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    PROFONDO ARGENTO – DA OGGI AL MUSEO NAZIONALE DEL CINEMA DI TORINO UNA MOSTRA CELEBRA IL REGISTA DEL BRIVIDO - "NON FAREI IL REGISTA PER UNA SERIE TV. NON MI PIACCIONO, SONO TROPPO FACILI, COMMERCIALI, SEMPLICIOTTE. E POI NON SI PUÒ AVERE PAURA A CASA PROPRIA, GUARDANDO LO SCHERMO DELLA TEEVISIONE, BEVENDO, FUMANDO UNA SIGARETTA. AL CINEMA C'È IL RITO, IL BUIO, LA SENSAZIONE DI ESSERE SOLI" – IL RAPPORTO CON LE FIGLIE ("ASIA E FIORE MI COMANDAVANO A BACCHETTA"), LA FEDE, IL MESTIERE DI CRITICO CINEMATOGRAFICO ("LO RIFAREI") E LA PAURA IN QUEL CINEMA ALL'APERTO SULLE DOLOMITI DOVE PROIETTAVANO... - VIDEO


     
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    Fulvia Caprara per “La Stampa”

     

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    Dentro la vertigine di se stesso, immerso nel proprio immaginario, per la prima volta faccia a faccia con il suo mito, Dario Argento dà l'impressione di essere tornato bambino, alla radice di tutto, libero dalle inquietudini che lo hanno sempre inseguito e sfidato: «Qui c'è tutto di me, tutta la mia storia, non ho ancora metabolizzato, sono travolto da una valanga di sensazioni, ho provato quasi una sorta di svenimento».

     

    Da oggi, al Museo Nazionale del Cinema, è aperta la mostra «Dario Argento The Exhibit», curata dal direttore del Museo Domenico De Gaetano e da Marcello Garofalo, un tuffo senza rete (fino al 16 gennaio) nell'universo di uno dei maestri più celebrati del cinema internazionale che ieri ha anche ricevuto la Stella della Mole: «Un regista, ma anche un artista - dice il Presidente del Museo Enzo Ghigo - il cui cinema visionario dialoga costantemente con le altri arti, creando universi visivi seducenti e messe in scena sontuose attraverso un uso vitale e libero della macchina da presa».

     

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    Per lui, per Argento, per l'autore che ha ispirato generazioni di registi, nei più diversi luoghi del mondo, l'esposizione è come uno specchio: «Mi sono chiesto - dice guardandosi intorno - "ma davvero ho fatto tutte queste cose, ho conosciuto tutta questa gente, ho raccontato così tante storie?».

     

    Da dove nasce l'horror?

    «Dalla psicologia. Descrivere scene orribili non serve e non fa paura, l'orrore ha ragioni profonde, psicologiche, senza le quali non avrebbe alcun senso, non avrebbe sapore».

     

    È ancora oggi, e sempre di più, l'idolo di un pubblico di giovanissimi. Secondo lei perché?

    «L'altra sera ero a un'anteprima del mio ultimo film, c'era una platea piena di ragazzini.

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    Non so cosa piaccia così tanto, forse il mio stile di racconto, non sono mai ruffiano, non faccio mai niente per cercare di piacere, racconto i miei sogni, i film che faccio sono onirici, istintivi, senza infingimenti, hanno qualcosa di sincero e profondo, penso che questa sia la caratteristica che è piaciuta in tutto il mondo».

     

    Quale è stata la prima volta in cui ha provato veramente paura al cinema?

    "Da bambino, ero in vacanza sulle Dolomiti con mia nonna, c'era un cinema all'aperto dove proiettavano vecchi film, andammo a vedere Il fantasma dell'opera, mi fece molta impressione, per me è rimasto indimenticabile».

     

    Nei suoi film hanno lavorato le sue figlie, sia Asia che Fiore, e con loro ha sempre avuto un legame stretto, come è andata?

    «Hanno sempre vissuto con me, per loro sono stato sia mamma che papà, mi hanno insegnato a vivere, a comportarmi bene. Mi comandavano a bacchetta, mi dicevano che non dovevano entrare donne in casa, grazie a loro ho vissuto tutto meglio, ho avuto una vita più bella, più sana. Per questo verso le mie ragazze provo molta gratitudine» .

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    La fede religiosa ha un posto importante nella sua esistenza. È sempre stato così?

    «La mia vita religiosa è divisa in varie parti. Da piccolo, influenzato da mia nonna che era molto devota, ero anche io molto religioso, andavo a scuola dai preti, ho fatto il boy-scout. Dopo, al liceo, mi sono allontanato dalla fede fino a diventare ateo, poi per molti anni ho lavorato in un giornale comunista dove l'ateismo era di prammatica. Poi c'è stata una svolta, che ha coinciso con la morte di mio padre.

     

    Non so bene perché io e Asia, proprio quel giorno, come trasportati da qualcosa, siamo andati a Piazza San Pietro, c'era Giovanni Paolo II, abbiamo ascoltato il suo discorso, forse ci è arrivato un messaggio. Vicino casa c'era una piccola cappella di suore sudamericane, da allora ho preso a frequentarla e loro, a poco a poco, mi hanno riavvicinato alla religione. È stato come un ritorno a casa».

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    Tra le sue varie dimore, nel senso dell'ispirazione artistica, c'è Torino, dove ha girato scene di tanti film. Che cosa l'ha colpita della città?

    «Francamente non saprei spiegarlo. Da bambino ci sono venuto la prima volta con mio padre, vidi la città in una sera di pioggia, c'erano luci gialle, lastroni lucidi, la trovai affascinante, misteriosa. Aveva qualcosa di strano che all'epoca non riuscivo a spiegare, poi ho iniziato a capirla e così è entrata nel mio mondo dei sogni».

     

    È stato critico cinematografico, le piacerebbe farlo di nuovo?

    «Sì, lo rifarei, ho visto film a tonnellate, è un mestiere che mi piaceva molto, anzi, pensavo che avrei fatto quello per tutta la vita, poi ho cominciato a scrivere qualche sceneggiatura e dopo è arrivato il primo film».

     

    Che cosa sta preparando adesso?

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    «Mi hanno offerto un film in Francia, vediamo. Dopo il film da attore con Gaspar Noè e dopo Occhiali neri coprodotto dai francesi, i rapporti si sono intensificati».

     

    Dirigerebbe una serie tv?

    «Non credo, le serie non mi piacciono tanto, sono troppo facili, commerciali, sempliciotte. E poi non si può avere paura a casa propria, guardando lo schermo della tv, bevendo, fumando una sigaretta, con tutte le proprie comodità. Al cinema c'è il rito, il buio, la sensazione di essere soli».

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