Claudia Osmetti per "Libero Quotidiano"
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Le due ruote sono più pericolose a pedali che a motore. Non è nemmeno una novità (è dal 2009 che le statistiche nazionali fotografano il sorpasso delle biciclette sulle moto nella triste classifica degli incidenti sull'asfalto), ma quando lo si dice c'è sempre qualcuno che storce la bocca, salutista intransigente o ciclista convinto di poter salvare il mondo perché lesina sulla benzina in superstrada all'ora di punta. Gli fai mica cambiare idea, a un tipo così.
Eppure i numeri degli addetti ai lavori dicono altro. Dicono, per esempio, che sulle carreggiate italiane muore un ciclista ogni 32 ore e che i sinistri mortali, in sella alla bici, crescono del 9,6% all'anno (fonte: Istat 2018). Oppure sostengono che il rischio di mortalità, per chi va in bicicletta, è di 2,18 mentre per i centauri scende a 1,96 e per chi guida un semplice motorino a 1,06 (fonte: Asap, ossia associazione sostenitori amici della polizia stradale).
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O ancora sottolineano implacabili che l'Italia è il terzo Stato europeo per decessi sulle strade urbane e che, complessivamente, il 70% delle vittime appartiene alla categoria degli utenti deboli, cioè è un pedone o un ciclista (fonte: Etsc, che sta per European transport safety council). Tutto chiaro? Evidentemente no. Perché, tra mountain-bike, city-bike, e-bike e la classica Graziella che resiste alle mode dell'ultimo grido, oggi il mercato della pedalata è in un immenso fermento.
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Ché se al lavoro ci vai sgambettando di polpaccio, magari smaltisci pure la pancetta e sei pronto per la prova costume. Peccato che uscito dal garage ti conviene stare più attento a dove finiscono le ruote invece che fissare il bruciacalorie. Voragini che in confronto il groviera è una fetta liscia di granito. Piste ciclabili costruite (si fa per dire) in una notte pittando il terreno con una strisciata di vernice e stop. Segnaletiche rispettate alla bisogna (quindi praticamente mai).
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Imprudenze che uno neanche ci fa caso, tanto s' è mai visto un vigile che fa una multa a un ciclista indisciplinato? Sì, ovvio: qualcuno c'è, ma non entra in letteratura. Luci di posizione che la notte son perennemente spente, e basterebbe un dinamo: non inquina punto. Il risultato? L'Aci (l'Automobil club) conta, per il 2017, uno degli ultimi anni disponibili, 254 morti in sella a una bici sulle strade italiane e qualcosa come 17.521 incidenti. Più di 48 al giorno, quindi due ogni ora.
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Ma son solo numeri: vuoi metterli con il vento che ti scompiglia i capelli mentre scendi filato a cinquanta all'ora (e chi se n'accorge) sotto casa, svolti all'angolo e sferzi di tutta fretta per guadagnare tre minuti netti sugli spostamenti cittadini? Quelli sì, che son vantaggi. Intendiamoci, qui nessuno ce l'ha con le biciclette. Che sono un mezzo bellissimo. Che fa risparmiare sul carburante (vero), che costa meno della palestra (vero), che impatta zero sull'ambiente e che, a starci attento, s' intrufola dappertutto (vero e ancora vero).
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Però il gioco non vale la candela quando la contropartita è una sforbiciata sulla sicurezza personale. Sull'incolumità al manubrio. Ci sono vie e viuzze, specie quelle in città, che non sono fatte per le biciclettate. Anche perché sennò sparirebbero del tutto: ciclisti, calzoncini e caschetti forati. Visti i numeri della strage, è come se, ogni anno, il Giro d'Italia si azzerasse a causa degli incidenti stradali.
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Non se lo augura nessuno, ci mancherebbe. Sarebbe una follia. Ora con la fase due è un continuo di pedali rispolverati, ma solo a Roma, e solo nel 2018, si sono verificati 207 sinistri che hanno coinvolto le biciclette e a Milano, tra il 2015 e il 2016, sono morte 145 persone. Va bene pedalare, ma anche tenere gli occhi aperti ha la sua importanza.
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