio d'azione. Io a quei tempi ero dirigente al Monza, al Como, al Venezia, e cominciai ad avere a che fare con lui. Un grosso professionista, che infatti ha avuto un successo mondiale».

     

    ibra raiola ibra raiola

    E' vero che Raiola ha cambiato il calcio con i suoi metodi, modificando i rapporti di forza tra calciatori e club?

    «Era abilissimo. Si faceva valere. Rappresentava i suoi assistiti nel modo migliore, si batteva per loro, strappava i contratti alle sue condizioni, spesso. Modi spicci, grande franchezza nell'esprimersi, una persona di valore.

     

    Era polemico e incisivo a livello mediatico, come lo era nel privato delle trattative, sempre uguale a se stesso. Poco convenzionale, anche nel modo di vestirsi, diretto. Poi è stato anche molto critico col sistema, e faceva bene la sua parte anche in quello. Poi in un sistema ci sono anche le altre controparti, come i club, le federazioni. Ma con lui i calciatori si sentivano tutelati, combatteva per loro».

     

    Insieme a lui avete messo a segno una delle plusvalenze più incredibili di sempre, per Paul Pogba.

    MINO RAIOLA MINO RAIOLA

    «Lo prendemmo a costo zero dal Manchester United, dove non aveva trovato spazio con Alex Ferguson; Mino era il suo manager, credeva un sacco nel giocatore, ci garantì che era un campione ancora incompreso, e lo portò alla Juventus.

     

    Quattro anni dopo il Manchester United aveva una proprietà diversa e una mentalità diversa, e ce lo comprò per 115 milioni. Sono colpi che capitano, anche se non con quelle proporzioni. Ci sono spesso dei giovani che non trovano spazio e fanno fortuna in un'altra nazione da cui partono per una grande carriera: mi viene in mente il caso di Scamacca, che andò via dalla Roma per giocare in Olanda». 

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    C'è un erede di Raiola? 

    «Non credo. Era unico». 

     

    E' stato anche un personaggio controverso, no? 

    «Spesso ha spinto al massimo, i suoi giocatori cambiavano tante squadre. E se da un lato, sul piano economico, gli spostamenti hanno sempre garantito guadagni maggiori ai suoi atleti, in alcuni casi non sono state operazioni felicissime sul piano tecnico, e qualcuno non si è trovato bene. Fa parte del gioco». 

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    Pensiamo a Donnarumma, ad esempio? 

    «Può essere. Magari, a vedere le cose adesso, se Donnarumma fosse rimasto al Milan sarebbe stato meglio per lui. Ma giudicare alla fine è facile». 

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