• Dagospia

    "UNA SERA MI RITROVAI CON UN COLTELLO ALLA GOLA" - IL FONDATORE DI EXODUS DON MAZZI SPARA QUALCHE BOMBETTA NELLA SUA AUTOBIOGRAFIA: "MI SONO TRASFERITO A MILANO NEL 1979, NON VOLEVO ASSOLUTAMENTE VENIRCI. MI ERA STATO AFFIDATO ANCHE UN EX TERRORISTA, MARCO DONAT CATTIN. AVEVO RICEVUTO, SIMBOLICAMENTE, UNA PARTE DELLE ARMI. DA RAGAZZO ERO UN RIBELLE, L’ASSENZA DI MIO PADRE HA AVUTO UN PESO DETERMINANTE E…"


     
    Guarda la fotogallery

    Andrea Galli per www.corriere.it

     

    IL LIBRO DI DON MAZZI IL LIBRO DI DON MAZZI

    «Spesso commettiamo l’errore di parlare per primi, come se il tempo impiegato nell’ascoltare sia in qualche modo tempo perso o comunque da abbreviare il più possibile».

     

    E con questa premessa, peraltro ospitata nelle prime pagine del libro, altrimenti non poteva essere che l’intervistato, don Antonio Mazzi, s’incontrasse con un intervistatore particolare, ovvero Arnoldo Mosca Mondadori, anima sensibile e colta, capace di rispettare i silenzi e i tempi del suo «interlocutore».

     

    Il libro, «La speranza è una bambina ostinata», è molto più di un’autobiografia oppure un testamento spirituale; semmai, nel volume edito da Piemme, prende corpo e slancio un’intensa camminata, come se i due autori avessero passeggiato per il parco Lambro.

     

    DON MAZZI DON MAZZI

    Ecco, il parco, storica sede e ancor prima incipit della missione del veronese don Antonio. «Mi sono trasferito a Milano nel 1979. Non volevo assolutamente venirci, ma prima di me era venuto qui don Luigi Maria Verzè per creare diverse scuole e centri educativi per l’avviamento professionale… Quando lui cominciò ad essere completamente assorbito dalla costruzione e organizzazione dell’ospedale San Raffaele, dovetti andare a Milano a sostituirlo alla direzione di uno dei centri per giovani da lui creato: una realtà che allora aiutava oltre mille ragazzi… A Milano erano gli anni di piombo e c’era l’esplosione del consumo di droga da parte di giovani e giovanissimi. Era una realtà che non conoscevo e nella quale temevo di non inserirmi bene…».

     

    Don ANTONIO Mazzi Don ANTONIO Mazzi

    Come fu l’inizio? «Una gran fatica… Morirono due ragazzi nell’intervallo della scuola che era all’interno del parco… Una sera, all’uscita Cimiano della metropolitana, mi ritrovai con un coltello alla gola, così, come minaccia, senza parole… In quel periodo mi era stato affidato anche un ex terrorista, Marco Donat Cattin… Avevo ricevuto, simbolicamente, una parte delle armi dei terroristi...». Tanto, forse troppo? «Pensavo sinceramente di andarmene, di chiudere tutto».

     

    DON MAZZI DON MAZZI

    Don Antonio è icona di un sacerdozio e di una chiesa poco — anzi per niente — dogmatici ma aderenti alla realtà, dentro le cose, i temi, le esistenze, un sacerdozio e una chiesa «inclini» alla contestualizzazione di individui e situazioni, e del resto «a me le persone normali non sono mai piaciute. Ora posso dire perché: perché io per primo sono stato un ragazzo caratteriale. L’assenza di mio padre ha avuto in questo un peso determinante: sono sempre stato inquieto e indisciplinato, vivevo male le regole ed ero un ribelle…».

     

    don mazzi don mazzi

    Perché è diventato sacerdote? «La fede è anche questo: non è solo coltivare una grande e crescente speranza per il futuro, ma anche vivere nell’attesa che Dio arrivi già qui… Io sono ancora prete non perché da prete ho realizzato un mio progetto, ma perché ho vissuto questa attesa e ho risposto, meglio che potevo, al bussare di Dio alla mia porta».

     

    corona don mazzi corona don mazzi

    Dunque, di nuovo, gli inizi al parco Lambro. «Come dicevo, a Milano venni contro la mia volontà… Ma a poco a poco ebbi l’idea giusta. Conoscevo lo scoutismo, conoscevo il mondo giovanile… Mi misi in moto: feci il giro dell’Europa, vidi come contrastavano il fenomeno della droga… E più conoscevo e mi confrontavo, più mi convincevo che non volevo fare una comunità, ma avviare un cammino di liberazione. Perciò mi venne in mente la carovana e la chiamai Exodus, che significa “liberazione”. Andai a piangere, più che a chiedere, a chi poteva aiutarci dal punto di vista economico. Riuscimmo a farci regalare quattro camper e il 25 marzo 1985 siamo partiti... Abbiamo vissuto insieme, abbiamo dormito dove trovavamo da dormire e sofferto tutti la fame quando c’era poco cibo… Fummo ospitati da don Tonino Bello, tutti, in episcopio. Mi disse soltanto: “Venite, questa è casa vostra”».

    lele mora e don mazzi foto lapresse lele mora e don mazzi foto lapresse lele mora e don mazzi lele mora e don mazzi lele mora nella comunita' di don mazzi lele mora nella comunita' di don mazzi

    Guarda la fotogallery


    ultimi Dagoreport