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Antonio Riello per Dagospia
Non lontano da Aix-en-Provence, in direzione del Luberon, c'era una volta un grande podere - un domaine come si dice in Francia - con vigneti di Syrah e Cabernet Sauvignon. Poco conosciuto sorgeva vicino ad un villaggio che la gente del luogo ha sempre chiamato Le Puy-Sainte-Réparade.
ANTONIO RIELLO
Poi, un giorno (nel 2002) qualcuno che viene da lontano lo vede e decide di comprarselo. Questo qualcuno è Mr Paddy McKillen. Viene dall'Irlanda ed è un brillante e curioso uomo d'affari (rigorosamente self-made come vuole la tradizione). Ha i suoi maggiori interessi a Londra dove impara a conoscere e ad assaporare il "magico potere" dell'Arte Contemporanea.
Capisce come l'Arte sia un potente strumento per trasformare alchemicamente qualsiasi iniziativa in un successo mediatico, a patto naturalmente che si rispetti la regola fondamentale: glamour, glamour, glamour. Il vino in genere è una faccenda di tradizione e lunga esperienza, dove è molto difficile dribblare il fattore tempo. Ma Mr Kelly ha ben chiaro come l'Arte e l'Architettura di un certo tipo - appunto glamour - possano essere i complici perfetti per un vino che cerca di costruirsi rapidamente una solida credibilità.
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Il personaggio del nostro racconto ha bisogno per cominciare di un enologo capace di far produrre al podere del vino di una certa qualità (per un vino mediocre nemmeno far resuscitare Pablo Picasso in persona potrebbe bastare). Trova in un idolatrato enologo del Sud-Est, Matthieu Cosse, il candidato perfetto.
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La qualità del vino raggiunge un buon livello e dal 2009 viene ottenuta la qualifica francese ufficiale di AB che, in parole povere, significa "vino biologico". Scelta ovvia e necessaria per piazzarsi su un mercato medio-alto sempre più esigente sotto questo aspetto. I vini di Chateau la Coste sono a dire il vero abbastanza buoni ma forse un po' carucci rispetto alla media, soprattutto se consideriamo che sono venduti direttamente dal produttore.
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Si inizia subito con il fior fiore degli "ArchiStars". La cantina vera e propria è opera di Jean Nouvel che propone una specie di compatto e lucido hangar. La struttura centrale e il ristorante sono invece opera di Tadao Ando, che disegna nel vasto parco anche una cappella e alcune geniali panchine, e che va detto regala allo spettatore un notevole esercizio di elegante essenzialità.
Frank Gehry, ormai un "ingrediente" immancabile in questo genere di operazioni, lascia anche lui il suo segno. Si tratta della struttura che Gehry aveva progettato per la Serpentine di Londra, una sorta di teatro all'aperto con ovvie e forse un po' banali suggestioni sulla socialità (della serie: "che bello trovarci tutti assieme e numerosi in questo bel teatro...."). In corso d'opera anche una sala espositiva molto interessante, francescana e luminosissima, disegnata da Renzo Piano. Insomma non manca quasi nessuno.
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Gli artisti. C'è intanto, in un vecchio edificio, una personale di Tracy Emin. E' l'unica mostra temporanea. Una serie di recenti quadri e alcune voluminose sculture. Mostra magari interessante per i fan sfegatati dell'artista britannica, ma onestamente non indimenticabile. Ha saputo fare di meglio.
Il suo dealer, Jay Joplin, (White Cube Gallery, di Londra) tra l'altro avrebbe potuto essere più esigente con Chateau La Coste: il personale presente nella sala, completamente stonato, sembra appena uscito da un rave party e durante le ore di visita passa il pavimento con una grossa e rumorosa aspirapolvere (non è una performance, già controllato, solo sciatteria).
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Tra i filari sinuosi e le colline si sviluppa la principale attrazione. Un lungo percorso che richiede un paio di ore abbondanti di cammino e che comprende una ventina di installazioni permanenti all'aperto. I nomi degli artisti sono tutti "giusti". All'inizio, sullo specchio d'acqua che accoglie i visitatori, si staglia un gigantesco ragnone di metallo di Louise Bourgeois (2003).
Invece, accanto al complesso disegnato da Tadao Ando, sempre dall'acqua, emergono una magnifica scultura di Hiroshi Sugimoto (è del 2010), la si potrebbe guardare per ore tanto è enigmatica, si chiama "Mathematical Model 012" (2010) e una scultura della serie degli "immobili" di Alexander Calder dal titolo "Small Crinkly" (1976).
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L'installazione "Wall of Light Cubed" (2007) di Sean Scully, valente artista di origini irlandesi, appare lungo il percorso come un pesante blocco di pietre in una immaginaria cava. Proseguendo ci sono tre imponenti sculturone in materiali naturali che celebrano, in qualche modo, l'Aldilà e il Giudizio Universale. L'artista è il brasiliano Tunga. Un po' oltre, lo scozzese Andy Goldsworthy scava nel terreno un suggestivo ambiente che viene completamente rivestito di assi di querce locali. "Oak Room" (2009) Forte, sinestesica e claustrofobica esperienza. Poco oltre l'austriaco Franz West costruisce un alto totem giallo "Faux Pas" (2006) nel suo tipico e inconfondibile stile.
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Per un pubblico internazionale non sempre necessariamente così avvezzo ai rituali e alle vicende dell'Arte Contemporanea ci voleva, ovviamente, anche un nome particolarmente mediatico, eccolo: Ai Wei Wei. Sembrerebbe però che si sia impegnato un po' meno dei suoi colleghi realizzando, in pietra locale, una specie di micro-Muraglia Cinese. "Ruyi Path" (2017). Non ancora finita forse... mah....non si capisce bene. Tutto rimane più confuso che avvincente, magari anche per la grande aspettativa che l'artista cinese automaticamente genera.
Jean-Michel Othoniel con sfere di vetro rosso dà forma ad una bella croce all'esterno della cappella di Tadao Ando, "La Grande Croix Rouge (2007). Michel Stipe, non è un artista acclamato, ma invece un musicista, l'acclamatissimo leader dei R.E.M, che questa volta si diletta in arte. Ma tant'è: comunque siamo di fronte un personaggio molto trendy.
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Il suo lavoro non è poi tanto male: un gruppo di volpi in bronzo sparse per una radura "Foxes (2008). Vicino spunta di nuovo Tracy Emin, questa volta con sua curiosa installazione: una botte con un foro dentro al quale si intravede (a fatica) un gatto in porcellana. Il titolo? "Self-Portrait: Cat Inside a barrel" (2013).
Lliam Gillick fa forse l'opera più riuscita di tutto il parco: "Multiplied Resistance Screened" (2010). Una serie di cancellate multicolori scorrevoli che si aprono e chiudono sul nulla. Artista intelligentissimo e opera superba.
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Non lontano troviamo un altro scultore che è sempre particolarmente adatto a questo tipo di interventi esterni: Richard Serra. Le sue poderose lame di acciaio, "Aix" (2008), sembra che siano sempre state lì, frutto di qualche movimento tellurico naturale. Si arriva alle campane realizzate da Paul Matisse (Sì è un discendente di quel Matisse, ma questo fa l'ingegnere). Comunque una opera interattiva insolita e felicemente originale "Meditation Bell" (2012).
Sempre avanti. Tom Shannon è un artista americano che si definisce "inventore" e ha forti interessi scientifici. La sua opera "Drop (2009) è forse la più fotogenica del percorso. Molto intrigante e azzeccata. Proseguendo si incrocia un gigantesco calice di Guggi, "Calix Meus Inebrians" (2009). Opera retorica e pure un po' ruffiana (siamo in posto dove si produce vino, suvvia !).
L'opera del coreano Lee Ufan non è accessibile. Lo stesso accade purtroppo anche per l'installazione del giapponese Tatsuo Miyajima.
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Le ragioni non sono precisate o chiarite da nessuna parte. Un peccato. Inoltre chi ha pagato il biglietto per visitare il parco non è stato assolutamente avvertito in precedenza del problema. Un imprevisto può accadere ovunque naturalmente, ma per correttezza il fatto andrebbe sempre comunicato prima di vendere un ingresso.
Se una cosa del genere fosse capitata in Italia potrebbe essere stata considerata con rassegnazione "folklore locale", ma in Francia è un serio peccato mortale, qualcuno potrebbe essere venuto proprio e solo per vedere il lavoro di Miyajima.....Nell'insieme comunque, a parte appunto un po' di disorganizzazione, una bellissima passeggiata tra numerose opere d'arte e un paesaggio favoloso.
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La convivenza forzata tra Arte e Potere (quello economico di chi fa e vende vino) è sempre stata difficile e complicata. Sempre costellata di litigi, incomprensioni e scenate. Di cantine, più o meno blasonate, che hanno coinvolto architetti ed artisti ce ne sono state davvero tante. Anche in Italia naturalmente. Tematica potremmo dire un po' ovvia e forse pure abusata.
Qui in Provenza sembra invece di essere davanti ad una "novità" e a una perfetta intesa. Uno scambio di amorosi sensi. Come se le Arti fossero state in silenziosa e ansiosa attesa da secoli per questa opportunità (vinicola). Perfetto Mecenatismo Alcoolico (PMA).
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Mr Kelly che è coadiuvato anche dal padre e dalla sorella, oltre che da un piccolo esercito di collaboratori dall'aria molto chic, ha trasformato questa proprietà in una delle mete del turismo di lusso in Francia. Ha coinvolto lo chef Gérald Passédat (3 Stelle Michelin) per dotarsi di una ristorazione importante. Elemento strategico questo. Per la cronaca ci sono anche altri due ristoranti meno impegnativi e irrilevanti.
Ha fatto costruire (oggi indispensabile!) un bell'orto a vista per erbe aromatiche e ortaggi locali. E ha aperto anche un Hotel con uno stile frugal-lussuoso, lo standard "alter-modern" classico per una clientela internazionale, esigente e sofisticata. Alcuni piccoli segnali sono decisivi. Tutto deve esser "bio", "sustainable", "semplice" e soprattutto molto, molto, costoso.
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E' stato quindi abilmente organizzato un sistema di promozione sui social discreto ed efficace. Quest'estate Chateau La Cost, assieme al'isola greca di Hydra e la spiaggia portoghese di Comporta, è stato uno dei luoghi più "taggati" da un certo tipo di utenti su Facebook e Instagram. Un altro piccolo capolavoro (mediatico).
La magia ha dunque funzionato, lo "stregone" del business ha fatto bene i suoi incantesimi e la nostra favola ha un suo lieto fine. L'umile podere lo conoscono adesso ovunque. Il vino ha i suoi molti facoltosi estimatori. Dalle stalle alle stelle (Michelin)!
Continua.1