Antonio Massari per il Fatto Quotidiano
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Il 2 luglio 2019 è una data che i vertici Eni ricorderanno a lungo. L' avvocato Giuseppe Calafiore, sentito dalla Procura di Milano, racconta che il braccio destro di Claudio Descalzi, Claudio Granata, ha chiesto a un testimone chiave di ritrattare le sue deposizioni. Quelle che riguardavano le sue accuse a Descalzi - oggi imputato per corruzione internazionale - nell' inchiesta sulla presunta maxi-tangente versata per il giacimento petrolifero Opl 245 in Nigeria.
Calafiore è un avvocato molto legato a Piero Amara, ex legale esterno dell' Eni, con il quale, in altri fascicoli, è stato indagato per corruzione. Il suo racconto parte dal luglio 2014 quando l' ex dirigente Eni Vincenzo Amanna - anch' egli indagato per corruzione internazionale dalla procura di Milano - "inizia a rendere dichiarazioni accusatorie nei confronti di Descalzi" sulle "tangenti pagate in Nigeria". "Amara - continua Calafiore - mi diceva che secondo lui le prove contro Eni erano schiaccianti.
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() C' erano rapporti tesi tra Eni e Armanna perché quest' ultimo era stato licenziato malamente dall' Eni ed era particolarmente risentito. Voleva rientrare e lavorare in Eni. () Amara mi disse che Granata gli aveva chiesto di tenere a bada Armanna () di 'lavorarselo', in modo da indurlo a ritrattare o edulcorare le dichiarazioni che aveva reso all' autorità giudiziaria nei confronti di Descalzi. () Amara cominciò a frequentarlo più assiduamente e a cercare di registrarlo".
In questo contesto, spiega Calafiore, tra aprile e maggio 2016 c' è "un incontro a Roma, in piazza Fiume, davanti alla Rinascente, tra Granata, Amara e Armanna".
"Amara - racconta Calafiore - mi aveva detto che Granata era disposto a fare un accordo con Armanna, garantendogli che l' Eni lo avrebbe riassunto, se avesse edulcorato le dichiarazioni rese nei confronti di Descalzi.
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() Io stesso accompagnai Amara con un taxi all' appuntamento e vidi fuori dalla Rinascente Granata e Armanna che lo stavano attendendo. Poi andai via". Calafiore dice di aver poi saputo da Amara l' esito dell' incontro: "Granata ha offerto ad Armanna di tornare a lavorare per Eni, so anche che Amara disse ad Armanna di non accettare e non fidarsi" poiché "Eni subordinava la riassunzione a una ritrattazione o all' attenuazione delle accuse nei confronti di Descalzi.
Ho saputo poi da Amara che () Armanna ha accettato la proposta di Granata". Ma c' è di più.
Claudio Granata
In quel periodo la Procura di Siracusa, ricevendo un fascicolo da Trani, avvia un' indagine farlocca che avrebbe dovuto dimostrare un "complotto" contro Descalzi e delegittimare i consiglieri indipendenti di Eni, Luigi Zingales e Karina Litvack, per indebolire l' inchiesta milanese sulla presunta tangente nigeriana. Per questa indagine, il pm che la conduceva, Giancarlo Longo, ha già patteggiato una condanna per corruzione in atti giudiziari, mentre Amara e Calafiore hanno chiesto il patteggiamento.
Il procuratore aggiunto di Milano Laura Pedio e il pm Paolo Storari ricordano a Calafiore che Armanna, dopo aver inviato un' email a Longo, fu convocato dalla Procura di Siracusa, per un interrogatorio, il 6 luglio 2016. "La presentazione di Armanna a Siracusa - chiedono - è la prima prova della volontà di ridimensionare le dichiarazioni rese ai danni di Descalzi?".
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"Amara - risponde Calafiore - non mi ha mai collegato esplicitamente la presentazione di Armanna a Siracusa con l' accordo intervenuto tra Armanna e Granata". Ma aggiunge: "Sono certo che, dal momento in cui il processo cosiddetto 'complotto' o 'operazione Milano' è stato trasferito da Trani a Siracusa, Granata ne è stato informato e messo a conoscenza degli obiettivi dell' operazione. () Me lo disse Amara". Secondo Calafiore, quindi, il braccio destro di Descalzi era al corrente dell' operazione - per la quale Eni s' è costituita come parte offesa - mirata a indebolire l' inchiesta milanese sulla maxi tangente nigeriana.
GIUSEPPE CALAFIORE 1
Il Fatto ha interpellato Armanna. "Nel 2016 - dice - ero in una situazione terribile. Da allora, anche per le dichiarazioni che Descalzi aveva pubblicamente fatto su di me, non ho mai più potuto lavorare in Italia. Mio figlio, nato nel 2014, aveva poco più di un anno. È in questo contesto che ho incontrato Amara e Granata. E Granata mi ha offerto di rientrare in Eni facendomi tre richieste. Confermare che Descalzi era il mio vero capo e che la mia resistenza agli intermediari della tangente era stata decisa dallo stesso Descalzi, che aveva fatto una guerra alla corruzione sull' Opl 245.
Smussare le dichiarazioni sugli sponsor politici nigeriani legati al giro della tangente. Fare dichiarazioni a Siracusa a favore di Descalzi avallando l' idea che Zingales e Litvack fossero tra gli organizzatori principali del complotto contro di lui. A Siracusa non ho mai rivolto accuse a Zingales e Litvack mentre, sul 'complotto' contro Descalzi, che a mio avviso esisteva, ho riferito quel che sapevo. Granata mi consegnò una nota che trasfusi in una memoria che depositai alla Procura di Milano: alleggerii le mie accuse come mi aveva chiesto. Ne avevo bisogno, ero in difficoltà, non sotto il profilo finanziario, ma non avevo più un futuro in Italia. In cambio ho avuto la promessa, mai mantenuta, di essere riassunto in Eni dopo il primo grado di giudizio".
DESCALZI
Il 30 maggio scorso la Procura di Milano sente come persona informata sui fatti Salvatore Carollo, dipendente di Eni ed esperto di trading. Carollo riferisce di essere stato contattato da Amara pochi giorni prima affinché "veicolasse" alcuni messaggi a un altro importante funzionario Eni, Roberto Casula: "Mi disse che esisteva un blocco di potere di cui lui stesso faceva parte unitamente a Scaroni (Paolo, ex ad di Eni, ndr), ai servizi segreti e ad alcune Procure non meglio identificate che avevano come obiettivo di far fuori Descalzi dal suo incarico - usò metaforicamente il termine 'ammazzarlo' - e mi disse: 'I vertici Eni sanno che io non ho detto tutto quello che sapevo e che sono sempre stato in mezzo a queste vicende giudiziarie per proteggerli'.
Pietro Amara
I nomi che mi fece furono Descalzi e Granata. Disse che l' operazione per il silenzio di Armanna gli era costata mezzo milione". E ancora: "Mi disse che grazie ai suoi buoni rapporti con Mantovani (Massimo, ex responsabile ufficio legale Eni, poi responsabile trading, indagato a Milano per il fascicolo siracusano sul falso complotto, ndr) aveva continuato a fare attività di trading () che la società Napag, nella quale ha una partecipazione, ha guadagnato circa un milione di dollari l' anno scorso (). In sostanza diceva che Eni doveva continuare a salvaguardare Mantovani in modo che lui continuasse a guadagnare. () La protezione di Mantovani faceva parte di quel negoziato di cui ho parlato prima e che mi chiedeva di veicolare a Casula".
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Il Fatto ha contattato Amara: "A maggio ho incontrato Carollo - racconta - e ho discusso con lui di Granata e Descalzi ma non ho alcuna partecipazione in Napag, società per la quale sono stato solo consulente". Infine il Fatto ha contattato l' Eni per chiedere se confermava o smentiva le versioni di Calafiore, Armanna e Carollo sul ruolo di Granata e dell' ente petrolifero. In un' articolata risposta smentisce radicalmente queste ricostruzioni. Aggiunge che "è del tutto evidente lo stato di grave astio di Armanna verso Eni e verso Granata che ne curò di persona l' allontanamento nel 2013 e non l' ha mai più incontrato".
vincenzo armanna