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    “UNA VOLTA ALLA GUIDA HO TOCCATO I 240 ALL'ORA. FANTASTICO” – UNA SCATENATA HELEN MIRREN TORNA AL CINEMA CON “FAST & FURIOUS 9”: “A VENT'ANNI NON AVREI MAI IMMAGINATO DI GIRARE DEGLI ACTION MOVIE: ERO TROPPO SNOB E INTELLETTUALE, DOVEVO ESSERE NOIOSA” – I RUOLI DA REGINA E DA CASALINGA, IL METOO A HOLLYWOOD E IL FUTURO: “MIO MARITO DICE CHE NON MI RITIRERÒ MAI. SE DOVESSI FARLO ANDRÒ NELLA MIA MASSERIA IN SALENTO. ADORO PASSARE LE SERATE IN PIAZZA A TRICASE. TUTTI A PASSEGGIARE, MANGIARE UNA PIZZA E SPARLARE…”


     
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    Marco Consoli per “il Venerdì di Repubblica”

     

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    «Andare veloce in auto mi è sempre piaciuto. Una volta alla guida ho toccato i 240 all'ora». Quanto? Da arresto! «Ma no, ero su un'autostrada tedesca e lì non ci sono limiti. È stato fantastico». Helen Mirren, 76 anni, interprete raffinata di The Queen e altri film come Gosford Park, Hitchcock, The Last Station o il prossimo The Duke, spiega il motivo che l'ha spinta a tornare nei panni di Magdalene Shaw nell'action movie ad alta velocità Fast & Furious 9, che uscirà il 18 agosto al cinema.

     

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    «Quando mi avevano proposto il personaggio (per il precedente Fast & Furious: Hobbs & Shaw, ndr), ho inventato per lei il soprannome Queenie, prendendolo in prestito da quello di una mia zia. Per tratteggiarla mi sono ispirata alla sua famiglia della working class londinese e ho recuperato il mio accento di ragazza dell'East End, immaginandola come una sorta di regina del crimine», racconta l'attrice.

     

    «Stavolta però ero particolarmente eccitata perché sapevo che avrei avuto una scena sul Mall, il viale che da Buckingham Palace porta all'Admiralty Archal, al volante di una Noble M600, una fantastica vettura sportiva». L'occasione di parlare con l'attrice che ha ricevuto quattro candidature agli Oscar e vinto una statuetta per The Queen è il premio alla carriera ricevuto al festival di Berlino.

     

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    «Farei qualsiasi cosa insieme a Vin Diesel», scherza Mirren «ma quando avevo vent' anni non avrei mai immaginato di girare degli action movie: ero troppo snob e intellettuale, mi consideravo un'artista e facevo teatro sperimentale a Parigi. Ora naturalmente non vedo l'ora di farne uno, ma credo che questo faccia parte di quello che si chiama diventare adulti». Lo stesso motivo che l'ha spinta a girare in Salento il divertentissimo video, diventato immediatamente virale, La Vacinada con Checco Zalone.

     

    Quando ha scoperto il teatro?

    «A 14 anni ho letto Shakespeare e ho avuto un'illuminazione. Ho iniziato a desiderare di raccontare il mondo attraverso il dramma così come un pittore fa con i colori o un musicista con le note. Se questo voleva dire essere un'attrice, avrei fatto di tutto per diventarlo. E per 10 anni mi sono dedicata seriamente al teatro, che era la mia chiesa.

     

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    All'inizio ero riluttante a fare cinema: i testi mi sembravano roba da bambini paragonati a quelli teatrali. Rivedendomi con gli occhi di oggi penso che all'epoca dovevo essere molto noiosa».

     

    La svolta della sua carriera?

    «Quando ho interpretato la poliziotta della omicidi Jane Tennison nella serie tv Prime Suspect. Molti mi hanno conosciuta così e neanche sapevano che da anni recitavo in teatro. La popolarità del personaggio mi è piovuta addosso con tale forza che un giorno ho pensato che se fossi stata investita da un autobus, avrebbero scritto che era morta Jane Tennison, interpretata da una certa Mirren. Così ho detto a me stessa che avrei abbandonato la serie. Ma poi non l'ho fatto».

     

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    Lei ha vinto l'Oscar per The Queen e incarnato varie regine. Cos' hanno di così interessante ai suoi occhi?

    «A dir la verità ho interpretato anche domestiche e casalinghe, ma quelle non se le fila nessuno. In realtà non è l'aspetto regale che mi interessa di questi personaggi, ma quello umano, e il fatto che Elisabetta II o Caterina la Grande, che ho interpretato in tv e mi ha fatto riscoprire le mie radici russe, sono state importanti figure politiche. Da attrice mi interessa la necessità di bilanciare vita personale e pubblica, il privato e la politica. Anche se i personaggi preferiti della mia carriera li ho interpretati per la televisione».

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    Quali?

    «Karen, la protagonista di La primavera romana della signora Stone, che ho amato perché è una donna che affronta un tumultuoso viaggio emotivo, ed è tratto dal mio amato Tennesse Williams. E poi Ayn Rand la cui vita è raccontata in The Passion of Ayn Rand: è un personaggio affascinante, una filosofa che ha influenzato con i suoi scritti il pensiero politico in America, fatto piuttosto inconsueto per gli inizi del Novecento, quando le donne erano ai margini».

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    Che ne pensa del ruolo delle donne nel cinema di oggi?

    «Il #MeToo ha ribaltato la prospettiva e, a differenza di quand'ero giovane, oggi ci sono molti ruoli femminili disponibili e ci si può anche trovare su un set in cui ci sono soltanto donne. Lei non può immaginare come sia stato lavorare per decenni in un'industria dominata dagli uomini: ho dovuto imparare a non dire la frase sbagliata, a flirtare se necessario o a rifiutare le avance.

    È stato come camminare su una corda tesa, ma per fortuna ora è tutto finito. Ho le mie colpe per non aver fatto abbastanza per cambiare le cose».

     

    In che senso?

    «Oggi grazie a dio ci sono molte registe, ma io stessa per molti anni ho pensato che la professione di regista fosse prettamente maschile: credevo si dovesse essere uomini per guidare il set con polso fermo. Ciascuno di noi d'altronde è figlio del proprio tempo».

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    È cambiato anche il cinema in tutti questi anni?

    «La cosa più sorprendente è che i film per i teenager sui supereroi Marvel siano diventati dominanti, perché non li considero frutto di un'espressione artistica ma un prodotto industriale. Si è parlato molto negli ultimi anni della morte del cinema indipendente, ma in realtà credo che ci siano ancora molti piccoli splendidi film d'autore.

     

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    Certamente il cinema ha perso in parte la sua forza di strumento per raggiungere la popolarità: oggi è molto più facile diventare famosi, ad esempio grazie ai social media, ma è altrettanto semplice cadere nell'oblio. Quando Andy Warhol espresse la sua profezia sui 15 minuti di celebrità pensai fosse pazzo. Aveva ragione lui».

     

    Dopo tanti anni passati in questo mondo, con chi ha ancora il piacere di lavorare?

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     «Se fosse ancora qui mi piacerebbe lavorare ancora con Robert Altman, perché non ho mai incontrato nella mia vita un regista come lui. Poi mi piace recitare soprattutto con giovani attori inesperti, perché sono quelli da cui imparo di più.

     

    Forse perché sono più istintivi, hanno un'energia e uno spirito non ancora plasmati dal mestiere: con loro posso tornare a ricordarmi com' ero all'inizio della carriera».

     

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    Ha mai pensato di smettere?

    «Ci penso quando devo alzarmi per andare sul set alle cinque di mattina, specialmente se è inverno e fa freddo. La gente pensa che il lavoro degli attori sia tutto lustrini e red carpet, ma può essere anche molto faticoso.

     

    Mio marito (il regista Taylor Hackford, ndr) dice che non smetterò mai, forse perché quando leggo un copione mi faccio travolgere. In fondo mi affascina l'idea che il dramma sia un modo di tornare a investigare in modo sempre nuovo e talvolta originale la natura umana. Però se dovesse mai accadere, un posto dove ritirarmi ce l'ho».

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    Dove?

    «In Salento. Abbiamo una masseria a Tricase e il tempo che trascorro lì è estremamente prezioso. Non è l'idea di un luogo idilliaco che mi attrae ma di una vita vera, fatta di cose e persone genuine.

     

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    Adoro passare le serate in Piazza Pisanelli a Tricase, quando tutto il paese si riunisce: genitori, nonni, nipoti, zii... Tutti a passeggiare, mangiare una pizza, chiacchierare e sparlare gli uni degli altri. Mi affascina perché è una realtà piena di cose belle che è lontanissima da Hollywood, la promozione dei film, i festival e il mondo del cinema».

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