Valeria D’Autilia per “la Stampa”
ILVA DI TARANTO
Il coronavirus entra nello stabilimento ex Ilva di Taranto. C’è il primo operaio positivo e ora si teme per una possibile esplosione di contagi. Rabbia tra i cittadini e timore tra i lavoratori di questa città, dove la contraddizione tra economia e salute è questione irrisolta da decenni. I sindacati avevano chiesto di portare al minimo l’operatività. Al momento, ogni giorno, entrano in fabbrica in 3.500, a cui si aggiungono i 2.000 dell’indotto. «Un numero così elevato- dicono Fiom, Fim, Uilm e Usb- rappresenta un grande rischio di contagio».
Cifre stabilite dal prefetto, che le organizzazioni dei metalmeccanici vogliono ridurre ulteriormente. «Bisogna tenere i lavoratori a casa, diretti e indiretti non fa differenza- denuncia il sindacalista Franco Rizzo- preservando gli stessi da un rischio che ovviamente aumenta in luoghi di lavoro particolarmente affollati». Intanto, ArcelorMittal ha chiesto la cassa integrazione per tutti e la discussione inizierà oggi. Al momento, sono 99 i casi di persone positive confermati tra la città e la provincia: adesso il timore è che la più grande acciaieria d’Europa possa diventare un nuovo focolaio.
OPERAIO ILVA
«Questa attività- ribadisce il sindaco Rinaldo Melucci- non è essenziale e tra poche settimane Mittal dovrà comunque provvedere al fermo di molti impianti in base alla nostra ordinanza sindacale sulle emissioni inquinanti. Non c'è alcun valido motivo per andare avanti». Sulla tenuta sociale e sanitaria, preoccupazione dei medici Isde. «Non abbiamo le efficienti strutture del nord. Conte chiude negozi, aziende, paesini e lascia aperta una fabbrica grande quanto una città. Chiediamo anche qui le misure massime di prevenzione previste dai decreti per il resto d’Italia. Per quanto tempo saremo condannati a essere diversi dagli altri»?.